Cronache dai Palazzi

Alcune riforme non possono essere forzate e bisognerà attendere il ritorno dalle ferie estive per vederle approvate in Parlamento. È così ad esempio per la riforma del Senato, osteggiata dalla minoranza dem (e non solo), che è stata di fatto rinviata a settembre, magari per riflettere su un testo che non convince gli avversari. I numeri parlamentari in pratica non ci sono e occorre ponderare le sorti della seconda Camera del Parlamento, che i 25 parlamentari dem dissidenti vorrebbero sia un Senato elettivo, ciò che in questo momento avrebbe potuto provocare le dimissioni della presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, non in linea con i 25 dem.

Il voto regionale di maggio ha ridimensionato le prospettive totalizzanti della squadra renziana anche se il premier-segretario continua a spingere il piede sull’acceleratore e ai suoi, in particolare, chiede un cambio di passo, o meglio di comunicazione. Al Largo del Nazareno va in scena infatti il metodo del “tiki taka”.

“Basta giocare in difesa, dobbiamo abbondare il catenaccio e passare a un gioco di qualità come il tiki taka che ha fatto il grande Barça di Messi. Negli ultimi mesi – ha sottolineato Renzi – è mancata la capacità di comunicare le tante cose fatte. A partire dalle riforme del governo”. Il premier addebita quindi ad un deleterio errore di comunicazione eventuali scivoloni dell’esecutivo e non manca di sottolineare: “I nostri avversari sono quelli che sperano nel fallimento dell’Italia. Il loro nido è il talk show non il Parlamento”.

La modifica del testo del ddl Boschi, avanzata e sottoscritta dai 25 dem in un documento – in un quadro che vede la maggioranza avere un margine di soli 7 voti –, riguarda l’elezione diretta dei futuri inquilini di Palazzo Madama. Si tratta di una modifica che provoca la sordità di Boschi e Renzi  – dato che implicherebbe altri passaggi tra le Camere – che scelgono quindi di allungare i tempi del confronto facendo slittare la discussione dall’8 agosto alla fine del mese o all’inizio di settembre. I tempi indicati non pregiudicherebbero comunque l’obiettivo finale del presidente del Consiglio che mira a celebrare la riforma con un referendum confermativo nella tarda primavera del 2016.

Un ulteriore allungamento dei tempi per quanto riguarda la riforma del bicameralismo perfetto dovrebbe inoltre servire ad alleggerire i toni con la minoranza dem, dato che a Palazzo Madama la maggioranza cammina su un filo e, molto probabilmente, nemmeno un eventuale “soccorso azzurro” dei senatori verdiani potrebbe rendere possibile il passaggio della riforma. Meglio aspettare, secondo i renziani. L’intesa potrebbe essere raggiunta modificando il sistema di elezione dei senatori intervenendo non tanto sull’art. 2 del testo quanto aggiungendo uno specifico comma.

Il ministro Giannini si dichiara invece soddisfatta per la mite discussione a Montecitorio sulla riforma della scuola, che supera gli ostacoli apposti dai pochi emendamenti (appena 140) anche se la tensione resta alta sia dentro sua fuori dal Parlamento. “I toni sono stati meno aspri rispetto alla prima fase”, ha affermato Giannini confermando inoltre il piano delle assunzioni per l’anno scolastico 2015-2016: “Un impegno assunto nei confronti di una platea di insegnanti che sono stati per anni appesi a una speranza inevasa”.

Nelle piazze si continua comunque a protestare contro la Buona scuola che non sembra convincere abbastanza, e nell’Aula di Montecitorio insegnanti con la fascia a lutto assistono dalle tribune del pubblico alla discussione generale sulla riforma, arrivata ormai alla Camera per il via libera definitivo.

