Cronache dai Palazzi
Prove generali di ripresa del dialogo dopo i giorni dell’Aventino, benché le opposizioni non siano intenzionate a mollare la presa sull’esecutivo. Il neopresidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riveste il suo ruolo di arbitro e riceve al Colle Forza Italia e Sel, mentre la prossima settimana sarà la volta dei Cinque Stelle.
Soddisfatto il capogruppo azzurro Renato Brunetta, che a ridosso del colloquio con il Capo dello Stato dichiara: “Farà tutto quanto nelle sue possibilità”. Il presidente Mattarella, sottolinea Brunetta, auspica che “il dialogo sulle riforme possa riprendere” e per il capogruppo forzista “userà tutti gli strumenti previsti dalla Costituzione per ripristinare un clima di dialogo”. Una Costituzione che divide anziché saldare, che lacera anziché cucire, che porta le cicatrici di una violenza di una parte sull’altra”. Per i forzisti si tratta di “una Costituzione che ha fallito”, come ben esplicitato nel documento presentato da Brunetta al Capo dello Stato. Un documento dai toni forti che riferendosi alla combinazione legge elettorale e riforma costituzionale definisce tale pacchetto proposto dall’esecutivo una “gravissima forzatura” o addirittura un “mostro giuridico”.
La forzatura sulle riforme risalta anche nel cahiers de doléances esposto dal leader di Sel, Nichi Vendola, il quale non manca di sottolineare al Capo dello Stato anche l’eccessivo ricorso al voto di fiducia. Il mix decretazione d’urgenza-voti di fiducia umilierebbe il Parlamento “ridotto al rango di votificio”. In particolare per Sel “non si può governare con colpi di mano e accelerazioni che imbavagliano il Parlamento”. Rinnovando a Mattarella la fiducia accordata in sede di voto, Sel ribadisce: “Nostro dovere morale rivolgersi al garante della Costituzione”.
Il presidente della Camera, Laura Boldrini, denuncia un emiciclo semivuoto, “un’immagine che non può lasciare indifferente nessuno”. Le riforme costituzionali “andrebbero condivise il più possibile”. I capigruppo devono “seriamente riflettere” e impegnarsi affinché il Parlamento non sia teatro di risse, “immagini che danneggiano le istituzioni”. I deputati “devono poter lavorare con gli strumenti parlamentari e non menando le mani”. La presidente Boldrini chiede inoltre al governo di contribuire al dialogo e definisce la “tagliola” una “misura straordinaria” che “non può entrare nella routine”.
L’effetto Quirinale, con un presidente che cerca di “sanare la ferita tra governo e opposizioni”, rilassa l’atmosfera, aggravata per di più dalla crisi libica rispetto alla quale Mattarella valorizza inoltre l’apertura dimostrata da Forza Italia, in piena discontinuità con il clima di incomunicabilità sulle riforme. Un gesto di responsabilità che rispetta la delicatezza e la complessità della situazione nel Mediterraneo rispetto alla quale l’Italia si prepara a rivestire un ruolo “guida”.
I Forzisti non possono però dimenticare il clima rovente che incendia la casa azzurra. Dopo la nomina di Luigi Vitali come coordinatore della Puglia (rimosso Amoruso vicino a Gasparri ma anche a Fitto), i fittiani si sentono epurati. Vitali però rassicura: “Fitto stia sereno, io non dichiaro guerra a nessuno. Non ci saranno veti su suoi candidati, conterà solo la meritocrazia”. Sull’altro versante la questione veneta che mostra il coordinatore Marin seriamente preoccupato dell’alleanza con Ncd in Campania. In sostanza Marin teme una rottura con la Lega che potrebbe ritrovarsi esclusa dal governo di una Regione chiave come il Veneto. In fondo FI non può rischiare in Campania, roccaforte azzurra, ma nel contempo occorre mediare con il Carroccio per cercare di non essere fuorigioco in Veneto. Il leader leghista puntualizza di voler “aprire una fase nuova” e al dialogo con Alfano preferisce una corsa solitaria, non solo in Veneto ma anche in Campania dove un candidato della Lega potrebbe addirittura ostacolare la corsa di Caldoro.
