Burkina Faso, il difficile arriva adesso
Manifestazioni, dimissioni del Presidente a capo del Paese da 27 anni,e infine presa in mano del potere da parte dell’esercito. Da più di una settimana gli eventi si succedono rapidamente in Burkina Faso, Paese dell’Africa Occidentale, popolato da appena 17 milioni di abitanti.
Tutto è cominciato il 21 Ottobre scorso, quando il Governo deposita un progetto di legge che mira a trasformare l’articolo 37 della Costituzione. Obiettivo: portare il numero di mandati presidenziali da due a tre, affinché il Capo di Stato in carica, Blaise Compaoré possa ripresentarsi nel Novembre del 2015. Arrivato al potere con un colpo di Stato, il Presidente aveva già fatto modificare due volte la Costituzione, nel 1997 e nel 2000. La popolazione scende allora in massa nelle strade portando, il 31 Ottobre, alle sue dimissioni. Il bilancio delle manifestazioni è pesante, almeno una trentina di persone sarebbero morte, e decine di altre sarebbero state ferite. Il nuovo uomo forte del Paese si chiama Isaac Zida. È stato nominato dall’esercito, a capo di un regime di transizione. Finora, questo tenente-colonnello di 49 anni aveva fatto una carriera nell’ombra. Era comandante in seconda del Reggimento di sicurezza Presidenziale, che assicurava la sicurezza di Blaise Compaoré. La proposta di revisione costituzionale è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma come si è arrivati sin qui?
“Non può esserci un’istituzione forte se non c’è un uomo forte. L’Africa ha le sue realtà” diceva solo poco tempo fa Blaise Compaoré. E’ in questi termini che l’ormai ex Presidente del Burkina Faso aveva archiviato il discorso di Barack Obama, discorso nel quale invitava gli africani a dotarsi di istituzioni forti. Compaoré non sapeva che la Storia l’aspettava al varco per dimostrargli che ad aver ragione era Obama. La popolarità della quale si vantava l’ex Presidente sembra essere svanita nel nulla. In Burkina Faso la grande massa sulla quale contava per vincere il referendum costituzionale sembra non essere mai esistita. Ancora una fine di “regno” nell’umiliazione. E’ un forte campanello d’allarme che suona in un Continente che si sta risvegliando. Se la via democratica non torna ad essere regola, nello spirito dell’Africa degli anni ’90, altri Paesi entreranno a breve nella tormenta, soprattutto i Paesi francofoni i cui dirigenti non si sono preoccupati che per il proprio mantenimento, dividendo con pochi intimi la rendita illecita data dal potere. Non è un prognostico, ma il segno della fine di un epoca. La soluzione, l’unica che possa mettere i continente al sicuro da insurrezioni e colpi di Stato, simili a quello avvenuto in Burkina Faso, è l’organizzazione di regolari avvicendamenti al vertice degli Stati, attraverso libere elezioni. Quello che sta accadendo nel Paese degli Uomini Integri (traduzione di Burkina Faso, ndr) deve diventare una data da ricordare nella Storia dei popoli dell’Africa, uno stimolo che non mancherà sicuramente di ravvivare le rivoluzioni sopite e che a più riprese hanno soffiato sul Continente, seppur con esiti diversi. Rimane ora da capire come verrà gestito il dopo Compaoré. Saprà il Paese far tesoro dei fallimenti dei vicini togolesi che, 24 anni prima di loro, si erano sollevati con lo stesso coraggio contro la dittatura di Eyadema? O, lascerà, come successe invece, che gli opportunisti del momento recuperino la rivoluzione per fini egoistici?
Il Burkina Faso è un Paese fortemente dipendente dagli aiuti esterni e sa quanto questi siano preziosi, tanto che negli ultimi 25 anni ha coltivato l’arte di non arrabbiarsi con nessuno e rimanere aperto a qualsiasi forma di cooperazione, curando la sua immagine internazionale e mettendo in pratica una politica di partenariato dinamica e intelligente. Sarà sufficientemente dinamico e intelligente da mantenere in piedi questa politica utile a molti? Blaise Compaoré è riuscito per anni a “mascherare” la sua dittatura. Uomo dell’Occidente , punto di riferimento soprattutto di Stati Uniti e Francia, ha goduto del loro sostegno (anche se con momenti di luce e di ombra, soprattutto con gli USA) rendendosi indispensabile vendendo l’immagine di un Paese povero ma intraprende, ben amministrato, capace di risolvere le crisi regionali o di far liberare con l’aiuto delle sue reti, gli occidentali imprigionati dai movimenti islamisti operativi nello spazio del Sahel e del Sahara. Negli ultimi anni Blaise Compaoré aveva rafforzato i legami con il duo franco-americano accettando che il Burkina Faso servisse come base militare per la sorveglianza del Sahara. Questo accordo ha permesso al regime di evitarsi le critiche, le pressioni, o peggio ancora, sanzioni per il suo coinvolgimento nelle crisi politiche della Liberia, della Sierra Leone o della Costa d’Avorio. Questa “leggerezza” da parte della Comunità Internazionale ha fatto si che nessuno sguardo critico aprisse gli occhi sulla realtà, fino ad arrivare al punto di rottura di questi giorni. Sta al Burkina Faso giocarsi con astuzia questa partita.
Va riconosciuto all’ex Presidente di aver fatto prova di lungimiranza (lungimiranza, si dice, guidata dalla regia francese) durante questa crisi,avendo saputo evitare al suo Paese un bagno di sangue, lì dove altri, nella stessa situazione, avevano o avrebbero fatto la scelta estrema di organizzare una resistenza fratricida appoggiandosi a miliziani e mercenari raccolti qua e là. Ha dato le dimissioni prima del previsto, senza dare l’ordine di sparare tra la folla. Ora arriva il momento più difficile. Compaoré destituito, appaiono i vecchi demoni militari del passato, che l’opposizione e la società civile non vuole rivivere. Per 27 anni Blaise Compaoré ha cercato di rafforzare il potere presidenziale sforzandosi di creare uno Stato di Diritto, per evitare ogni velleità pretoriana e così subordinare e neutralizzare le forze armate, condizione essenziale per la Democrazia. C’era forse quasi riuscito, ma poi il regime presidenziale è lentamente scivolato nell’autoritarismo. Il problema per il Presidente di transizione ora è di tenere unito l’esercito e rassicurare la popolazione, che ha tutte le ragioni del mondo nel temere il ritorno al potere dei militari, anche se travestiti da civili. Altro problema: l’opposizione è frastagliata (32 partiti) e il coordinamento è difficile.
La comunità internazionale ha già messo in guardia il nuovo regime, l’Unione Europea ha chiesto l’organizzazione di elezioni “democratiche, inclusive e trasparenti”, mentre l’Unione Africana ha dato ai militari 15 giorni per rimettere il potere in mano ai civili, pena sanzioni: d’altra parte la Costituzione (sospesa dai militari) prevede che il Presidente dell’Assemblea Nazionale assicuri l’interim in caso di vacanza. Il tempo stringe e se non si lavora con la testa si corre il rischio di far finire questo delicato periodo di transizione come tante altre transizioni: nell’amarezza e nel caos, rendendo vano il “sacrificio” di Blaise Camaporé.
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