Gestione immigrazione, ora è anche un affare europeo
E’ di ieri l’ultimo aggiornamento utile sull’emergenza immigrazione. Con un tweet riportato dalle agenzie di stampa, Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la politica Estera dell’Unione, ha annunciato l’approvazione, da parte della Commissione europea, della nuova agenda sulla gestione del problema. “Giornata storica per l’Italia” esulta Mogherini e “disponibilità d’accoglienza tra tutti gli Stati membri per 20.000 rifugiati”. Vale, dunque, la pena di ripercorrere il tragitto che ha condotto a questo risultato ed evidenziare i molteplici fattori intervenuti a comporre il mosaico.
Nei giorni scorsi, davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Mogherini, ha lanciato un allarme sulla situazione nel Mediterraneo e si è appellata all’urgenza di trovare soluzioni rapide ed efficaci; all’ordine del giorno, l’esposizione del piano UE di prevenzione e contrasto alla massiccia tratta di esseri umani che affligge i confini del sud dell’Europa. E’ sempre stato intendimento condiviso tra le parti in causa, che il problema sia affrontato e sanato senza trascurarne il duplice volto di crisi umanitaria e di pericolo per la sicurezza. Interventi che soddisfino solo uno dei due aspetti non possono, evidentemente, essere ritenuti risolutivi.
Ciò premesso, la relazione di Mogherini è sintetizzabile in quattro punti principali: supporto ai Paesi di provenienza dei migranti, controllo dei confini meridionali libici e degli Stati attigui per monitorare e contenere il transito dei flussi, operazioni di polizia contro le organizzazioni criminali di trafficanti e principio dell’obbligatorietà di ripartizione dei profughi con un meccanismo di quote proporzionate a PIL, densità demografica ed estensione territoriale del paese europeo ospitante. Il percorso di formulazione delle proposte avanzate dall’Europa, prima di arrivare sui tavoli del Palazzo di vetro, non è stato scevro da ostacoli. L’ultimo punto, fortemente caldeggiato dal Presidente della Commissione UE Juncker, teso a costruire un’equa e solidale partecipazione di tutti gli Stati Europei attorno a quello che deve essere uno sforzo comune, ha sì creato maggiore coesione e assunzione di responsabilità, ma ha anche sollevato il parere contrario di Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e paesi dell’est, fra cui Ungheria e repubbliche baltiche.
In proposito, si è espresso il Presidente della Repubblica Mattarella, dichiarando che i paesi europei, insieme, possono assorbire i rifugiati senza ricacciarli indietro; fra le righe, un monito all’Unione sul fatto che i confini italiani siano, a pieno titolo, effettivi confini europei, con tutte le implicazioni che ne conseguono. Consenso generale, invece, ha riscosso la decisione di aumentare i fondi destinati alle missioni Triton e Poseidon e ai paesi – come il nostro – che, per ovvie ragioni geografiche, sono in prima linea nella gestione immediata dell’accoglienza e nell’approntamento di un adeguato cordone sanitario. Una volta ottenuta dall’Italia, con un’insistita manovra di sensibilizzazione, l’attenzione dell’Europa, è ora l’Europa, per il tramite di Federica Mogherini, a richiedere il sostegno degli altri paesi membri delle Nazioni Unite. L’UE intende inserire in un quadro di legalità internazionale le eventuali operazioni mirate a distruggere i barconi negli stessi porti libici di partenza. Il punto in questione introdurrebbe la necessità di dialogo e collaborazione con lo stesso paese nordafricano, a garanzia che gli interventi europei di carattere militare non costituiscano atti di guerra o illegittime ingerenze, né siano percepiti come tali, ma si mantengano nell’alveo di una missione umanitaria. La frammentazione politica derivata dalla guerra civile non facilita il compito; in ogni caso, l’interlocutore libico, oggi riconosciuto sul piano internazionale, resta il governo di Tobruk, il quale ha già manifestato di non gradire iniziative esterne di natura bellica sul proprio territorio, sebbene volte a colpire esclusivamente i trafficanti.
Si delineano, quindi, all’orizzonte ulteriori motivi di tensione: da un lato, la concreta possibilità di ricorrere a una risoluzione che contempli l’uso della forza come estrema ratio, in conformità con quanto previsto nel capitolo 7 della Carta ONU; dall’altro, l’attuale atteggiamento intransigente della Libia sull’ipotesi di azioni “energiche” di marca europea nei suoi porti e acque territoriali. Nel frattempo, nonostante lo scetticismo dei nostri 007, Omar al Gawari, ministro dell’informazione del governo di Tobruk, ci avverte dell’imminente sbarco di miliziani dell’Isis sulle coste italiane a bordo di barconi di migranti.