Cronache dai Palazzi

Il ddl anticorruzione supera l’esame del Senato, “un traguardo non scontato”, afferma il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ora il testo dovrà approdare a Montecitorio e il ministro auspica che “l’approvazione sia la più rapida possibile”. il premier Renzi esulta sui social media ribadendo la lotta dell’esecutivo “contro il malaffare e la corruzione”, e non manca di lanciare qualche frecciatina a chi si ostina a mettere i bastoni tra le ruote alle riforme: “Fare ostruzionismo e dire sempre no – afferma il presidente del Consiglio – è un inganno che forse funziona il tempo di un click ma che gli elettori sanno sempre riconoscere”. Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Gal hanno espresso voto contrario, mentre la Lega si è astenuta.

I grillini, che hanno subito la bocciatura della loro proposta di interdizione perpetua dai pubblici uffici per chi commette reati di corruzione, hanno a loro volta denunciato atti di pianismo fra i banchi di Forza Italia e Andrea Cioffi, capogruppo dei pentastellati in Senato ha sottolineato: “Il ddl è un’occasione persa. Non siamo giustiazialisti, ma chiedevamo misure come l’agente provocatore”, ossia un soggetto istituzionale che istigherebbe a commettere un reato. “Troppo pericoloso per le garanzie dell’imputato che è la parte debole del processo”, è stata la replica di due ex pm di opposti schieramenti, Francesco Nitto Palma (FI) e Felice Casson (Pd). Seppur con toni diversi, Palma e Casson hanno espresso il loro disappunto sulla proposta dei grillini, i quali alla fine, abbandonando l’idea dell’“agente provocatore”, hanno scelto di rivolgersi al governo con un ordine del giorno: l’esecutivo sarebbe chiamato a valutare la possibilità di estendere le operazioni sottocopertura (previste per mafia, droga e terrorismo) anche per la lotta contro la corruzione.

Al di là delle polemiche dopo 747 giorni dal 15 marzo 2013 – quando Pietro Grasso presentò la sua proposta di legge – il provvedimento contro la corruzione inizia finalmente la sua strada per diventare legge. Oltre al ripristino del falso in bilancio – nel caso delle società quotate è prevista la disposizione di intercettazioni – la versione attuale del ddl prevede anche pene più severe per i boss mafiosi, che potranno restare in carcere fino a 26 anni, per peculato e per corruzione. La corruzione vera e propria viene punita con la pena di 6-10 anni; la corruzione per induzione con 6-10 anni e sei mesi; la corruzione in atti giudiziari con 6-12 anni.

Dall’anticorruzione la tempesta si estende all’Italicum, per cui è caos in casa dem. Pier Luigi Bersani mette in guardia il premier Renzi avvertendolo che il voto sulla nuova legge elettorale non è scontato. Renzi mira addirittura ad un rimpastino all’interno della commissioni Affari costituzionali nella quale i dem dissidenti potrebbero essere sostituiti pur di arrivare al traguardo. “Se continuerà a fare delle forzature, io stesso chiederò di essere sostituito”, afferma Bersani in un’intervista a la Repubblica. L’ex segretario accenna inoltre a la “maggioranza sul Mattarellum”, con l’idea di tentare di tornare al vecchio sistema elettorale gradito anche ai Cinquestelle. In verità Bersani si accontenterebbe di qualche modifica per migliorare il testo e per questo contesta la chiusura totale del segretario del Pd.

“Noi abbiamo detto: concordiamo alcune modifiche e poi votiamo l’Italicum tutti insieme sia alla Camera sia al Senato. E lui che dice? Non mi fido. Ho trovato questa risposta offensiva – sottolinea il padre della “Ditta” -, molto più di tante battutine personali che riserva a chi dissente”. Bersani aggiunge che se Renzi deciderà di apporre la fiducia sulla legge elettorale c’è solo un precedente: “Era il ’53, la legge truffa”, un’affermazione che ha mandato su tutte le furie i renziani, convinti comunque che al momento del voto prevarrà la disciplina di partito.

Tempesta anche per il mini rimpasto all’interno del governo, per cui Graziano Delrio è stato investito del ruolo di ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Un rimpasto a due tempi, come è stato soprannominato: prima il ministero di Porta Pia, poi gli Affari regionali, cercando di placare l’ira degli alleati del Nuovo Centrodestra. Per gli Affari regionali il partito di Alfano chiede in particolare la gestione dei fondi Ue che Delrio potrebbe trascinarsi alle Infrastrutture. Per quanto riguarda il sostituto di Delrio alla Presidenza, invece, Ncd propone Dorina Bianchi ma è molto improbabile che Renzi ceda la poltrona di sottosegretario a Palazzo Chigi all’opposizione interna. Nel pallottoliere gestito dal premier oltre a Finocchiaro, Sereni e Lanzillotta ci sarebbe anche Antonella Manzione, capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi e ex comandante dei vigili urbani di Firenze.

