Obama, Modi: intesa cordiale

Nel Novembre del 2014 Barack Obama aveva già calato le sue carte: gli Stati Uniti “auspicavano che l’India giocasse un ruolo più importante nel Sudest asiatico”. La visita del Presidente americano dello scorso fine settimana a New Delhi si inserisce nella strategia presentata nel 2010 da Obama, che vuole il suo Paese maggiormente proiettato verso l’Asia, ma che non è riuscito a concretizzare fino ad oggi. E’ il primo Presidente americano a recarsi in India nell’esercizio delle sue funzioni. Sebbene abbia dovuto accorciare il suo soggiorno per potersi recare in Arabia Saudita a presentare le sue condoglianze alla famiglia reale, è comunque stato l’ospite d’onore per eccellenza del primo Ministro Narendra Modi durante il Republic Day, un giorno simbolico dedicato all’entrata in vigore della Costituzione indiana del 1950, come carica di simbolismo è stata la visita di Obama.

L’Amministrazione Democratica ha in effetti  trascurato le relazioni tra Washington e New Delhi e desidera recuperare il tempo perso, avendo realizzato che l’India sia una pedina importante nella sua strategia in Asia. Domenica scorsa, Modi ha fatto grandi elogi al suo ospite: “I nostri rapporti si iscrivono oggi in un nuovo registro. La nostra amicizia non ha solamente avvicinato New Delhi a Washington, ma ha anche avvicinato i nostri popoli. L’alchimia personale conta molto.” Il braccio destro del Segretario di Stato aggiunto per il Sudest asiatico in seno all’Amministrazione americana dal 2013, Alyssa Ayres spiega questo repentino interesse dei due Paesi ad approfondire le loro relazioni in campi come l’economia, la difesa e l’energia. Per prima cosa c’entrano le relazioni personali tra i due leader. Nel 2014, Barack Obama che riceveva il Primo Ministro indiano a Washington è arrivato fino a rompere il protocollo per fare una passeggiata con Narendra Modi fino al memoriale di Martin Luther King. Domenica mattina, all’arrivo di Obama all’aeroporto di New Delhi, l’ospite indiano ha offerto un caloroso abbraccio all’inquilino della Casa Bianca. Modi sembra voler rompere con il dogma del non-allineamento secondo il quale l’India dovrebbe mantenere rapporti equidistanti con tutte le potenze. Non sembra preoccuparsi di apparire troppo vicino agli americani. Al di là della retorica, si tratta in effetti di un grande passo in avanti. Solo due anni fa, a causa di una disputa diplomatica, per le strade della capitale si bruciavano le bandiere americane e una grande manifestazione popolare aveva convinto il Congresso americano di inserire Modi tra i “non desiderati” a causa delle sue posizioni estremiste nei confronti dei non indù. Questo vertice sembra aver cancellato il passato.

Non dimentichiamo che importanti investimenti americani potrebbero permettere al Primo Ministro indiano di raggiungere il suo obbiettivo più ambizioso: sradicare la povertà nel suo Paese. Gli scambi commerciali tra i due Paesi sono arrivati a 100 miliardi di dollari. Ciò non vuol dire che l’India voglia chiudere i rapporti con la Russia, la Gran Bretagna, la Francia, il Giappone e l’Australia. Quello che desiderano in realtà le due potenze è contenere l’influenza sempre più in ascesa della Cina in Asia. L’india, dopo il riavvicinamento degli Usa alla superpotenza asiatica, teme moltissimo l’asse cino-americano per via dei molteplici legami esistenti tra le due economie. Si teme anche l’influenza cinese nei Paesi vicini, che non ha fatto che crescere negli ultimi cinque anni. Per questo motivo i due leader rafforzeranno la cooperazione anche in campo marittimo e dare così un segnale a Pechino per quanto riguarda i contenziosi esistenti in Mar della Cina, soprattutto con il Giappone, “amico” dell’India (lo scorso anno in tribuna d’onore con Modi alla sfilata per il Republic Day c’era Abe al posto di Obama). Ma questo gioco di equilibri sarà molto delicato perché né gli Stati Uniti, né l’India vogliono apparire troppo distanti, o troppo vicini a Pechino. I rapporti trilaterali non sono facili da gestire e l’India ha bisogno di Pechino importante partner commerciale. Su scala geopolitica, l’India, vicina a Mosca durante la Guerra Fredda, potrebbe rivelarsi un alleato fondamentale di fronte all’instabile Pakistan, potenza nucleare, e così anche nel dossier afghano, non ancora chiuso. Con la fine della missione delle forze di coalizione internazionale, l’Afghanistan rischia di vedere crollare gli investimenti e l’India potrebbe rivestire un ruolo cruciale per riempire quel vuoto: ha già investito più di due miliardi di dollari nel Paese, ha costruito scuole, strade e formato molti funzionari.

