Barbara Spinelli, assente!
Barbara Spinelli, figlia di Altiero, uno dei padri nobili del pensiero europeo, in meno di un anno da neo-parlamentare europea si è distinta per un record negativo che fa poco onore al suo cognome: è la terzultima nella classifica delle presenze all’Europarlamento. E pure in Sessione plenaria a Strasburgo ha votato solo tre provvedimenti su trentanove, infischiandosene di questioni non di poco conto come quelle di Gaza, Ucraina, Iraq e Nigeria.
Pur di entrare “a furor di popolo” al Parlamento Europeo, Barbara Spinelli era venuta meno al suo impegno di rinunciare all’elezione, in favore di candidati più idonei a occupare il seggio ottenuto dalla Lista Tsipras alle elezioni europee. Ora però il nuovo Parlamento Europeo è entrato in funzione e Spinelli non si è praticamente mai vista. A denunciarlo è stata Paola Bacchiddu, l’ex responsabile dell’ufficio stampa della Lista Tsipras, che otto mesi fa postò la sua foto in bikini pur di far parlare dell’Altra Europa con Tsipras. Una scelta narcisista che non piacque a buona parte della Lista – tra cui la stessa Barbara Spinelli – e che la portò all’allontanamento dalla carica di responsabile della comunicazione.
Il coordinatore nazionale di Sel, Nicola Fratoianni, aveva commentato così la vicenda: “La scelta di Barbara Spinelli sul seggio al Parlamento Europeo è grave e sbagliata. Lo è nel metodo e nel merito. Nel metodo perché oltre ad aver disatteso la parola data, il suo ripensamento è avvenuto con una modalità che ha il sapore di un sequestro proprietario di un percorso collettivo, una scelta fatta nella completa solitudine di chi è incapace di misurarsi e confrontarsi”. Ma il problema, spiega, è un altro: “Spinelli aveva promesso che, se eletta, non sarebbe andata a Strasburgo, lasciando il posto a Marco Furfaro. Alla fine ci è andata, perché si sentiva indispensabile. E ora, quando si vota, si assenta? La verità è che ha una concezione proprietaria del partito e non è in grado di fare politica. È incoerente e inutile: era meglio se continuava a fare l’intellettuale”.
Dopo la scelta di Spinelli di non rinunciare al suo posto in Parlamento, il “tradito” Furfaro, ha inviato all’Huffington Post una lettera aperta: “Ci hanno trattato come carne da macello. Io sono figlio di un operaio. E mio padre mi ha insegnato la dignità: dei comportamenti, innanzitutto. Anche nelle situazioni più difficili, quando si ha la responsabilità di una famiglia come di una comunità. Per questo non scendo e non scenderò mai più sul piano in cui sono stato trascinato. Io, a Barbara Spinelli non ho niente da dire”.
Dopo il voto del 25 maggio, e nonostante il quorum superato, il partito di Vendola era diviso tra due linee, quella filo Pd del capogruppo Gennaro Migliore e quella che mirava a dare gambe al progetto Tsipras, guidata da Fratoianni, con Vendola nel mezzo a tentare di fare da pontiere tra due truppe sempre più in guerra fra loro. Ma lo stesso Fratoianni, che ha vinto il congresso sulla linea Tsipras, ha mostrato sconcerto: “Oltre ad aver disatteso la parola data, il ripensamento di Spinelli è avvenuto con una modalità che ha il sapore di un sequestro proprietario di un percorso collettivo, una scelta fatta nella completa solitudine di chi è incapace di misurarsi e confrontarsi”.
“Spinelli ha seppellito lo spirito della lista e offeso tanti cittadini che avevano riposto in lei la speranza di una politica pulita e disinteressata”, taglia corto Arturo Scotto, uno dei pontieri del progetto politico. E ancor più sorprende l’argomentazione di questa teoria con l’idea che gli elettori le abbiano accordato 75.000 preferenze proprio per manifestare il loro entusiasmo all’idea che poi lei lasciasse il posto a qualcun altro. Viene piuttosto da chiedersi se tutti quelli che hanno preferito la Spinelli non fossero sedotti da una visione di Europa più lungimirante e sostanziale, che lasciasse a margine le grette dinamiche partitocratiche e che con i piccoli interessi personali avesse poco a che fare.
La Sinistra radicale dovrebbe cominciare a interrogarsi con più severità sulla coerenza dei comportamenti delle sue élite rispetto ai valori che afferma di professare.