Cronache dai Palazzi
Accelerata sull’Italicum: “È come gli 80 euro, manterrò la promessa”, afferma Matteo Renzi. Le cose stanno cambiando e il premier si sente protagonista del cambiamento. Soprattutto si sente “legittimato a decidere” in nome della democrazia.
Di fronte alla School of Government dell’università Luiss di Roma Matteo Renzi ha infatti ribadito: “In un sistema democratico chi è legittimato a decidere o lo fa o consegna il Paese alla palude. Questa non si chiama dittatura ma democrazia, altrimenti siamo al tradimento della democrazia. Credo che sia traditore di fiducia chi passa il tempo a vivacchiare piuttosto che a prendere decisioni chiave”. Alla Luiss il presidente del Consiglio cita inoltre “Vetocracy”, un libro del politologo Francis Fukuyama, e sottolinea che “oggi in Italia la vetocrazia impazza”. Al veto come filosofia politica Renzi contrappone l’arte di decidere e di semplificare a tutti i livelli.
“Chi rema contro si fa fuori da solo, anche dal governo”. È questo l’ammonimento dei renziani a Montecitorio, un concetto veicolato anche dallo stesso premier che già lunedì (30 marzo), nella riunione di direzione del Pd, chiederà il “voto finale” su riforma costituzionale e Italicum, alla luce della calendarizzazione (27 aprile) della terza lettura della legge elettorale già stabilita dai capigruppo alla Camera.
L’Italicum sarà quindi in Aula in piena campagna elettorale con l’obiettivo (renziano) di concludere l’esame prima delle Regionali di maggio e, soprattutto, senza cambiare una virgola rispetto al testo uscito da Palazzo Madama. All’interno della direzione del suo partito, Renzi potrebbe comunque compensare, in qualche modo, l’accelerazione sulla riforma elettorale con una discussione sulla composizione delle liste. Per i mediatori della partita che si giocherà comunque lunedì in direzione – tra i mediatori il capogruppo Roberto Speranza recatosi a Palazzo Chigi per proporre al premier eventuali ipotesi di modifica – potrebbe essere sufficiente una riduzione del numero dei nominati da 100 a 70, ripristinando così un clima di collaborazione che eviterebbe di ricorrere ai voti dei dissidenti azzurri.
“Vogliono la verifica, ora l’avranno”, è l’avviso di Renzi, convinto che lunedì in direzione la sua linea prevarrà, nonostante i colpi di coda della minoranza dem pronta comunque a dare battaglia. Le richieste di mediazione e le prese di distanza dei democratici anti-Renzi rappresentano la radiografia di un partito ereditato e non ancora plasmato dal premeir- segretario che cerca di emanciparsi, con le unghie e con i denti, dai vari condizionamenti aggiudicandosi, nel contempo, l’accusa di essere arrogante. Accusa aggravata da quella di “deriva autoritaria”.
Ma il format del renzismo continua ad essere quello della “democrazia decidente”. Dopo le bordate di D’Alema e Bindi, Matteo Renzi sembra non aver gradito la proposta di Alfredo D’Attorre di un “tavolo” per correggere le riforme: “Non si può continuare così, ho vinto le primarie e ho preso il 41 per cento alle Europee, se mi parlano di fare un ‘tavolo’ impazzisco”. Prima ancora di trovarsela dinanzi il segretario-premier rigetta la lettera che la minoranza avrebbe voluto inviargli proponendogli un “patto di consultazione” per portare avanti le riforme. In sostanza, Renzi non è intenzionato a modificare l’Italicum, convinto della sua maggioranza schiacciante alla Camera, dove la riforma dovrebbe passare con il premio alla lista e i capilista bloccati. “Se Renzi dice che il Parlamento non può cambiare una virgola si assume la responsabilità di una rottura profonda nel Pd”, ammonisce infine D’Attorre, mentre Civati è convinto che “Renzi vuole la rottura, perché ha capito che con questa palude non si va da nessuna parte”.
Al di là delle polemiche e dei battibecchi intra Pd – un partito frazionato dagli steccati interni – il ragionamento del premier è molto semplice: “Non c’è più da aspettare, arriveremo alle Regionali dimostrando ancora una volta che manteniamo le promesse, che portiamo a casa la riforma più annunciata della storia. E se non lo facciamo ora che l’economia inizia a respirare non lo faremo mai”. In sostanza, la legge elettorale, come gli 80 euro, è lo strumento per portare a casa più regioni possibili. Ma forse anche una misura preventiva per arginare ulteriori richieste di modifiche da parte delle minoranze, nel caso in cui le Regionali non andassero poi così bene per i renziani.
Nel progetto pre-elettorale di Renzi non c’è solo l’Italicum, una legge che, secondo il premier, “da qui ai prossimi cinque anni verrà copiata in tutta Europa”. Il capo del governo vuole mettere in una botte di ferro anche la riforma del bicameralismo affrontando la delicata questione dei numeri in Senato. Il Nuovo Centrodestra di Alfano gli ha assicurato che non remerà contro e a Palazzo Madama Scelta civica è stata in buona parte “renzizzata”. Una decina di dem pronti a votare contro sembrerebbero infine facilmente “sostituibili” con “disponibili” verdiniani ed ex M5S.