A Obama premeva anche parlare dei cambiamenti climatici nella prospettiva della Conferenza sul clima che si terrà a Parigi alla fine dell’anno. Non si aspettava un accordo ad immagine e somiglianza di quello concluso con Xi Jiping lo scorso autunno. L’india è però uno dei più grandi inquinatori del Pianeta, dopo Cina e Stati Uniti. Se pensiamo che in India ci sono ancora 300 milioni di abitanti che non hanno l’elettricità e che il Paese vuole raddoppiare la sua produzione di carbone fino ad arrivare a più di un miliardo di tonnellate per rispondere alle necessità energetiche di un’economia la cui crescita supererà presto quella della Cina, per Obama è stato importante almeno raggiungere un accordo di partenariato in campo di energia pulita, se le parole seminate a New delhi per spingere l’India a fornire un documento valido a Parigi lo vedremo tra qualche mese. La società americana SunEdison e il miliardario indiano Gautan Adani hanno svelato già la loro intenzione di investire 4 miliardi di dollari per creare, nel Gujarat (provincia amministrata da Modi e che gli è valsa il raffreddamento dei rapporti con molti Paesi occidentali perché accusato di avervi violato i Diritti Umani, ma sotto la sua amministrazione è anche diventata una provincia economicamente attiva e a basso tasso di corruzione), la più grande fabbrica di pannelli fotovoltaici del Paese. Per quanto riguarda il nucleare per uso civile New Delhi e Washington  hanno guadagnato un po’ di terreno superando due importanti ostacoli che bloccavano da sei anni il rilancio della cooperazione in questo importante settore. Il presidente americano avrebbe accettato di abbandonare la clausola che esigeva il controllo stretto sui materiali utilizzati in reattori americani forniti all’India. Da parte sua l’India potrebbe ammorbidire la sua politica che vede responsabili solo i fornitori in caso di incidente nucleare.  Il condizionale è d’obbligo perché se sblocco c’è stato, è mancata una vera spiegazione sull’accordo raggiunto. Quello che possiamo dire è che General Electric-Hitachi e Westinghouse potranno cominciare a fornire reattori all’India. Le ispezioni verranno effettuate dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Elettrica.

La stampa indiana ha quasi unanimemente accolto con favore la visita di Barack Obama. Il Times of India ha coniato anche un neologismo: il “Namobama”. Ora vedremo se la fine diplomazia di Modi vincerà sul conservatorismo indiano e sulla forza degli altri partner strategici.

©Futuro Europa®

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Un Commento

  • Cara Jacqueline, ogni volta che ti leggo mi viene voglia di applaudire per la profondità e la ricchezza dell’analisi. Non ho visto da nessuna parte in Italia un esame così penetrante di un evento diplomaticamente di primo piano. Forse alle tante ragioni che tu gli attribuisci, c’è da aggiungerne una: la preoccupazione comune per l’estremismo islamico, di cui l’India è vittima quanto l’Occidente e, ora, il Giappone.

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