Clima, l’America si converte
Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha presentato il Clean Power Plan, un Piano per l’Energia Pulita mirato a ridurre le emissioni inquinanti di un terzo entro il 2030, rispetto al 2005, che per la prima volta prevede standard nazionali per le emissioni di CO2.
Un progetto ambizioso, non tanto per gli aspetti tecnici, quanto per quelli di politica interna agli Stati Uniti. Da sempre infatti gli Usa sono ostili alle politiche di riduzione dei gas serra, prodotti da carbone, petrolio e gas, perché ne sono grandi produttori e consumatori; una ostilità conclamata dal 1997, quando il mondo firmò e ratificò il primo grande trattato internazionale per la lotta ai gas serra, il protocollo di Kyoto, che gli Usa invece non ratificarono. Già in quell’occasione emerse, tuttavia, la non unità degli Stati Uniti, sul clima: Bill Clinton, sostenuto da Al Gore e da un forte consenso popolare sulle politiche ‘green’, firmò infatti il trattato; fu l’opposizione del Senato e del Congresso ad impedire il perfezionamento dell’adesione con la ratifica da parte degli Usa. Il dissidio politico non finì lì: molti Stati e molte grandi municipalità urbane statunitensi, consapevoli dei vantaggi economici di politiche energetiche moderne e quindi non basate sui fossili, si impegnarono contro i ‘fossili’ e cercarono addirittura il modo di ratificare il protocollo di Kyoto separatamente. Ora, il piano di Obama promette di dare ossigeno a questo concreto e proliferante ‘green side’ dell’America.
Con il Clean Power Plan il Presidente si presenta messaggero di una vera e propria conversione degli Usa sul clima: Obama infatti l’ha già messa nell’agenda bilaterale del colloquio con Papa Francesco, che in settembre visiterà gli Stati Uniti e che nell’Enciclica Laudato si’ sulle politiche per il Clima ha chiesto con semplice chiarezza ‘un cambiamento’.
Sebbene abbia parlato della ‘mission’ anti inquinamento con una ispirazione che ha colpito gli Americani, per questa nuova crociata Usa Obama ha scelto la via concreta, quella dei ‘fatti’, ovvero favorire con un programma non ideologico la trasformazione del settore energetico; e questo come alternativa momentanea e come premessa per una futura adesione degli Usa alle politiche mondiali anti-inquinamento. Pur ispirato, Obama ha parlato agli Americani col linguaggio del dollaro, stimando guadagni tra i 34 ed i 54 miliardi di dollari a fronte di costi di 8,4 miliardi di dollari l’anno; guadagni che si tradurranno in minori costi in bolletta per le famiglie statunitensi.
Ma il piano del Presidente si presenta robusto anche perché economicamente radicato proprio negli interessi Usa, anche se non in quelli dei petrolieri: promuove infatti le energie rinnovabili già piuttosto evolute negli Stati Uniti come il solare termodinamico a concentrazione, presente con grandi impianti come quelli di Kramer Juction, Daggett e Harper Lake, nel deserto del Mojave. Ma soprattutto, centrato com’è sulla riduzione specifica dell’inquinamento atmosferico che al momento è il più devastante a livello globale, il Piano non ha chiuso la porta a tecnologie moderne che non lo producono e sono economicamente radicate negli Usa: come il nucleare che già oggi copre il 20 per cento del fabbisogno energetico e andrà ad incrementarsi; o su quelle che ne producono meno, come il gas, anch’esso presente in America, che andrà anch’esso incrementato a scapito del carbone. Perdippiù, il Clean Power Plan ‘registra’ un fenomeno comunque in atto, l’evoluzione ‘green’ dell’economia mondiale e anche statunitense. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia ad esempio, nel 2014 le emissioni inquinanti sono rimaste le stesse rispetto al 2013, mentre il Pil mondiale è cresciuto del 3%. Dal punto di vista dell’economia, il Piano di Obama non va quindi controcorrente, ma semmai si fa forza della corrente in atto. Tutti argomenti, questi, che dovrebbero parlare al cuore del Paese; che batte, come si sa, per il dollaro appunto. E aiutare Obama a trarsi fuori da alcune secche nelle quali la sua politica si è arenata.
Dal punto di vista internazionale, il Clean Power Plan è forte invece del suo fondarsi sull’accordo bilaterale con la Cina, altro grande inquinatore carbonico, col quale gli Usa firmarono un accordo bilaterale poco prima della Conferenza dell’Onu di Lima sul clima del dicembre 2014. E permette agli Usa di presentarsi con una rinnovata credibilità alla conferenza dell’Onu sul clima che si terrà dal 30 novembre 2015 a Parigi. Una credibilità fondata, se non su una autentica e sofferta ‘conversione’, perlomeno sull’accettazione dell’evoluzione green dell’economia mondiale; cosa questa che, grazie ai numeri notevoli dell’economia Usa, porta gli Stati Uniti nell’area della leadership mondiale per la lotta al cambiamento climatico globale e ai suoi effetti, che minacciano il futuro del pianeta.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]