Il voto sulle riforme è direttamente proporzionale ad un possibile “rimpasto” da discutere eventualmente dopo le elezioni di maggio. Sarà il Renzi-bis: l’immagine riflessa della maggioranza che si sarà coalizzata attorno alle riforme. Ma è ancora presto per dirlo.
Dopo gli scontri sulla prescrizione, per gli alfaniani troppo lunga, si placa la tensione tra Renzi e il gruppo Ncd -Area popolare (Ap). Il ddl anticorruzione sarà votato in Senato tra martedì e mercoledì, suggellando un compromesso che confida sulla distensione dei rapporti tra Pd e Ncd che ancora deve ammortizzare il colpo inferto dalle dimissioni, più o meno indotte, del ministro Maurizio Lupi. “L’approvazione del ddl mercoledì prossimo è un traguardo finale sul quale Ap si è impegnata con serenità e senso di responsabilità – assicura il capogruppo al Senato Renato Schifani – perché uno dei nostro punti di forza della nostra linea politica è il contrasto alla corruzione senza se e senza ma”. Ne è convinto anche il Guardasigilli Andrea Orlando che, dopo aver mediato alla Camera sulla prescrizione, conferma il fronte comune sulla lotta alla corruzione: “Mai avuto dubbi che si sarebbe proceduto in tempi brevi, per il ddl anticorruzione nessun timore dal Nuovo Centrodestra”. Il ministro della Giustizia ribadisce che “il testo è concordato con l’Ncd” e conferma la “battaglia” comune contro la corruzione. Esattamente “ciò che stiamo facendo!”, twitta di rimando il coordinatore centrista Gaetano Quagliariello. Penalizzata invece Forza Italia che si vede respinte le pregiudiziali di costituzionalità, su una legge ritenuta dai forzisti troppo punitiva, e i tentativi di prolungare i tempi di approvazione a dopo Pasqua.
“Cessiamo di fare propaganda e diamo un servizio al Paese” – ha ammonito Andrea Orlando invocando l’unità di tutti – perché “in questo momento storico chi si fa corrompere o chi corrompe tradisce il Paese”. Per il Guardasigilli il ddl anticorruzione non mira solo a rafforzare il sistema sanzionatorio ma ha “anche la funzione di registrare la riprovazione sociale”.
Intanto, secondo quanto emerge dal documento dell’Ocse “Cubbing corruption. Investing in growth” presentato di recente, nel nostro Paese la percezione della corruzione nelle istituzioni è al 90%, il livello più alto tra i paesi sviluppati e ben al di sopra di quasi 30 punti percentuali rispetto alla media Ocse. La fiducia nel governo, invece, è di poco superiore al 30%, al di sopra solo di quella che hanno i cittadini in Grecia, Portogallo, Spagna, Slovenia e Polonia, anche se in questi Paesi la percezione sulla corruzione è a livelli più bassi. La Svezia è il Paese dove la fiducia nel governo è superiore al 55% e la percezione della corruzione tocca il livello più basso (inferiore al 15%), segue la Danimarca (sotto il 20%). In Germania, infine, la fiducia nel governo è superiore al 60% mentre la percezione della corruzione si avvicina ad un discreto 40%.
Al di là dei dati, la lotta alla corruzione è un imperativo morale e civile. “Credo che la soluzione di questo problema non si trovi solo nel codice penale”, incalza la presidente della commissione Affari Costituzionali Anna Finocchiaro che, pur ribadendo l’importanza del provvedimento in discussione al Senato, sottolinea il “peso della corruzione sul sistema Italia”. Si tratta di “un macigno che limita la competitività italiana nel mondo” e “il tema fondamentale credo sia la prevenzione del fenomeno corruttivo”, chiosa Anna Finocchiaro.
Il governo punta ad incassare un primo risultato prima della pausa pasquale con il superamento della prima lettura a Palazzo Madama.
Ferma al Quirinale la riforma della scuola. Il Colle dovrà autorizzare la presentazione alle Camere del disegno di legge che inizierà il suo iter dalla settima commissione di Montecitorio ma, molto probabilmente, la discussione non si incardinerà in settimana. È intenzione del governo, invece, varare in anticipo il Documento di economia e finanza (Def): il 3 aprile e non più il 20. Il Def detterà le linee della politica economica e di bilancio del prossimo triennio alla luce degli ultimi risultati positivi sul Pil (+0,2% nel primo trimestre) e sulle assunzioni a tempo indeterminato, anche se resta il dubbio che quest’ultime non corrispondano tutte a nuovi posti di lavoro.
I problemi non sono affatto finiti. Il macigno dell’Iva, ad esempio, blocca i consumi e deprime la crescita, ma per compensare l’aumento dell’Iva e delle accise servono circa 10 miliardi di euro, che si pensa di recuperare con ulteriori tagli di spesa. Tesoro e Palazzo Chigi non escludono infine la possibilità di riaprire la discussione con l’Unione europea – l’obiettivo attuale di un deficit 2015 al 2,6% potrebbe subire lievi variazioni in positivo ma anche rimanere invariato – invocando la clausola che consente di allungare i tempi per il pareggio di bilancio in un periodo di riforme.