Cronache dai Palazzi

Palazzi chiusi e riforme in cassaforte, a partire dalla riforma del bicameralismo perfetto. La minoranza dem promette battaglia e presenterà una serie di emendamenti (17) al ddl riforme in particolare sul Senato elettivo. A tale proposito un ammonimento ai ribelli che potrebbero compromettere i numeri a Palazzo Madama arriva dalla presidente della I Commissione, Anna Finocchiaro (Pd) che sottolinea i punti salienti del dibattito: “La questione è se in questa terza lettura intendiamo proseguire lungo un sentiero già ampiamente battuto di un Senato rappresentativo delle istituzioni territoriali ovvero, secondo il parere di altri, percorrere la strada di un Senato eletto direttamente con metodo proporzionale inteso come contrappeso a una Camera eletta con sistema a forte impronta maggioritaria”. In definitiva, per la presidente Finocchiaro “parlare di Senato elettivo vuol dire ripartire da zero” minando, per di più, la fine del bicameralismo paritario.

Per il ministro Boschi (Riforme) non saranno necessarie modifiche “da un punto di vista giuridico e costituzionale” bensì “si farà una valutazione politica”. Il governo intende comunque tenere sotto controllo le mosse della minoranza dem che si prepara a sfoderare i suoi insidiosi emendamenti, tra i quali emergono quelli sull’elezione diretta, sul peso del Senato nell’elezione del Capo dello Stato e dei giudici costituzionali, sui paletti da mettere alla Camera (la sola che darà la fiducia al governo) nel procedimento legislativo. “I principali temi affrontati negli emendamenti – spiegano i circa 28 senatori dem in un documento – riguardano l’elettività diretta dei prossimi senatori in concomitanza con l’elezione dei Consigli regionali, la riduzione del numero dei parlamentari, i poteri di verifica, controllo e inchiesta da affidare al nuovo Senato delle autonomie e la riforma del Titolo V”.

Lo scontro per ora è rinviato all’8 settembre, quando i senatori rientreranno a Palazzo Madama, ma i paletti della riforma costituzionale sembrano ormai stabiliti. “Quanto al sistema delle garanzie – scrivono i 28 dissidenti in un documento – andrebbero corrette le modalità di elezione del presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale, per evitare che il vincitore del premio di maggioranza assegnato dall’Italicum possa eleggersi da solo o quasi anche i principali organi di garanzia istituzionale”. I senatori dem sottolineano inoltre che “alcune limitate e qualificate materie” dovrebbero conservare “una lettura bicamerale: leggi elettorali nazionali, temi di natura etica, amnistia e indulto, diritti delle minoranze, dichiarazioni di guerra e libertà religiosa”. In definitiva si tratta di una riforma costituzionale “già troppo tardiva”, come sottolinea  il presidente emerito Giorgio Napolitano in una nota sul Corriere della Sera. Auspicando nuovamente “un confronto che resti nei limiti di una doverosa responsabilità comune”, Napolitano suggerisce di non coltivare “contrapposizioni politiche distruttive e puri artifizi polemici” avanzando, nel contempo, “proposte che non si traducano in fattori di paralisi di quell’impegno di riforma costituzionale che era apparso – e auspico possa ancora tornare ad essere (ribadisce Napolitano) – largamente riconosciuto e condiviso”.

Prende il via nel frattempo la riforma della Pubblica amministrazione – il ddl passa grazie all’intervento delle opposizioni che hanno garantito il numero legale di 150 voti – che per diventare operativa dovrà comunque attendere l’adozione dei vari decreti delegati, circa una ventina. Velocizzazione delle procedure amministrative, selezione, ruoli unici e durata quadriennale degli incarichi per i dirigenti ed infine un piano per la banda ultralarga da 12 miliardi (5 privati e 7 pubblici) sono i tratti fondamentali della nuova Pa. A proposito di digitalizzazione “nell’autunno partiranno i primi interventi – ha affermato Renzi in conferenza stampa – l’obiettivo è la copertura totale del Paese”. Dei 12 miliardi dichiarati “mettiamo immediatamente a disposizione 2 miliardi e 200 milioni”, ha aggiunto il premier invitando gli operatori di telefonia a “mettersi in gioco”.

Per Renzi se “oggi siamo l’ultima ruota del carro, nel giro di un triennio saremo leader in Europa”. Nel 2014 l’Italia risultava ancora il Paese con la minore copertura di reti digitali di nuova generazione in Europa, sotto la media europea di oltre 40 punti percentuali per l’accesso a più di 30 Megabit per secondo, in pratica un 20% di copertura contro il 62% europeo. Ora la prospettiva è quella di raggiungere il 60% di copertura a 30 megabit nel 2016 e garantire, entro il 2020, una connessione internet a 100 megabit per secondo all’85% della popolazione. Per un’operazione di questo tipo servirebbero però altri 5-6 miliardi di investimenti privati, che il governo mira a stimolare anche ricorrendo ad agevolazioni fiscali e contributi a fondo perduto.

