Cronache dai Palazzi
La battaglia sulle riforme continua a scuotere i partiti mettendo a dura la prova la maggioranza di governo, soprattutto a Palazzo Madama. In testa la riforma del bicameralismo perfetto, sulla quale si è pronunciato anche il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, sottolineando che la riforma costituzionale deve essere approvata senza stravolgimenti evitando un improduttivo “nulla di fatto” che metterebbe a dura prova la credibilità dell’Italia. “Il bicameralismo perfetto ha prodotto mostri” ha sostenuto in commissione Affari costituzionali del Senato Napolitano, pensando magari a quanti non vogliono la riforma e puntano all’elezione diretta dei senatori.
La proposta un po’ confusa del governo sembra in effetti aver stimolato la creazione di un “partito del Senato” rafforzato dalla crisi del Pd, in difficoltà nel governo di città e regioni in tutta Italia. I numeri della maggioranza a Palazzo Madama risultano ridotti all’osso e il soccorso “verdiniano” non cambierebbe la situazione di molto. La minoranza dem che osteggia il segretario-premier trova una buona sponda nella Lega di Salvini – salito a sua volta al Quirinale per discutere di riforme – che chiede un testo “profondamente modificato”, ma anche tra i Cinquestelle e tra i forzisti pronti a ridiscutere anche di Italicum e di capilista bloccati.
Nel contempo la soluzione abbozzata dal portavoce del Nuovo centrodestra, Gaetano Quagliariello, condivisa tra l’altro dal governo, appare politicamente troppo debole in quanto farraginosa sul piano costituzionale e quindi non in grado di mettere a tacere gli avversari. Infine, agli occhi degli avversari la scelta di costruire il nuovo Senato sulla base di enti regionali che hanno dato una pessima prova di sé risulterebbe una scelta assolutamente infelice in termini di selezione della classe dirigente e di gestione del denaro pubblico.
Secondo il leghista Roberto Calderoli Napolitano è il vero “mandante” delle riforme, e “non Renzi e il ministro Maria Elena Boschi”. A torto o a ragione le riforme rappresentano comunque dei nervi scoperti e la crisi economica che dà segnali di ripresa troppo deboli non aiuta il processo di cambiamento che dovrebbe investire invece in pieno e definitivamente il nostro Paese.
Richiamando al “senso del limite” Napolitano mette in luce delle crude verità che purtroppo attanagliano il sistema dei partiti passando per il Parlamento, un luogo che sembra aver smarrito la propria vocazione al dialogo a al confronto.
Il termine per la presentazione degli emendamenti al ddl sulla riforma del Senato è il 31 luglio e i quindici giorni che rimangono dovranno servire a trovare un’intesa, anche dentro il Pd in cui Renzi sembra pronto a fare “di tutto” per raggiungere un accordo con la minoranza interna. Gli obiettivi (siglati in un documento) dei 25 dissidenti dem sono almeno tre: tornare a un Senato eletto non dai consiglieri regionali bensì dai cittadini; restituire a Palazzo Madama i compiti di verifica, controllo e valutazione; modificare le regole in materia di elezione dei giudici della Corte costituzionale e del presidente della Repubblica.
In definitiva la maggioranza sulle riforme è tutta da costruire. Il perimetro dovrà risultare necessariamente più largo riuscendo a comprendere non solo la minoranza del Pd ma anche diversi voti berlusconiani, leghisti e pentastellati che potrebbero rendere le forche caudine del Senato invalicabili, nonostante il soccorso della squadra di Verdini.
Il premier si dichiara impegnato a recuperare “quanti più compagni possibili” mentre entra formalmente in gioco anche Fitto che annuncia la nascita del suo “Leone blu” e proponendosi come il leader dei Conservatori e Riformisti presenta il suo nuovo partito. “Sfido Renzi sulle riforme costituzionali”, ha esordito Fitto, annunciando la “ripresentazione di alcuni emendamenti” al disegno di legge di riforma costituzionale.
Fitto dichiara in pratica la sua apertura a trattare direttamente con il governo a proposito di riforme rimanendo ancorato all’area di centrodestra ma svincolandosi dalla morsa di Salvini e Berlusconi. A Palazzo Madama sono attese quindi geometrie ancora variabili a proposito di numeri. Se Raffaele Fitto dovesse rivelarsi un efficace interlocutore dialogante potrebbe addirittura depotenziare i voti azzurri marginalizzando l’area di Berlusconi che, nell’adunata degli amministratori locali di Forza Italia riunita a Montecitorio, è tornato a scagliarsi contro il presidente del Consiglio citando in particolare l’Italicum, una legge che secondo il plastico leader azzurro “subirà dei cambiamenti”. Non è escluso quindi qualche cedimento sulla legge elettorale in cambio di un appoggio alle riforme renziane che non significa però “alcun ritorno al Nazareno”. Le richieste di Forza Italia implicherebbero il ritorno al premio di coalizione (invece che alla lista) oppure la possibilità di apparentamento tra liste diverse al secondo turno. In sostanza due misure che consentirebbero a FI e Lega di correre tranquillamente in autonomia. In definitiva, nonostante Renzi continui a ribadire che “l’Italicum non si tocca”, è evidente come le modifiche alla nuova legge elettorale rappresentino una parte sostanziale delle trattative tra i partiti.
