Kerry e Washington inarrestabili
Il Segretario di Stato americano, John Kerry, ha passato la sua Domenica in giro per l’Europa, lanciando una vasta offensiva diplomatica nel tentativo di convincere gli “alleati” più reticenti della necessità assoluta di colpire militarmente la Siria, accusata di aver perpetrato un massacro chimico. A Washington intanto, i preparativi militari si intensificano.
Poche ore prima della votazione del Congresso americano e la pubblicazione del rapporto delle nazioni Unite sull’attacco con armi chimiche avvenuto lo scorso 21 Agosto, Kerry ha incontrato nella mattinata di Domenica, a Parigi, i suoi omologhi egiziano e saudita, così come i rappresentanti della Lega Araba per poi volare a Londra. Sabato sera a Parigi, accanto al capo della diplomazia francese Laurent Fabius, Kerry aveva riaffermato la sua determinazione di “sanzionare” militarmente il Regime siriano. I due Ministri si sono dichiarati certi del sostegno Internazionale, “ampio e in crescita”, al progetto franco-americano per un’operazione “breve e mirata”. “E’ la nostra Monaco!” ha detto, in francese, Kerry, nella speranza di convincere l’opinione pubblica restia, vedi ostile, sia in Francia che negli Stati Uniti. Parigi e Washington, che si erano duramente confrontate nel 2003 sull’Irak, affermano all’unisono che un’azione armata contro la Siria non assomiglierà in nulla agli interventi in Irak, Afghanistan Kossovo e Libia. “Gli Stati Uniti (…) non possono lasciare un dittatore servirsi impunemente di armi così terribili”, ha proseguito Kerry. Con l’obbiettivo di “punire” Damasco per aver utilizzato armi chimiche e “dissuaderla” di ricominciare, gli Stati Uniti e la Francia assicurano di essere riusciti a conquistare sempre più appoggi politici nel Mondo. Fabius si è dichiarato felice di vedere che “sette degli otto Pasi del G8“ e “12 Paesi del G20 (…) condividano la nostra analisi per un’azione forte”, riferendosi anche al sostegno dei 28 dell’Unione europea e del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrein, Kwait, Oman, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Arabia Saudita). Tuttavia, L’UE e i 12 Paesi del G20 si sono ben guardati di parlare di operazioni militari, esprimendo in una formula vaga la loro volontà di portare “un messaggio chiaro e forte” alla Siria. E due Stati dell’UE – la Svezia e la Polonia – hanno chiaramente dimostrato la loro contrarietà affermando che la crisi siriana rischiava di durare “decenni”. Non sono dettagli da poco. Il Segretario di Stato americano tornerà a Washington lunedì dopo aver incontrato a Londra il Presidente Palestinese Mahmud Abbas e il Capo della diplomazia britannica, William Hague, il cui Governo ha dovuto rinunciare ad associarsi a qualsiasi intervento militare in Siria dopo il veto del Parlamento. La situazione sarebbe “allarmante se i diversi Parlamenti del Mondo decidessero anche loro che non bisogna intervenire”, ha dichiarato Hague Domenica, convinto che “il rischio di non fare niente è maggiore che quello di agire”.
Il Congresso americano deve dare (o rifiutare) nei prossimi giorni il suo via libera all’attacco, come chiesto dal Presidente Obama lo sorso fine settimana. L’esito del voto è molto incerto, soprattutto per quanto riguarda la Camera dei Rappresentanti. Mentre le televisioni americane diffondevano le immagini delle vittime degli attacchi del 21 Agosto, il Presidente americano ha previsto di registrare lunedì un’intervista con le grandi reti televisive americane. Diffusa nella serata di lunedì, l’intervista precederà il messaggio alla Nazione di Obama, previsto per martedì, prima della votazione del Congresso. Il suo omologo francese François Hollande ha, da parte sua, promesso di parlare alla “sua” gente, ma dopo il voto del Congresso e la pubblicazione del “rapporto degli ispettori” dell’ONU. Agli occhi della maggior parte degli Stati dell’UE, questo rapporto è una tappa essenziale, unico strumento suscettibile di confermare in modo indipendente le accuse di attacchi con gas nervino. Hollande si è impegnato ad aspettare questo documento prima di agire eventualmente militarmente. Per Kerry invece non ci sono dubbi, gli Stati Uniti non aspetteranno se dovranno colpire. Secondo il Los Angeles Times, il Pentagono prepara attacchi più lunghi e più intensi di quelli previsti all’inizio. Gli strateghi americani optano per uno sbarramento massiccio con lancio di missili, seguito da attacchi supplementari contro gli obbiettivi mancati. Due ufficiali americani hanno dichiarato al quotidiano che la Casa Bianca aveva chiesto una lista “allargata” di obbiettivi in modo da includervi “molti di più” dei 50 siti già definiti. Sul terreno, i combattimenti sarebbero proseguiti tra ribelli e fedeli del Regime di Bachar al-Assad. Secondo l’Osservatorio dei Diritti dell’Uomo (OSDH),i ribelli, principalmente jihadisti del Fronte Al-Nosra legato ad Al Qaeda, hanno preso nella notte il controllo del villaggio cristiano di Maaloula, sito di grande importanza simbolica. Domenica, Papa Francesco ha riaffermato il suo assoluto rifiuto a qualsiasi intervento militare in Siria, denunciando le “guerre commerciali per vendere armi” e facendo appello ai responsabili politici a “trovare una giusta soluzione al conflitto fratricida”.
La logica della forza avrà ancora la meglio su quella della ragione? Forse questi rinvii dell’attacco di Francia e Stati Uniti, che sembrano essere, nonostante tutto il loro affermare il contrario, isolati nella loro scelta, sono il timido segnale di proseguimento della ricerca di una soluzione politica. Forse.
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