Cronache dai Palazzi

Riforme in ostaggio in vista della partita per il Colle. La minoranza dem continua ad essere il primo avversario del governo Renzi e reclama di essere ascoltata, altrimenti alla fine niente voto sull’Italicum. La minoranza del Pd ha annunciato che non voterà la riforma se rimarranno i capilista bloccati. Un ricatto a prima vista che sottende però un astuto gioco politico, soprattutto in questi giorni di trattative sul nuovo inquilino del Quirinale. Non a caso il ministro Boschi ha annunciato un momento di riflessione sull’Italicum soprattutto all’interno del Pd dove il primo obiettivo è sedare i ribelli, evitando che si organizzino cominciando a pianificare eventuali agguati per il Colle.

L’Italicum è così fermo al Senato, surclassato da circa 40 mila emendamenti, e la riforma costituzionale a Montecitorio, dove continua la lenta marcia verso la fine del bicameralismo perfetto, che dovrà superare ancora più di mille votazioni.

Le dimissioni commosse di Giorgio Napolitano sembrano aver riaperto tutte le ferite in apparenza coperte dal rigore istituzionale di un presidente della Repubblica che per onore e senso di responsabilità aveva accettato un secondo mandato mal digerito fin dall’inizio. Napolitano lascia i suoi doveri istituzionali con la convinzione di aver fatto tutto ciò che da lui ci si potesse aspettare, felice di riacquistare la “libertà”, fuori dalla “prigione” del Quirinale.

Attaccato politicamente e mediaticamente, soprattutto negli ultimi tre anni del suo novennato, a posteriori Giorgio Napolitano può essere considerato un presidente che nell’onorare il proprio impegno ha agito per la salute della Repubblica in ogni sua scelta, anche quando dopo la sua rielezione (aprile 2013) ha accettato di rimanere al proprio posto per salvare l’Italia preda della dissoluzione politica e istituzionale, ostaggio dei partiti; per consentire quindi al Paese di avviare le riforme per le quali Napolitano si è battuto fino all’ultimo giorno del suo servizio. L’hashtag “#GraziePresidente” lanciato da Matteo Renzi è, alla fin fine, tutto ciò che si può dire ad un uomo politico di grande valore, difensore delle istituzioni da sempre. Nell’omaggiare Napolitano, inoltre, di fronte alle telecamere di La7 Renzi lo ha definito “un vero riformatore che ha detto  che la Costituzione, così com’è non funziona”. Il premier ha così ribadito il cammino che ancora deve essere completato.

Renzi è convinto di poter dare un nuovo presidente all’Italia tra il 29 gennaio e il 2 febbraio, ma solo dopo aver superato il dibattito su Italicum e riforma del bicameralismo. In questo frangente per il premier non c’è spazio per la “competizione ideologica” e tutti i partiti, compreso Berlusconi, devono partecipare all’elezione del nuovo inquilino del Quirinale con “senso di responsabilità” e senza alcuna pretesa di esercitare un eventuale “ diritto di veto”.

Lasciando l’emiciclo del Parlamento europeo, invece, ai cronisti che gli chiedevano delle nuove sorti per il Quirinale Renzi ha risposto parlando del capo dello Stato uscente più che del nuovo: “Napolitano è un grande presidente, un grande parlamentare europeo, continuerà a far sentire la sua voce. Sarà un grande servitore del Paese anche come senatore a vita”. Sfornando un eventuale identikit del nuovo inquilino del Colle Renzi ha comunque ribadito che “la Costituzione disegna un presidente arbitro e saggio”, il quale non deve essere “il giocatore di una delle due squadre nel sistema italiano, come nel sistema tedesco”. In pratica “il presidente è un arbitro che ha rilevanti responsabilità nella vita quotidiana e ne ha rilevantissime in alcuni momenti storici, per cui dovremo individuare una persona di grande livello”, ha chiosato Renzi.

Come ha affermato un suo fedelissimo, “il miracolo di Renzi” sarà, infine, di far vivere al Pd la scelta per il Quirinale come “una scelta di partito” e, nel contempo, di far percepire a Berlusconi e ad Alfano che in verità si tratta di una “scelta ampiamente condivisa”.

Resta comunque il problema di un Pd ormai diviso come i pezzi di un puzzle, e il rischio di ritrovarsi con una Forza Italia spaccata anch’essa che, nella peggiore delle ipotesi, non potrebbe garantire il proprio appoggio sull’elezione del nuovo Capo dello Stato.

Il clima in Aula non lascia intravedere nulla di rassicurante: “Dal dibattito sulle riforme – afferma il renziano Giacchetti – si deduce che a giorni cadrà la giunta Maroni e che ad ore i fittiani usciranno da Forza Italia”. Le dimissioni di Napolitano hanno spinto M5S, Lega e Sel a chiedere la sospensione della discussione delle due riforme all’esame di Camera e Senato. Già per mercoledì, inoltre, Brunetta annuncia: “chiederemo una sospensione di varie ore perché abbiamo un incontro con Berlusconi sul capo dello Stato”.