Sul fronte dei conti, per scongiurare l’aumento dell’Iva e delle accise il governo mira a recuperare dieci miliardi di euro per il prossimo anno. In arrivo quindi nuovi tagli alla spesa pubblica, sia per snellire i costi del sistema statale sia per evitare nuove fatiche economiche per i cittadini italiani. Il Def, che dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri il prossimo 10 aprile, conterrà tutte le linee guida dell’operazione. Sul sito reviosionedellaspesa.gov.it si ipotizza un risparmio di 700 milioni di euro per i costi della politica tra Comuni, Regioni e finanziamento ai partiti. Il nuovo commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, auspica inoltre di “continuare nell’operazione di riduzione delle tasse”. Tagli anche per le Camere di commercio, che il ministro della Pubblica amministrazione conferma saranno “60” e non più 105, e un rafforzamento della fatturazione elettronica. Tra fornitori abituali (100mila) e fornitori occasionali (1,8 milioni) si stima che a regime saranno circa 50 milioni le fatture elettroniche scambiate dalla Pa, per un valore complessivo dell’acquistato pari a 135 miliardi di euro ogni anno.

I cambiamenti della Pa non si fermano qui. Dopo sette mesi di discussione la riforma della Pubblica amministrazione strappa alla Commissione Affari costituzionali il primo via libera, e il ministro Madia annuncia nuove regole a partire dal riordino della dirigenza. La licenziabilità, gli incarichi a tempo, il ruolo unico, l’abolizione in due fasce e il tetto agli stipendi sono i capisaldi del ddl Madia, mentre lo stop agli automatismi (varrà solo il merito) e la responsabilità in via esclusiva per l’attività gestionale sono tra le novità introdotte in commissione.

Per essere dirigenti della Pa non sarà più sufficiente vincere un concorso, ma occorrerà superare un esame successivo (dopo tre o quattro anni di lavoro) per essere assunti a tempo indeterminato, e soprattutto verrà effettuata una preselezione. Un’apposita commissione vigilerà invece sugli incarichi, che non potranno superare i tre anni e saranno rinnovati una sola volta. Se privi di incarico per un certo periodo (probabilmente dai 2 ai 3 anni, ma è ancora da definire) i dirigenti potranno infine essere licenziati. “Non è una riforma di settore, ma è una riforma per il Paese, per 60 milioni di cittadini, volta a semplificare la loro vita”, ha spiegato il ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione che commentando il lavoro svolto in commissione lo ha definito “una bella pagina dialettica parlamentare”.

Il governo italiano, infine, mira ad attuare anche nel 2016 una politica di bilancio espansiva a sostegno della crescita, dell’occupazione e degli investimenti. Per far questo userà margini più flessibili nell’ambito delle regole Ue, rispettando però “due vincoli” – ha affermato alla Camera il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan – “del mercato, e dunque del rifinanziamento del debito, e delle regole europee sui bilanci”. Padoan non ha svelato le cifre del Documento di economia e finanza, atteso in Consiglio dei ministri la prossima settimana, ma la strategia della politica di bilancio del prossimo triennio confermerebbe un obiettivo di deficit pari al 2,6% per il 2015 (come concordato ad ottobre con l’Unione europea), mentre per il 2016 il parametro potrebbe subire delle variazioni, qualora l’Italia chiedesse all’Ue di avvalersi della clausola che consente di allentare la presa del pareggio strutturale di bilancio a fronte dell’attuazione delle riforme strutturali. Saranno allegati al Def anche 49 progetti infrastrutturali – alta velocità ferroviaria, banda larga, dissesto idrogeologico, messa in sicurezza delle scuole, ricerca e siderurgia – per i quali il governo Renzi mira ad attingere risorse dal piano Juncker di finanziamenti dell’Unione europea.

Al di là dell’ampia e ottimistica progettualità delineata all’interno dei Palazzi, dopo i dati negativi sull’occupazione – 44mila occupati in meno nel mese di febbraio, un aumento della disoccupazione generale risalita al 12,7% e quella giovanile balzata al 42,6% – l’Istat  fotografa una pressione fiscale in aumento – nel dettaglio nell’ultimo trimestre del 2014 risulta essere pari al 50,3%, in aumento dello 0,1% rispetto allo stesso trimestre del 2013 – un potere d’acquisto delle famiglie che arranca e un rapporto tra debito e Pil in crescita, 3,0% nel 2014, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al 2013.

Dati economici tutt’altro che incoraggianti mettono dunque a dura prova il profilo riformista del governo Renzi che nelle prossime settimane dovrà spazzare via i dubbi sollevati dagli ultimi risultati di ricerca. In base ad un ulteriore sondaggio (Ixé di Roberto Weber) gli italiani, infine, non credono che nel breve periodo si possa assistere ad una ripresa miracolosa, il 63% infatti è convinto che il tunnel della crisi sia ancora alquanto lungo da percorrere. L’andamento delle tasse e le dinamiche del mercato del lavoro sarebbero gli indicatori che stanno alla base della percezione negativa della realtà da parte degli italiani che, basandosi sull’osservazione concreta – in pratica sulla loro vita quotidiana – non vedono la ripresa, smentendo l’ottimismo ostentato dal governo.

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