Cronache dai Palazzi
La strage di Tunisi e il caso Lupi, rubano la scena alle riforme che si arenano tra Montecitorio e Palazzo Madama. L’immagine dell’esecutivo, che ha fatto della lotta alla corruzione una bandiera, è deteriorata dalle indagini di Firenze ma il premier Renzi non è intenzionato a prolungare il logoramento della sua squadra di governo e, alla fine, giudica la scelta di Lupi “una scelta saggia”. Renzi non si è espresso sul caso Lupi ma, fin dall’inizio, non aveva nessuna intenzione di difendere il ministro in aula. “La scelta sta a lui: o se ne va da solo oppure il governo non si schiera e si rimette all’aula”, avrebbe confidato Renzi ai suoi più fedeli collaboratori, pur sottolineando l’intenzione di non rivelare nessuna posizione personale.
Il rinvio alla settimana prossima dell’approvazione della legge anticorruzione in Senato ha reso il clima ancor più rovente. Le critiche ironiche delle opposizioni (pentastellati in testa), che hanno reagito elencando gli scandali emersi nell’ultimo anno di gestione Renzi, hanno avvelenato il governo che si è difeso denunciando decenni di inazione. Per Palazzo Chigi, in pratica, l’inchiesta sulle “Grandi opere” rappresenta un malaffare che affonda le sue radici nei decenni precedenti.
Alla vigilia delle annunciate dimissioni del ministro delle Infrastrutture, il disegno di legge anticorruzione riesce comunque a incardinarsi in aula al Senato dove verrà approvato la prossima settimana, per poi passare alla Camera. Il caso Lupi ha accelerato la partita in materia di giustizia e i pasticci relativi alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di una norma di riferimento (la “tenuità del fatto”) per la nuova disciplina del falso in bilancio si sono ridimensionati. Dopo la effettiva depenalizzazione del 2001 (governo Berlusconi) si torna alla pena da 3 a 8 anni per le società quotate, ma il falso in bilancio sarà reato di pericolo anche per le società non quotate (pena da 1 a 5 anni), eccetto i casi in cui il giudice definisca i fatti di lieve entità (1-3 anni) ed infine quelli per cui scatta la particolare tenuità del fatto e dunque la non punibilità. Il nodo più difficile da sciogliere del pacchetto giustizia riguarda comunque la riforma delle intercettazioni telefoniche, che il caso Lupi ha riportato tra i dossier all’attenzione del governo.
“La decisione del ministro Maurizio Lupi è da uomo delle istituzioni perbene e onesto”, ha affermato Angelino Alfano, il leader di Ncd che durante le 72 ore di calvario non ha abbandonato nemmeno per un attimo l’amico, e collega di partito, Maurizio. “Gli siamo stati accanto e gli saremmo stati a fianco qualunque scelta avesse deciso di fare”, ha sottolineato Alfano, aggiungendo: “Il suo gesto è la più alta testimonianza di distanza da logiche di potere. Lupi non si dimette da politico. Farà politica, se possibile, con più forza e determinazione. Insieme a noi, Come sempre”. A Lupi sarà affidato il ruolo di capogruppo di Area Popolare alla Camera.
Renzi, invece, proiettato già sul dopo-Lupi – verso una trattativa con Alfano e Ncd che non sottragga “dignità” e “peso” ai maggiori alleati di governo – ha apprezzato la scelta di Lupi confermando il suo distacco dalla vicenda. Dall’Ncd parla uno per tutti, Gaetano Quagliariello, che potrebbe essere chiamato presto a far parte del fronte dell’esecutivo: “Sì alla trasparenza, no al fango nel ventilatore, la lotta agli abusi si conduce anche con la serietà e la civiltà”.
Nel bel mezzo delle polemiche hanno riecheggiato i battibecchi tra Renzi e il presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati), Rodolfo Sabelli. “Uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità”, ha affermato Sabelli dagli studi del programma Unomattina, facendo comprendere, in sostanza, di non aver digerito l’introduzione della legge sulla responsabilità civile delle toghe. Parole dure che arrivano quando il clima creato dall’affaire Lupi è ormai torrido.