Per quanto riguarda la riforma della Pubblica amministrazione, il ministro della Pa,  Marianna Madia, ha spiegato infine l’esistenza di “due pacchetti” in preparazione: uno contenente le misure antiburocrazia e l’altro riguardante i tagli alla spesa pubblica, partendo dalla razionalizzazione delle partecipate. A proposito di tagli la manovra partirà in autunno. Palazzo Chigi promette agevolazioni ed esenzioni fiscali a favore di settori produttivi e cittadini ma l’intervento non si preannuncia assolutamente semplice e richiede una dura revisione della spesa. Si prevede una manovra da 23 miliardi di euro di cui sedici miliardi vanno recuperati per scongiurare l’aumento dell’Iva. La “spending review” dovrebbe raggiungere quota 10 miliardi.

Per sostenere ulteriori decontribuzioni sui nuovi assunti con contratti permanenti e per cancellare la Tasi (l’imposta comunale sulla casa), come promesso dal governo, occorrerebbero in particolare circa 7 miliardi. Palazzo Chigi annuncia solidi interventi anche per migliorare l’efficienza del trasporto pubblico; una stretta sui ministeri e sui compensi dei dirigenti  a vari livelli; l’incoraggiamento dell’acquisto di beni e servizi; un lavoro di revisione di Anas e Ferrovie dello Stato; un intervento sulle pensioni di invalidità.

La prova più dura sarà però scalare la montagna di agevolazioni ed esenzioni fiscali per settori produttivi, gruppi d’interesse e cittadini del valore di 161, 14 miliardi di euro l’anno. Sgravi non sempre logici dai quali forse basterebbe attingere poco – nel mirino agricoltura, autotrasporto e cooperative – per far quadrare i conti, eliminando privilegi indifendibili e fronteggiando l’avanzata dei gruppi d’interesse capacissimi di protestare in tutt’Europa. Un’operazione non da poco. Per recuperare anche solo 900 milioni serviranno interventi decisi anche perché interessi e abitudini malsane si annidano un po’ dovunque. Dal 1973 ad esempio i lavoratori di organismi della Santa Sede, come l’ospedale Bambin Gesù, sono esentati dal pagare l’Irpef. Tra gli agevolati ci sarebbero comunque anche vari agricoltori, tassisti, benzinai, editori, compagnie aeree, e tanti altri ancora.

Tra i tanti paradossi della spesa pubblica italiana c’è ne poi uno davvero sorprendente: la spesa assistenziale favorisce i ricchi più dei poveri. In pratica un terzo della spesa è indirizzato al 20% più ricco. A proposito di agevolazioni a favore dei più deboli, Area popolare ha lanciato il suo “Family act”, illustrato alla Camera dal leader ncd Angelino Alfano e dai capigruppo di Camera e Senato, Maurizio Lupi e Renato Schifani. “Sul sostegno alle famiglie in Finanziaria ci giochiamo tutto”, ha affermato Alfano. Per i centristi se il taglio delle tasse annunciato da Renzi sarà di 48-50 miliardi di euro in tre anni, fino al 2018, l’investimento per fare dell’“Italia il Paese delle culle” dovrà essere almeno del 15%.

Il pacchetto denominato “Family act” avrebbe un valore di 7,6 miliardi e conterrebbe un mix di agevolazioni fiscali e voucher per le coppie con figli e genitori a carico. Area popolare intende lasciare il segno sulla legge di Stabilità: “Saremo protagonisti – ha annunciato Alfano – e i due pilastri saranno casa e famiglia”. In definitiva si tratta di una proposta fiscale che è anche un manifesto politico da anteporre alla legge sulle unioni di fatto. Non a caso il “Family act” sostiene la famiglia “come riconosciuta dalla nostra Costituzione” ha affermato il capogruppo alla Camera Maurizio Lupi. Sarà quindi più semplice conciliare vita e lavoro, dal potenziamento degli asili nido ai voucher per le babysitter e per l’istruzione da mille euro all’anno. Previsti benefici non solo per i dipendenti ma anche per le imprese. A proposito di congedo parentale, ad esempio, al datore di lavoro verrà riconosciuto un credito d’imposta del 20% della retribuzione mentre per il lavoratore-genitore l’indennità passerebbe dal 30% al 60% dello stipendio. Agevolazioni inoltre per i proprietari che affittano a giovani famiglie, oltre a sconti sull’Imu e sulla Tasi. Secondo gli esponenti di Area popolare un’ulteriore “forma di sostegno alle famiglie” è infine l’abolizione dell’Imu sulla prima casa.

Prima della chiusura dei Palazzi a Viale Mazzini si insedia il nuovo cda della RAI – con Monica Maggioni presidente e Antonio Campo Dall’Orto nominato direttore generale all’unanimità – ed è ancora la Legge Gasparri a spadroneggiare, prevedendo di fatto una spartizione di poteri tra presidente e direttore generale. In pratica la riforma del servizio pubblico radiotelevisivo di stampo renziano – che prevede un rafforzamento del ruolo del dg conferendogli nella pratica tutti i poteri di un amministratore delegato – deve ancora attendere. Se la legge venisse approvata in autunno Campo Dall’Orto potrà nominare direttori di rete, testata, canale e dirigenti di seconda fascia con un parere non vincolante del cda.

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