Bolle cinesi

Se domandassimo ad un bambino come si fa una bolla e rapportassimo la descrizione del procedimento al mondo finanziario, potremmo dedurne delle analogie interessanti: bisogna avere del sapone liquido (denaro), disponibile in un contenitore (sistema borsistico mondiale), prelevarne una pellicola sottile (azioni, obbligazioni, valute, titoli su merci, materie prime et similia), tramite un’asticciola con estremità circolare (piattaforme di trading per investitori) e, infine, soffiarci dentro con più o meno forza (volume delle transazioni finanziarie e gioco della domanda e dell’offerta, su cui s’innestano le scaltre strategie speculative di grandi e piccoli operatori).

Quando il mercato finanziario di un determinato paese si discosta ingiustificatamente e troppo dall’andamento del PIL, indicatore dell’economia reale, è possibile che ci si trovi davanti ad una bolla pronta ad esplodere. E’ quanto successo in Cina, nelle due piazze finanziarie di Shangai e Shenzen, dopo 12 mesi di continua crescita del listino sino al 150%, senza che vi fosse uno specifico collegamento a particolari risultati delle aziende cinesi. Nel giugno scorso, la repentina inversione di tendenza: il colosso asiatico ha piegato le ginocchia e, da allora, continua a perdere, scatenando il panico tra gli investitori. Una spiegazione piuttosto semplificata che, probabilmente, non rappresenta in modo adeguato le ben più complesse dinamiche che animano i mercati finanziari, nelle quali affonda le radici l’idea stessa di capitalismo, ma fornisce, in maniera comprensibile anche ai profani, un’immagine quantomeno sommaria della situazione.

La Borsa di Shangai ha chiuso la giornata di scambi dell’8 luglio scorso in territorio negativo, cedendo il 5,9%, performance che ha trascinato in un preoccupante ribasso anche le borse di Hong Kong (5,8%) e Tokio (3,14%). Il crollo ha interessato prevalentemente i titoli tecnologici raccolti sotto l’indice ChiNext, omologo del NASDAQ statunitense, gli stessi che, nell’arco dei mesi precedenti, avevano fruttato ingenti guadagni agli operatori. Gli analisti già azzardano paragoni con la bolla della “new economy”, che, nel 1999, colpì le nuove aziende americane del settore digitale, e attendono l’arrivo dell’onda lunga nel Vecchio Continente, con somma agitazione della maggior parte delle piazze finanziarie europee. Non è archiviabile come dato ordinario il fatto che, dall’inizio della caduta dei titoli, il vasto mercato finanziario cinese, area d’interesse per molti paesi occidentali esportatori di beni di lusso, quali Germania e Svizzera, abbia bruciato circa 3.000 miliardi di dollari, l’equivalente – tanto per fissare un punto di riferimento – dell’intero PIL della Gran Bretagna nel 2014.

La Banca Centrale di Pechino ha disposto drastiche contromisure per arginare l’enorme flusso di vendite di titoli e prevenire il crollo verticale dei listini, garantendo iniezioni di sufficiente liquidità nel sistema e bloccando le quotazioni in borsa di nuove aziende. Nel frattempo, altre manovre di contenimento hanno portato alla sospensione dalle negoziazioni di oltre 1.400 società. Lo scoppio della bolla finanziaria, che segue alle precedenti crisi dell’oro e dell’immobiliare, rischia di spazzare via oltre 90 milioni di cinesi, i quali, presi dall’euforia per la sostanziosa crescita dei listini nell’ultimo anno e abbagliati dal sogno di facili bottini, si sono buttati a babbo morto nel trading finanziario.

La carenza d’esperienza e di approfondite nozioni tecniche, insita nel genoma delle vaste e improvvisate fasce di micro-investitori, è causa di forte emotività e instabilità del circuito finanziario, nonché generatrice – al primo manifestarsi di trend negativi – del cosiddetto panic-selling (folli corse alle vendite dovute al panico), con conseguente crollo del valore dei titoli, accentuato nei suoi letali effetti anche dalla febbrile attività degli “shortisti”, trader specializzati nel trarre profitti in condizioni di mercato al ribasso.

Alla fine, la verità nuda e cruda è che il sistema economico globale tende a passare sempre meno per la produzione reale, avventurandosi – di contro – nel campo della speculazione finanziaria selvaggia, dove parametri assai differenti e molto più volatili dettano le regole del gioco: le Borse sono uno strano organismo pulsante, che si espande e si contrae, che dà e toglie, spesso soggetto a imprevedibili aritmie, a volte immagine ingannevole di oasi che non esistono veramente.

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