Di fronte a Montecitorio una piazza ricolma di bandiere colorate e striscioni molto suggestivi (“Renzi #staisereno prenditi un Oxi”) grida: “Non ci fermeremo, la protesta contro la Buona scuola non finisce qui, ci rivediamo a settembre”. I manifestanti guidati dal leader dei Cobas  Piero Bernocchi hanno cercato anche di raggiungere il Colle per chiedere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di non firmate la nuova legge. “La mobilitazione continuerà anche durante l’estate – ha dichiarato Rino Di Meglio della Gilda insegnanti, promettendo un estate di fuoco – e a settembre ogni istituto diventerà la Stalingrado della Buona scuola perché l’applicazione di questa riforma incontrerà enormi difficoltà”. I sindacati annunciano a loro volta fiumi di ricorsi, altro che soddisfazione per la Buona Scuola. Flc Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Fnals Confsal, Gilda hanno riunito gli uffici legali “per rispondere alle centinaia di ricorsi che arriveranno da settembre da parte di precari non assunti, ma anche contro le decisioni dei presidi trasformati in manager”.

La battaglia è dura anche dentro i palazzi e in Parlamento anche i Cinquestelle chiedono a Mattarella di non firmare la legge “perché incostituzionale”: “La nostra opposizione è totale e assoluta – afferma in aula Gianluca Vacca – perché la riforma sarà dannosa per la scuola italiana”. Dai banchi dei forzisti, stranamente, si levano invece degli assists alla nuova riforma targata Renzi. “Le proteste sono eccessive: nel testo ci sono delle criticità – spiega Elena Centemero, responsabile scuola di Forza Italia – ma la nostra scuola ha bisogno di cambiare e ora alcuni passi vengono fatti”. Sarà comunque un “autunno caldo”, come prevede Domenico Pantaleo della Cgil.

Ed infine la riforma della Rai che sembra aver messo tutti d’accordo, tantoché il disegno di legge supera l’esame in commissione Lavori pubblici a Palazzo Madama. Anche Forza Italia e Movimento Cinque Stelle hanno votato il mandato ai relatori insieme alla maggioranza e Maurizio Gasparri ha sottolineato, come un merito, il fatto che la nuova legge ricalchi in sostanza la sua “al 99 per cento”. Non a caso in Transatlantico si parla già di “rinascita” della “gasparrina”.

Dopo aver accettato il rinvio a settembre della riforma costituzionale la squadra di Renzi sbandiera il sì bipartisan a proposito di riforma Rai come un nuovo traguardo da non sottovalutare. Ricompare la figura del “presidente di garanzia”, eletto con un quorum dei due terzi della commissione di Vigilanza, che inizialmente Renzi pensava di eliminare. Il Cda dell’azienda resta invece centrale e al suo parere “obbligatorio” e “vincolante” l’amministratore delegato dovrà sottomettere le nomine dei direttori di reti e tg, ovviamente nel caso in cui il parere venga espresso con una maggioranza qualificata.

Non mancano comunque le voci dissenzienti. Dalle fila dei forzisti Augusto Minzolini (già direttore del tg1) si astiene dal voto in commissione puntando su un ulteriore depotenziamento dell’amministratore delegato quando il ddl giungerà in aula. I grillini invece rivendicano “norme di trasparenza” e determinati “requisiti per essere nominati nel Cda”.

Roberto Fico (M5S) presidente della Vigilanza ha invece ammonito: “Se non verranno approvati i nostri emendamenti sarà battaglia durissima”. E  anche nel Pd, nonostante la soddisfazione generale per un sì tutt’altro che scontato, c’è chi dissente: “È stupefacente che si preveda la nomina dei direttori di rete da parte della Vigilanza – ha dichiarato Michele Anzaldi all’Adnkronos -. Altro che meno politica, la politica raddoppia! E risulta assordante anche il silenzio, che insospettisce, dell’Usigrai”. Per il momento la riforma della Rai attende comunque l’approvazione definitiva che consentirà di rinnovare i vertici di Viale Mazzini. Il successore di Gubitosi potrebbe essere una donna: in pole position Marinella Soldi di Discovery e Patrizia Greco presidente di Enel. Candidati anche Andrea Scrosati di Sky e Vincenzo Novari di H3g.

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