Tosatti, l’italiano tra i 30 Future Greats

Gian Maria Tosatti è l’unico artista italiano a figurare nella guida dei 30 giovani artisti Future Greats che Art Review compila dal 2007, oltre alla sua celebre Top100 per le Very Important Persons del mondo dell’arte. A consigliarlo è stato il critico e curatore freelance inglese Mike Watson, che risiede a Roma dal 2013. No Past, No Future: How ‘the New’ Became ‘the Now’ è l’insegna sotto la quale esperti internazionali, critici e curatori hanno condotto la propria selezione. Scopriamo, dunque, questo artista italiano del presente.

Tosatti, classe 1980, opera tra Brooklyn e Roma, pluripremiato, è rappresentato dalla Galleria Lia Rumma. La sua pratica si configura senza mai abbandonare la teoria, auto-localizzandosi nello spazio e nel tempo. Formatosi presso il Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera, la sua attività connette architettura e arti visive, trovando nell’installazione site specific il proprio media. Le sue installazioni attivano la storia preesistente del luogo in cui risiedono e sono a loro volta attivate dal visitatore che le attraversa nel ruolo di performer.

I suoi grandi ambienti circoscritti ricordano più il risultato di una ricerca ad opera di un designer interpretativo che di un artista. Il designer interpretativo lavora, difatti, tra architettura e design, di solito avvalendosi di collaborazioni con gli esperti in questi campi di competenza – collaborazioni che nei lavori di Tosatti sembrano mancare -, andando a scavare e far affiorare la memoria di un luogo, in cui far confluire nuovi piani di esperienza. Questa figura presenta certo punti di contatto con quella del curatore: il più evidente è il svelamento di una componente narrativa, che il visitatore è invitato a esperire. Ma, del resto, i ruoli di curatore e artista possono essere intercambiabili.

“Gli spazi che scelgo hanno un loro magnetismo, qualcosa difficile da spiegare, ma che si lascia riconoscere. Il mio rapporto con questi luoghi si può chiarire facendo ricorso al film di Tarkovskij Stalker. In quella pellicola si racconta la storia di uno “stalker”, appunto, che conduce un gruppo di persone all’interno di una “zona” radioattiva in cui troveranno una stanza che può trasformare i loro desideri in realtà. Quello che cerco di fare io è più meno la stessa cosa. All’inizio cerco di individuare un luogo che abbia quel particolare magnetismo; sono spesso spazi coperti da molteplici stratificazioni, spesso abbandonati e la loro “radioattività” si percepisce debolmente. Poi, una volta individuato lo spazio, inizio a “pulirlo” affinché la frequenza attraverso cui è in grado di trasmettere la propria energia sia percepibile con chiarezza nel tempo rapido di una visita. Alla fine ci conduco un gruppo di visitatori che, uno alla volta, all’interno dell’opera riusciranno a proiettare nello spazio reale il loro recondito (che poi è ciò che costituisce la base profonda del desiderio).”

Tosatti si propone di svolgere una pulizia energetica allo scopo di trasmettere campi magnetici isolati, nelle cui spire attrarre il proprio visitatore. L’esperienza dell’artista, come prototipo, in un processo indiretto medianico permette all’uomo, come apolide, di risalire alla propria, in un percorso individuale, similare a quello di alcune performance sperimentali. Il mediatore, il supporto tecnico, diviene l’artista stesso, lo stalker prototipo che inizia il visitatore al ruolo rituale di stalker.

Almeno nella versione cinematografica tarkovskijana, nessuno entra nella stanza dei desideri. L’illusione che i desideri possano divenire realtà, una volta all’interno della stanza, rimane tale, nella propria potenzialità non ancora disattesa. E il nostro artista ci offre allucinazioni, da Devozioni (2005 – 2011), Landscapes (2006 – ), Le Considerazioni sugli Intenti della Mia Prima Comunione Restano Lettera Morta (2009 – ), a Fondamenta (2010 – ), e Sette Stagioni dello Spirito (2013 – ). Una raccolta di oggetti isola le tracce di passaggi umani. Il processo indiretto che conduce alla creazione di queste opere all’interno di cicli seriali è un processo medianico, “che sancisce dunque una certa estraneità della [mia] coscienza rispetto all’opera e perciò essa si manifesta come l’emersione di qualcosa che attinge all’inconscio come entità collettiva (piano condiviso) e la cui manifestazione finale non va mai oltre una proiezione del pre-conscio nello spazio reale.” Il suo spazio reale non è specificatamente uno spazio politico, ma pur sempre uno spazio per la localizzazione.

Tracce del passaggio di chi se ne è andato, tracce staccate dai muri (o staccate assieme ai muri), dai pavimenti, costituiscono la parte non-site specific del ciclo. È qui che l’intervento dell’artista incontra il visitatore, su questi piani condivisi, territorio comune in cui gli archetipi culturali della memoria occidentale incontra la memoria personale che detta i desideri. L’apolide si localizza continuamente in questi spazi, che non sono altro che allucinazioni, proiezioni dell’archeologia di una memoria multistratificata, che fenomenologicamente si specchia in se stessa e nell’identità si conosce.

Questa archeologia fa pensare al post-modernismo, e in architettura al post-strutturalismo, ma in Fondamenta è presentata l’investigazione degli archetipi dell’era contemporanea e in Devozioni Tosatti si è occupato dell’era precedente, in quanto anagraficamente appartiene all’ultima generazione dell’era moderna; con essa ha avuto un contatto umano diretto, attraverso gli uomini che l’hanno vissuta. E dichiara: “Non è più così, invece, per la generazione che segue la mia e che può conoscere l’era moderna solo attraverso la televisione in un’indistinguibile fusione di fiction e realtà. La generazione dei miei ipotetici figli, dunque, appartiene definitivamente a quella che sempre Pasolini definiva una “nuova preistoria”, ossia alla preistoria dell’era contemporanea”.

©Futuro Europa®

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