Berlusconi – impegnato a trattare con Fitto e i dissidenti azzurri – continua a sua volta a fare sfoggio dei “150 grandi elettori” che sarebbero garantiti dalla propria area, e ribadisce che i suoi non voteranno un capo dello Stato come gli ultimi tre. Truppe organizzate di pentastellati minacciano di essere pronte ad eleggere Prodi con l’intenzione di sabotare il patto del Nazareno. Ed infine, con estrema onestà, il vice segretario del Pd Guerini ammette che il passaggio in cui è prevista la maggioranza dei due terzi dei grandi elettori “sarà delicato”. Caso unico nella storia italiana: sarà lo stesso Parlamento del 2013 a eleggere il nuovo capo dello Stato anche se con equilibri tra i partiti diversi da allora. Napolitano fu rieletto alle sesta votazione mentre ora si auspica di arrivare al massimo ad una quarta votazione, prevista per lunedì 2 febbraio, il giorno della quarta votazione a maggioranza assoluta.

Nell’attesa i vari partiti preparano le proprie munizioni organizzando il proprio posizionamento. Resta ancora da capire se il Pd giocherà compatto; se l’area di centrodestra – con i gruppi di Forza Italia e area popolare – presenterà un proprio candidato, magari alternativo alle proposte della sinistra; se Alfano si schiererà con Casini o con qualcun altro, magari con Berlusconi. Se, infine, anche per l’elezione del Quirinale 2015 reggerà il famigerato Patto del Nazareno che ha dato l’imput alle stesse riforme prese in ostaggio in questo frangente così estremamente delicato.

Per ora l’obiettivo di Renzi è tener ben custodito un eventuale nome per il Colle almeno fino alla quarta votazione, disarmando così i franchi tiratori ed evitando di ripetere il copione del 2013, quando i grandi elettori ebbero la forza di bruciare Marini e Prodi nel giro di due velocissime votazioni. “Non possiamo offrire un brutto spettacolo come quello del 2013 – ammonisce Renzi -, dobbiamo fare in modo che gli italiani tornino ad avere fiducia nelle istituzioni”. Il ritornello che Renzi continua a ripetere è dimostrare “senso di responsabilità”, per tutto, riforme e elezione del nuovo presidente, ciò che sembra un avvertimento per i suoi compagni di partito ma anche per tutti gli altri pronti, chi da una parte chi dall’altra, a portare avanti il proprio candidato nel toto nomi del Quirinale. Di certo “per arrivare alla stretta finale meglio stressare la situazione”, in sostanza l’accavallarsi dei nomi, e quindi delle ipotesi, per ora rende l’atmosfera fumogena e quindi poco permeabile (non è facile individuare il nome vincente), e nel corso dei lavori renderà il tutto ancora più convulso tantoché alla fine il nome uscirà dall’urna “last minute” rispettando lo stile Renzi.

In questo frangente Renzi sembra lasciar correre le voci, anche perché ciò distoglie l’attenzione dalle sue mosse. Nel frattempo dialoga con i big del Pd e, molto probabilmente, incontrerà direttamente anche Berlusconi ed Alfano. In definitiva, Renzi cerca di capire se la votazione “buona” sarà la prima (caso Ciampi) o la quarta oltre la quale il premier non vorrebbe andare.

Di certo le prossime due settimane saranno dense di impegni e di scadenze – oltre al dibattito sulle riforme in Aula c’è anche il vertice bilaterale con Angela Merkel a Firenze il 22 e 23 gennaio – e Renzi non può concentrarsi esclusivamente sul Quirinale, anche perché ciò vorrebbe dire non monitorare il processo delle riforme che deve necessariamente andare avanti per non favorire la sospensione e l’eventuale rinvio del dibattito a febbraio, ciò che le opposizioni hanno ampiamente caldeggiato negli ultimi giorni. “Non possiamo dare a Matteo Renzi tutto quello che vuole a scatola chiusa – ha sottolineato a sua volta l’ex Cavaliere -, riforme e legge elettorale, se non abbiamo prima garanzie sul Quirinale”. Per non rischiare di “rompere” i patti, e temendo un eventuale “imbroglio”, Berlusconi pretende che da Palazzo Chigi arrivi un “segnale”

In sostanza il braccio di ferro sull’Italicum si sta trasformando in una cortina fumogena in vista dell’elezione del nuovo capo dello Stato, con l’obiettivo di prendere tempo ma con il rischio per gli azzurri di perdere tutto, riforme e Quirinale, qualora il patto del Nazareno vacilli.

In aggiunta i due maggiori partiti, Pd e FI, sono spaccati al loro interno, devastati da violente liti intestine che rendono l’aria irrespirabile. Le rispettive minoranze – sinistra dem e area Fitto – portano avanti i loro tentativi di depistaggio contro Italicum, riforme e Patto del Nazareno.

La legge elettorale sembra essere additata come la “moneta di scambio” per il Quirinale. L’ultima proposta della minoranza dem – il cui obiettivo è ridurre al minimo il numero di “nominati” – è un terzo (30%) di eletti con listino bloccato e due terzi (70%) scelti con le preferenze. Per ora l’entrata in vigore dell’Italicum non prima di luglio 2016 esclude comunque un eventuale voto anticipato ravvicinato, e lascia intravedere un nuovo biennio denso di cambiamenti in cui l’Italia dovrà dimostrare anche all’Europa di essere un Paese riformatore in grado di meritarsi la “flessibilità”, sulla quale si tornerà a premere nel mese di marzo. Tra le altre riforme il Jobs act, che per il vicepresidente della Commissione Ue, Jyrki Katainen (in Italia per illustrare il piano Juncker di investimenti da 315 miliardi potenziali), “aiuterà soprattutto i giovani a trovare un impiego” e la riforma della giustizia civile: elementi sui quali l’Italia deve puntare per guadagnarsi l’agognata flessibilità.

©Futuro Europa®

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