Il soccorso dei verdiniani, inoltre, viene reputato inopportuno dalla minoranza dem. “Sarebbe uno snaturamento del Pd inaccettabile”, ha ammonito Miguel Gotor sottolineando: “È uno scenario che non prendo nemmeno in considerazione”. Per Gotor non si tratterebbe di “fare le riforme costituzionali con le opposizioni ma, per dirla con Renzi, di calciomercato per restare attaccato alla seggiola”.
In bilico anche le unioni civili, per cui il capogruppo dem al Senato Luigi Zanda premendo sull’Ncd punta alla “calendarizzazione in Aula” e alla conseguente discussione delle “relazioni tecniche”. Di concerto Angelino Alfano dichiara di mirare ad un’intesa sul tema ribadendo però che le unioni civili sono “fuori dal patto di governo”, mettendo quindi al sicuro la tenuta dell’esecutivo.
I punti più controversi del ddl Cirinnà riguardano le adozioni e le pensioni di reversibilità e la discussione si potrebbe protrarre fino all’autunno. Gli oppositori – in primo luogo i parlamentari che hanno prodotto migliaia di emendamenti come Giovanardi e Mauro – mirano a costruire un ampio fronte di senatori pronti a bloccare il Cirinnà in commissione giustizia, prevenendo quindi un clima non favorevole in Aula e rifiutando qualsiasi compromesso.
La riforma della Rai si avvia invece verso il via libera definitivo, che il governo mira ad incassare prima della pausa estiva incardinando il ddl alla Camera nell’ultima settimana di luglio. Intervenendo in commissione parlamentare di Vigilanza – dove sono cominciate le audizioni sulla mission del servizio pubblico – il costituzionalista Maurizio Cheli avverte comunque che occorre tener lontana l’idea di “trasformare il servizio pubblico in una agenzia governativa”. Cheli ha in pratica bocciato la riforma.
Tra i partiti Forza Italia ha rinunciato all’ostruzionismo, anche se Maurizio Gasparri ha annunciato la presentazione di una pregiudiziale di costituzionalità rivendicando la centralità del Parlamento. L’atteggiamento dei Cinquestelle, invece, non può ancora essere dato per scontato. In caso di bocciatura Renzi punterebbe comunque a rinnovare i vertici di Viale Mazzini con le vecchie regole della Gasparri.
Dal traforo del Monte Bianco, dove ha partecipato alla cerimonia di celebrazione dei cinquant’anni dall’inaugurazione, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella riflette infine sul destino dell’Europa: “Se si è avari di investimenti strategici facendo prevalere l’interpretazione più restrittiva dell’austerity economica, alla nostra Europa mancherà il respiro”. Mattarella ha sottolineato che “l’Europa unita è un ideale, e non soltanto uno spazio dove far competere interessi diversi, spingendoli talvolta fino al punto di creare fratture e gravi diseguaglianze sociali”.
In definitiva “l’Europa divisa sarà più debole, perché i conflitti ci fanno ripiegare su noi stessi”. L’austerity e la filosofia economica non rappresentano l’unico, o meglio il vero, collante dell’Unione europea, le istituzioni di Bruxelles, quindi, dovrebbero cambiare rotta evitando di togliere all’Europa “il respiro”. Quello del Monte Bianco è un anniversario al quale accreditare un forte valore simbolico. Si tratta di un’opera che rappresenta “un esempio di realizzazione concreta degli obiettivi alla base del Trattato di Roma” – ha rimarcato Mattarella – in pratica “un’idea innovativa di relazioni tra i popoli, di mobilità e di libertà” che, prima di tutto, riassumeva “l’espressione, in nuce, di una cultura europea”. Alla base non c’era esclusivamente una “sfida economica” ma l’esistenza di “una visione”, la stessa “idea di una responsabilità europea comune” che oggi non sembra rappresentare più le fondamenta bensì un ornamento, rimarcando quindi “evidenti affanni di progettualità e volontà politica, generati da miopi percezioni di interessi nazionali”.
Il vero problema è “l’incapacità di cogliere la meta e la responsabilità comune del nostro continente”. L’Europa non può essere considerata un mero spazio economico ma deve rigenerarsi e consolidarsi nelle proprie istituzioni diventando finalmente l’Europa dei cittadini.