Dalla Scuola Superiore della Polizia, dove in settimana Renzi ha presenziato l’inaugurazione dell’anno accademico dei corsi di formazione dei nuovi commissari, il presidente del Consiglio ribadisce comunque la necessità di innovare, di riformare il sistema, e chiede ai giovani funzionari di Polizia di non essere “difensori dello status quo, ma difensori delle regole”. Ricorrendo ad una citazione dello scrittore canadese Douglas Coupland, Renzi ricorda che “il mestiere dei conservatori è impedire che gli errori vengano corretti”. Con un gioco di parole, il capo dell’esecutivo sottolinea che il suo governo “intende combattere non per un Stato di polizia, ma per un Stato di pulizia. Abbiamo creato l’Autorità Anticorruzione perché si intervenga appalto per appalto, casa per casa, sporcizia per sporcizia”. Ma, “la sfida alla corruzione passa per un ragionamento culturale e educativo”, chiosa Renzi.
L’incontro al Quirinale tra il capo dello Stato e il vertice dell’Associazione nazionale magistrati sembra comunque aver quietato le acque. A Mattarella, ha dichiarato Rodolfo Sabelli, “abbiamo manifestato il disagio della magistratura che viene soprattutto dalla consapevolezza di un contrasto che c’è tra l’impegno individuale e collettivo dei magistrati, impegno molto alto e molto forte, e i risultati che vengono da un servizio giustizia che purtroppo ancora non è così come noi lo vorremmo e come i cittadini meriterebbero che fosse”. Invocando un clima di collaborazione e la condivisione degli obiettivi, “nel rispetto della dignità e della autonomia reciproca” fra le istituzioni dello Stato, il presidente dell’Anm sottolinea comunque la necessità di “andare tutti oltre le polemiche pensando ai problemi concreti che toccano il servizio giustizia e che vanno finalmente risolti”.
Sulla strage di Tunisi, infine, Mattarella prende carta e penna ed esprime il suo “sgomento” per “l’attacco terroristico, che ha causato numerose vittime e molti feriti e nel quale sono rimasti coinvolti alcuni connazionali”. Il capo dello Stato condanna “un gesto di inaudita violenza, che non può, e non deve, trovare spazio nel mondo contemporaneo” e, nel contempo, assicura che l’Italia “continuerà a lavorare con determinazione, insieme alla comunità internazionale, contro ogni forma di terrorismo”. Renzi, a sua volta, aggiunge che “sulla Libia bisogna accelerare, bisogna stabilizzare l’area e bloccare subito l’Is. Basta indugi dell’Ue e della comunità internazionale”. Una posizione netta che Renzi ribadirà il 17 aprile ad Obama, dal quale attende il via libera definitivo per un’azione di polizia che conduca alla nascita di un governo di unità nazionale.
L’Unione europea, rifuggendo lo scontro militare diretto, insiste su una missione di sostegno e di cooperazione e sul negoziato per la formazione di un governo di unità nazionale, ma la situazione nel Mediterraneo è urgente. Non si può indugiare ulteriormente, magari permettendo che il terrorismo islamico attacchi il continente. L’Europa è infatti il bersaglio più vicino e il vertice europeo che doveva concentrarsi su Grecia e Russia ha invece deragliato verso la Tunisia e la Libia. A Federica Mogherini, ministro degli Esteri dell’Unione, il compito non facile di illustrare le “azioni avviate dall’Ue”.
Davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato anche il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha invocato “più impegno da parte dell’Europa”, oltreché una “risposta unitaria” da parte del Parlamento. “Da questa situazione non ne usciamo solo con l’intelligence, ma con la politica”, ha affermato Gentiloni. Occorre in pratica proteggere i confini e la popolazione potenziando le forze di sicurezza, tra cui Frontex e Triton. Tuttora 5 mila militari sono impiegati nell’operazione “Strade sicure”.
La formazione di un governo di unità nazionale in Libia, che ricompatti le fazioni, è la premessa fondamentale dalla quale non può prescindere un’eventuale missione internazionale presenziata dalle Nazioni Unite. Non va sottovalutata inoltre l’emergenza umanitaria e il traffico di esseri umani favorito dai disordini politici in quella zona, come ricorda il presidente Mattarella intervistato dall’inviata della Cnn Christiane Amanpour, accolta al Quirinale. L’Italia ha finora sopportato il peso dell’operazione, in primo luogo con la missione “Mare Nostrum” che “ha salvato molte vite”, ha rievocato il capo dello Stato, ma è compito dell’Europa, “essere all’altezza della sua storia e delle sue responsabilità”.
Il progetto di un esercito europeo, come auspicato dal presidente della Commissione europea Jean-Paul Juncker per dare il via ad una vera politica di sicurezza comune, non è poi così lontano. A Bruxelles la discussione è già sul tavolo e i decisori ai vertici delle istituzioni europee sono chiamati a gestire equilibri delicati, in quanto un eventuale potenziamento della sicurezza comune non dovrebbe in nessun modo intaccare la sovranità dei singoli Stati.