Pasolini prossimo nostro (Film, 2006)

Giuseppe Bertolucci (1947-2012), figlio del poeta Attilio e fratello minore del regista Bernardo, esordisce con il documentario I poveri muoiono prima (1971), si ricorda soprattutto per Berlinguer ti voglio bene (1977), primo approccio cinematografico con la comicità di Roberto Benigni. Autore molto personale, scrive Roberto Poppi (I Registi Italiani) capace di realizzare lavori come I panni sporchi (1980) e I cammelli (1988). Attivo in teatro, lascia come ultima opera un interessante documentario su Salò o Le 120 giornate di Sodoma di Pier  Paolo Pasolini, un collage di dichiarazioni d’autore che spiegano in modo esaustivo un’opera complessa, scomoda e spesso fraintesa.

Bertolucci mette Pasolini in primo piano facendo scorrere come fotogrammi di una pellicola immagini in bianco e nero tratte da Salò. Il nostro più grande intellettuale del Novecento spiega il senso del film, i motivi della sua opera, la sua poetica controcorrente e culturalmente rivoluzionaria. Salò non è una pellicola sadomasochista fine a se stessa, ma una metafora del potere che mercifica il corpo umano. Un film che è l’esatto contrario della gioiosa trilogia della vita – abiurata da Pasolini – e che rappresenta l’uomo ridotto a merce da un’odiosa società consumista. Al tempo stesso Pasolini rievoca i giorni della Repubblica di Salò, il Friuli diventato provincia germanica, il paese della madre – Casarsa – dove era sfollato nel 1943 e la morte del fratello per mano nazista.

Il regista racconta i giovani del 1975, afferma che tutti seguono gli stessi valori, indossano abiti come maschere e bandiere, veri e propri simboli di appartenenza. Le colpe dei padri ricadono sui figli per troppe vite perdute, perché i genitori non hanno fatto niente per impedire la massificazione di corpi e idee. Scorrono fotogrammi da Salò in bianco e mero mentre la voce di Pasolini incide come un bisturi nella carne: “Le società repressive reprimono tutto, ergo la libertà conquistata è vera libertà. Le società permissive permettono qualcosa, solo quel qualcosa si può fare, quindi è falsa libertà”. Pasolini stigmatizza in Salò l’anarchia del potere e tenta di spiegare un difficile concetto di modernità che nasce dalla spinta dei popoli sottosviluppati. L’uomo cambia, la mutazione antropologica è inevitabile, ma la società contemporanea realizza un cambiamento negativo.

Il consumismo per Pasolini è oppressione, una forma di edonismo piccolo borghese fondata su valori inesistenti. “I produttori convincono i consumatori a mangiare merda”, afferma il poeta. E rincara: “Niente è più anarchico del potere, perché il potere – qualunque esso sia – fa quel che vuole”. Il consumismo coinvolge fino in fondo le masse, chi consuma crede di esprimere un diritto, ma segue soltanto la volontà di un potere codificatore che ritualizza il nulla. I riti contemporanei si celebrano davanti a un televisore, in coda per fare la spesa in un supermercato o nel traffico, al volante di un’automobile. “L’iniziazione è scomparsa, perché il giovane consumatore non ha niente di diverso dal vecchio. Non ha bisogno di essere introdotto nel mercato”, dice Pasolini. Il poeta è pessimista: “L’uomo è sempre stato conformista. Non ci sarà mai un tipo di società in cui l’uomo sia libero”.

Molto interessante la spiegazione dell’abbandono della letteratura da parte di Pasolini, che motiva la scelta di un nuovo linguaggio con il bisogno di realtà. “Il cinema è diverso dalla scrittura, esprime la realtà con le immagini, attraverso un linguaggio irrazionale e onirico”. Pasolini spiega la sua predilezione per gli attori non professionisti e per le scenografie vere, non costruite in studio: “Raccolgo il materiale che reperisco nella realtà, lo organizzo con il montaggio e finisco per stupirmi del risultato”. Salò è un eccezione nella poetica pasoliniana, perché è un film già montato, recitato da attori professionisti e da comparse che devono interpretare dei ruoli, esprimere dolore, impotenza, rabbia, disperazione. I film di Pasolini rifuggono dal piano sequenza, sono lineari, senza attori che entrano ed escono di campo. Pasolini afferma che il punto centrale della sua opera è un’idea formale, quella che chiama l’illuminazione del film, l’dea della pellicola che sta per girare. E il suo sguardo sul mondo tende a essere vero, arcaico, sacrale, originario.

“Nessun artista in nessuna società è libero. Non ci resta che essere coerenti con noi stessi e con le proprie idee”, conclude Pasolini. Una grande lezione di vita da parte di chi lo è stato fino in fondo, o meglio, fino a quando glielo hanno permesso.

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Regia: Giuseppe Bertolucci. Produttore: Angelo S. Draicchio. Produzione: Ripley’s Film, Cinemazero. Elaborazione Materiali d’Archivio: Giuseppe Bertolucci, Federica Lang. Montaggio. Federica Lang. Fotografie: Deborah Imoger Beer, Gideon Bachmann. Interviste e regia filmati: Gideon Bachmann. Supervisione Musicale e Suono: Fabio Venturi. Supervisione Montaggio, Post Produzione HD, Correzione Colore: Paolo Benassi. Assistente Post Produzione: Anna Del Dotto. Montaggio Suono: Damiano Antinori. Masterizzazione Audio Interviste: Stefano Fazi. Trascrizione e Supervisione Interviste: Claude Woznick. Masterizzazione HD Foto: Katarzyna Bak. Missaggio Colonna: Francesco Tuminello. Brani Musicali: Son tanto triste (Ansaldo – Bracchi), Settembre ti dirà (Moretti) eseguita al piano da Monica Ficarra, Torna piccina mia (Bixio), Preludio op. 28 n. 4 (Chopin), Carmina Burana (Carl Orff), Sul ponte di Perati (canto popolare). Dedica: In memoria della fotografa Deborah Imoger Beer.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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