Legge elettorale, non è detto sia finita qui
La Legge elettorale alla fine è passata, con maggioranze che ci sarebbero state molto probabilmente anche senza la fiducia posta dal Governo, come era apparso chiaro nel voto che aveva respinto le pregiudiziali di incostituzionalità. Renzi ha però ritenuto egualmente di blindarla. Non credo abbia fatto una cosa saggia e neppure tanto corretta. Il braccio di ferro e la disciplina di partito su temi di portata generale non è mai consigliabile, e il Premier avrebbe ottenuto una maggioranza anche più ampia se avesse accettato due modifiche chieste dall’oppozione interna: l’abolizione del premio di maggioranza al primo turno e l’introduzione delle preferenze, o magari della preferenza unica. Così facendo, avrebbe messo la Legge al sicuro anche dal punto di vista costituzionale. Il prezzo sarebbe stato il ritorno della Legge al Senato, dove però una maggioranza ci sarebbe stata. Perché non lo ha fatto? Un po’ c’entra il suo carattere sbrigativo e abbastanza autoritario. Molto, credo, una deliberata scelta politica: mettere i dissidenti del PD in un angolo e mantenere, con i “capilista bloccati”, il controllo su una parte almeno dei futuri parlamentari.
Ma la vicenda non è ancora finita. Se il Capo dello Stato promulga la legge, restano all’opposizione due strade: una, complessa e dubbia, quella del referendum abrogativo (c’è il precedente negativo del referendum per l’abolizione del Porcellum respinto dalla Cassazione); l’altra, un eventuale giudizio di incostituzionalità da parte della Consulta, che prenderebbe tempo (a meno che non fosse il Governo stesso ad accelerare i tempi). Non è naturalmente possibile prevedere come si pronunzierebbe la Corte, ma il precedente dell’abrogazione del Porcellum dovrebbe far pensare a un giudizio negativo, quantomeno per il premio di maggiorazna al primo turno che pare effettivamente dubbio sul piano costituzionale. È da chiedersi se, nel presentare il progetto di legge, il Governo non abbia prudentemente acquisito un parere anche informale della Corte. Nonostante questi dubbi, la Legge è, nel suo insieme, valida, visto che per la prima volta introduce anche in Italia il sistema democraticissimo del ballottaggio. Questo dovrebbe restare intatto anche se la Corte dovesse eventualmente abrogare il premio di maggioranza al primo (e magari anche al secondo) turno e i capilista bloccati.
Altra cosa sono le conseguenze all’interno del PD. Renzi ha scelto la via del confronto rispetto a quella della conciliazione eterna. Resta da vedere se adesso cercherà di ricucire lo strappo, recuperando almeno i più tiepidi e ragionevoli dei suoi avversari. Può farlo in occasione della riforma del Senato (accettare l’elezione diretta dei senatori sarebbe, non solo un gesto di saggezza, ma una scelta corretta). E può darsi che sia invece deciso a chiudere la partita obbligando i dissidenti peggiori (i vari Fassina e Civati) ad andarsene (emigrino nel SEL, dove è giusto stiano). Credo che alla fine gli irriducibili non siano più di una quindicina. Non sarebbe una perdita, ma un fattore di chiarezza. Almeno il PD diverrebbe davvero e senza remore quella forza riformatrice e moderna che pare dice di essere.
Non si può però chiudere questa nota senza rilevare l’incoerenza di Forza Italia. Le altre opposizioni hanno fatto il loro mestiere. Forza Italia ha raggiunto i limiti della decenza e, come sempre, si è distinto in questo il gigantesco Brunetta. Battendo ogni record di ipocrisia, questo signore ha parlato di “giornata funerea per la democrazia”. Sperando che la gente si sia scordata che questa legge è una variazione migliorata del Porcellum voluto da Berlusconi e votato dal PDL compatto (Brunetta compreso); che premio di maggioranza e abolizione delle preferenze nascono dall’accordo del Nazareno e furono accanitamente voluti in particolare da Berlusconi (ricordiamo che Renzi dovette sudare quattro camicie perché Berlusconi accettasse il passaggio della soglia per il premio da 35 a 37 e poi al 40%); che, per questo, la Legge era stata votata da FI al Senato. Quando si raggiungono questi limiti di sfacciataggine si perde ogni residua credibilità. Non per niente, alcuni in FI (Romani e Verdini, tra gli altri) non erano d’accordo. La disciplina di partito e le modalità del voto li ha neutralizzati questa volta, ma è probabile che il dissenso resti e magari si amplifichi tra quelli che non sono disposti a seguire in eterno le giravolte dell’ex-Cavaliere e dei suoi più incondizionali servitorelli.