Giampaolo Rossi (RomaTre): la Cina tra Ambiente e sviluppo
Negli ultimi decenni, la Cina è entrata con numeri importanti nel bilancio mondiale delle emissioni climalteranti: numeri che sono in crescita per produzione e consumo di energia ma anche per l’aumento della produzione zootecnica. Sul piano interno e nei rapporti internazionali, le soluzioni del problema inquinamento in Cina passano attraverso decisioni politiche, legislative ed amministrative che lo stesso Paese sta assumendo in questi anni. Ne abbiamo parlato con il Prof. Giampaolo Rossi, ‘ambasciatore’ in Cina del Diritto dell’Ambiente che insegna presso l’Università degli Studi RomaTre.
Professor Rossi, qual è secondo la sua esperienza ‘sul campo’ la percezione dei problemi ambientali da parte dell’apparato decisionale della Cina?
Negli ultimi anni, la Cina è diventata una delle nazioni più inquinanti. Non ha aderito al protocollo di Kyoto, come peraltro gli Stati Uniti che hanno anch’essi un notevole sviluppo. Per capire le ragioni della crescita dell’inquinamento ebbi la fortuna di partecipare alla Prima Conferenza Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo a Rio de Janeiro nel 1992 fra i Paesi già sviluppati ed i Paesi che ancora non erano sviluppati. I Paesi non sviluppati sostenevano questa tesi: l’80 per cento dell’inquinamento è prodotto dal 20 per cento dei Paesi che sono quelli sviluppati, ma i Paesi che non hanno avuto sviluppo possono raggiungerlo se aiutati da quelli che lo hanno raggiunto. Purtroppo la risposta dei Paesi sviluppati fu negativa. Qui c’è il dramma della Cina come degli altri Paesi in via di sviluppo, perché la fretta di uscire dal sottosviluppo li induce a comportamenti poco attenti all’ambiente. Sia i governatori che il popolo cinese si trovano ad un bivio: da un lato hanno assunto la piena consapevolezza del problema, dall’altro però non possono frenare troppo lo sviluppo e cercano di contemperare le due esigenze.
Qual è l’approccio dell’ordinamento cinese ad altre forme di inquinamento, quelle derivanti da comportamenti imprudenti o negligenti?
Negli ultimi anni è stata emanata una normativa che ancora non sta producendo frutti. Ci sono reazioni dei privati, e anche popolari, sulle normative. Sono stati istituiti specifici tribunali ambientali. Ma la risposta solo civilistica non è sufficiente, sia perché il danno ambientale non si risolve con il risarcimento, sia perché il risultato da perseguire attraverso il Diritto dell’Ambiente è la reductio in pristinum.
Che cosa può ‘insegnare’ la nostra esperienza in materia di diritto, e di diritto ambientale, alla Cina?
Siamo più avanti di loro semplicemente perché questa consapevolezza si è sviluppata prima di loro, ma è così anche nel diritto amministrativo, sviluppatosi di recente e presente fra i loro insegnamenti solo dagli anni ’90, mentre prima le autorità irrogavano le sanzioni che volevano quando volevano e a chi volevano. I Cinesi non accettano che si vada da loro con aria di superiorità, ma assorbono con disponibilità e curiosità le esperienze altrui.
Quali risultati del Suo lavoro e quali occasioni di crescita comune nel campo del Diritto dell’Ambiente Lei indica all’attenzione della comunità internazionale?
Noi stiamo lavorando con il prof. Sandro Schipani che insegna Diritto Romano presso l’Università La Sapienza di Roma perché esiste una sorta di ‘ponte’ del diritto, tra il confucianesimo ed il Diritto Romano. Il mio gruppo di lavoro ha attivato una collaborazione con l’organizzazione amministrativa, un lavoro importante e delicato perché comporta il rapporto con le autonomie, una novità per quel Paese. In Cina è stato pubblicato il mio libro ‘Diritto Amministrativo’.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]