Al Qaeda sbarca in Sardegna?
E’ di qualche giorno addietro la notizia di diciotto ordinanze di custodia cautelare per associazione a delinquere con finalità terroristiche, spiccate – a seguito di una estesa indagine della Digos di Sassari – all’indirizzo di soggetti indagati originari del Pakistan, per lo più domiciliati in Sardegna.
Partita nel lontano 2005 dal porto di Olbia, dopo la perquisizione del bagaglio di un passeggero pachistano per presunto trasporto di materiale esplosivo, l’inchiesta ha assunto presto rilievo nazionale. La settimana scorsa, coordinati dalla Procura Distrettuale di Cagliari, gli investigatori hanno individuato nel comune gallurese una pericolosa cellula di Al Qaeda, responsabile, tra l’altro, della pianificazione della strage al mercato di Peshawar nel 2009 e del supporto a un kamikaze, presente a Roma nel marzo del 2010, sospettato della preparazione di un attentato contro il Vaticano, tentativo per la verità mai confermato dal Ministero dell’Interno.
Dagli interrogatori e dalle traduzioni d’intercettazioni telefoniche e ambientali, emerge oggi la fitta rete di relazioni intessuta per anni dalla base qaedista di Olbia, animata dal duplice obiettivo di combattere l’Occidente e di rovesciare in Pakistan – con la violenza – l’attuale governo schierato contro le milizie talebane. Gli inquirenti hanno scoperchiato un autentico vaso di Pandora: Imam che, in apparenza, si occupano di raccogliere fondi e promuovere collette benefiche in seno alla comunità islamica, ma, in realtà, fungono da finanziatori occulti per operazioni terroristiche e da ufficio reclutamento; imprenditori e commercianti, stabilmente integrati nella nostra società, che da un bazar gestiscono l’introduzione illegale di clandestini di nazionalità pachistana o afgana segnalati da Al Qaeda, fornendo documenti falsi e assunzioni di comodo; aspiranti jihadisti, mimetizzati nel continuo flusso di migranti disperati, che si spacciano per cristiani perseguitati in cerca di asilo politico; famiglie di islamici, da tempo stanziali in Italia, che fiancheggiano i protagonisti della “lotta al miscredente”, offrendo ricovero, assistenza e coperture. Sulla vicenda, suscitano allarme le parole del procuratore distrettuale di Cagliari Mauro Mura, il quale ha definito gli arrestati individui di grande spessore criminale, spietati e pronti a tutto.
Preoccupa molto anche il forte radicamento complessivo sul territorio, raggiunto da esponenti e strutture organizzate del fondamentalismo islamico. Infine, altro pericolo da non sottovalutare, l’attrazione fatale che guide religiose e falsi ideologi esercitano sulle nuove generazioni costituite dai figli d’immigrati, potenziali “combattenti” già fisicamente presenti sul teatro della battaglia contro i crociati d’Occidente. La minaccia è reale: da un lato, non può essere affrontata con superficialità; dall’altro, non si deve cedere alla tentazione di far di tutta l’erba un fascio, creando un noi e un loro.
Dunque, come separare il grano dal loglio e non discriminare i tanti buoni musulmani che, pur seguendo il proprio credo, osservano regole e leggi del paese straniero in cui hanno scelto di vivere? Sarà arduo trovare risposte efficaci, ma una cosa è certa: alzare una barriera di diffidenza e odio e negare l’opportunità di dialogo tra due civiltà e culture che, in tempi meno tetri di quelli odierni, avrebbero potuto insieme elevare le qualità intellettuali, morali e spirituali del genere umano, sarebbe la sconfitta più grande.