In definitiva, i vertici azzurri caldeggiano l’alleanza evitando di rompere sia da una parte sia dall’altra. “Stiamo lavorando per l’unità del centrodestra”, sottolinea la Bergamini, e il capogruppo di Area Popolare (Ncd e Udc) alla Camera, Nunzia De Girolamo, mentre sottolinea che “questo esecutivo non è a tempo indeterminato”, ribadisce: “Il mio sogno è l’unità del centrodestra. Dobbiamo costruire un’alternativa a Renzi”. Un traguardo per ora lontano, del quale non si intravede alcuna traccia all’orizzonte. Molto presto, comunque, Matteo Salvini dovrà fare i conti con la realtà e magari dovrà cedere anche a qualche compromesso ammettendo che, fino ad oggi, l’asse con Forza Italia ha fatto incassare alla Lega un cospicuo numero di “governatori”. Il Veneto potrebbe rappresentare il capro espiatorio di quest’ultima diatriba e, al di là delle incongruenze tra Ncd e Caroccio, l’obiettivo comune potrebbe essere esclusivamente (o semplicemente) quello di evitare una vittoria del Pd in questa Regione.
Salvini, deciso a continuare la sua battaglia antigovernativa, ribadisce il suo ‘no’ categorico ad un’alleanza con Alfano, un ‘no’che rischia di estendersi anche a Forza Italia. Affidandosi a un ennesimo sondaggio sembrerebbe che se Luca Zaia corresse soltanto con la Lega e la sua lista civica prenderebbe più voti che non in alleanza con gli azzurri. Sferzando contro qualcuno, Salvini ribadisce però di non essere “uno che decide, come ha sempre fatto qualcun altro, sulla base dei sondaggi”. Il governatore lombardo, Roberto Maroni, consiglia comunque al leader leghista di non chiudere alle alleanze in ambito regionale, sia per lasciare “alle Regioni le scelte politiche locali” sia perché “l’asse con Ncd qui va”, afferma Maroni.
La partita ne Mezzogiorno resta quella più dura. Raffaele Volpi, vicepresidente dei salviniani nonché coordinatore delle mosse del leader leghista nel Mezzogiorno, constata che in Puglia occorre “prendere atto dell’implosione di Forza Italia” ribadendo che “è sempre più evidente che non ci sono le condizioni per alcun accordo”. In Puglia, in effetti, la situazione si rivela alquanto contorta. Dalla guerra di posizione si è passati alla guerra sul campo: nove coordinatori regionali si dimettono manifestando la loro solidarietà all’europarlamentare Fitto. “Raffaele chiede la democrazia interna e poi si scopre che in Puglia gestisce il partito in maniera monocratica”, afferma Berlusconi scagliandosi contro colui che l’ex Cavaliere ha ribattezzato “Fini 2.0”.
Sul fronte governativo, con la messa a punto del Jobs Act, applaudito anche dall’Ocse con l’irritazione degli oppositori – secondo l’organismo europeo la riforma del lavoro potrebbe far crescere il Pil del 6% in 10 anni –, l’esecutivo vara la fine dei contratti a progetto dal 2016 e incassa con difficoltà due fiducie: sul Milleproroghe alla Camera con 354 sì, 167 no e un astenuto e sul Salva-Ilva al Senato, con una margine che rappresenta il minimo ottenuto da Renzi: 151 voti favorevoli e 114 contrari, ben lontani da quota 161 che rappresenta la maggioranza assoluta in Senato. Forza Italia sfida apertamente il governo Renzi accusandolo di un’ennesima prova di forza e ridimensionando quindi di molto i voti a favore a Palazzo Madama. Il partito di Silvio Berlusconi — impegnato a seguire, tra le tante cose, le proprie questioni giudiziarie destinate a riesplodere il 10 marzo, a ridosso della sua rimessa in libertà – passa dall’Aventino all’ostruzionismo duro, e per osteggiare l’esecutivo punta sui numeri in Senato.”Mi auguro che FI ci ripensi – ammonisce Maria Elena Boschi -. Sulle riforme abbiamo lavorato per un anno insieme, abbiamo fatto un lavoro serio e votato insieme” ma l’esigenza di portare a termine le riforme “è prevalente rispetto a tutto”, anche senza Forza Italia.
Ostili al voto di fiducia anche i pentastellati e i leghisti che affermano: “Basta fiducie, il governo Renzi è una piaga del Paese”. Al di là delle dichiarazioni bellicose è evidente che il lavoro parlamentare, e quindi il percorso delle riforme, è segnato dalla rottura del Patto del Nazareno che si ripercuote anche all’interno dei dibattiti televisivi. “Senza la maggioranza al Senato come farete? Dovrete trovare qualcuno”, afferma provocatoriamente Paolo Romani rivolgendosi a Maria Elena Boschi all’interno del salotto di Porta a Porta. “Gli ‘Scilipoti’ appartengono ai governi di centrodestra, non sono certo nelle nostre tradizioni. Noi non compriamo nessuno”, è la replica incalzante del ministro Boschi che reputa concluso “il lavoro delle modifiche alla legge elettorale” e auspica di concludere l’iter della riforma del sistema di voto “prima dell’estate”.