Polder cinesi, verso un disastro ecologico

Il gigantesco progetto voluto da Pechino, che prevede la costruzione di isolotti artificiali nel Mar della Cina meridionale, sta distruggendo un ecosistema corallino insostituibile.

La tensione sale ne Mar della Cina meridionale. Lo scorso 16 Maggio il Segretario di Stato americano, John Kerry, si è recato a Pechino per dei negoziati incentrati sui contenziosi territoriali in corso nella regione. Ma non dobbiamo dimenticare che se queste controversie innervosiscono i vicini della Cina e gli Stati Uniti, i discutibili sforzi di Pechino per affermare la sua sovranità nel Mar della Cina meridionale sono altrettanto opinabili dal punto di vista ecologico, perché portano alla distruzione di uno dei sistemi corallini più preziosi e l’organo cinese incaricato della loro protezione sembra sorprendentemente poco preoccupato a fermare il disastro. Dal 2014 Pechino si è lanciato in una serie di progetti di polder nelle acque del Mar della Cina Meridionale, ingrandendo isole e costruendo piste di atterraggio su barriere coralline e formazioni rocciose che portano alla formazione di arcipelaghi, come quello, molto contestato, delle isole Spratleys. Attraverso questa operazione chiamata la “grande muraglia di sabbia”, Pechino spera affermare in modo permanente la sua sovranità su quei frammenti di rocce e coralli, e, alla fine, sulla maggior parte del mare stesso. Il progetto sta velocemente prendendo forma. Foreign Policy lo scorso 16 Aprile aveva pubblicato una serie di foto satellitari che dimostravano che la Cina aveva costruito il primo chilometro dei tre previsti per una pista sulla barriera di Fiery Cross, parte delle isole Spratleys. Provocando un malessere diffuso, le onerose attività cinesi sono state fermamente condannate dagli Stati che rivendicano quelle isole, soprattutto il Vietnam e le Filippine, che, nel Gennaio del 2013, avevano difeso la loro causa contro la Cina di fronte ad un Tribunale internazionale conformemente alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare. La Cina afferma che sta operando nel rispetto del Diritto Internazionale, per motivi pacifici e di difesa. Pechino ha rifiutato di partecipare al procedimento. Afferma anche (con ragione), che i suoi vicini si sono lanciati in attività di polderaggio che minacciano le sue (documentata sul sito dell’Asian Maritime Transperency Initiative). Ma l’ampiezza di queste opere la pone in una categoria a parte: secondo i dati rilasciati da Washington, la Cina rivendica oggi più di 600.000mq di nuove terre, mentre i progetti del Vietnam equivalgono in totale a poco meno di 61.000mq.

Tutte queste rivendicazioni hanno un amaro retrogusto ecologico. Nelle Spratleys trovano riparo barriere coralline tra le più produttive del Sudest Asiatico, con 571 diverse specie di coralli. Sono una zona di riproduzione per un numero di specie di pesci vastissimo. Questi pesci, a loro volta, sono fondamentali per la vita dei villaggi di pescatori delle Filippine. Gli esperti sono certi che dragare e costruire sulle barriere coralline nel Mar della Cina meridionale porta a danneggiare irreparabilmente uno degli ecosistemi più ricchi del pianeta. Il meccanismo distruttore innescato da Pechino per rivendicazioni territoriali devasta la barriera, lasciando al suo posto sterile cemento e sabbia. Si stima oggi che nella regione 311 ettari di barriera siano stati già persi, e questo porterà ad una perdita economica annuale per le Filippine pari a 110 milioni di dollari. Lo scorso Maggio una delegazione dell’East West Center (associazione per la cultura e l’insegnamento voluta dal Congresso americano nel 1960 per rafforzare le relazioni e il dialogo tra i popoli e le Nazioni dell’Asia, del pacifico e gli Stati Uniti) si è recata a Pechino per avere delucidazioni  da parte dell’Amministrazione Oceanica di Stato (SOA-  gestisce le questioni marittime e la politica di protezione ambientale della Cina) sullo stato dei fatti. Avvolto da un’atmosfera ovattata di una lussuosa sala conferenze,  Direttore generale del dipartimento per la Cooperazione Internazionale del SOA, Zhang Haiwen, ha lungamente parlato del vasto mandato dell’organo, che include la definizione di zone economiche esclusive per la Cina, la salvaguardia dei suoi interessi marini e l’attivazione di un progetto di sviluppo durevole per la sua economia marina in piena crescita.

Il fine ultimo di Pechino in Mar della Cina meridionale era quello di portare ad uno sviluppo durevole l’economia marina, ma la posizione del SOA nei confronti delle costruzioni distruttrici contraddice la responsabilità ecologica di questo discorso. Zhang ha più volte accennato ai progetti del SOA per proteggere le barriere così come il suo desiderio di preservare l’ecosistema marino della controversa regione, ma si è rifiutato di rispondere direttamente alle domande che vertevano sulla contraddizione evidente tra le pretese territoriali della Cina che portano alla distruzione di quello stesso ecosistema che il SOA deve per missione proteggere. Zhang  Haiwenha anche chiaramente detto che la Cina aveva tutto il diritto di proseguire la sua opera di polderaggio, quali che siano le controversie che questa solleverà o il deterioramento che questa implichi sulle barriere coralline. Per la SOA questo progetto segue una road map precisa, studiata a fondo e sottoposta a strettissima sorveglianza. Difficile credergli. Nel 2012 una squadra di scienziati cinesi ha scoperto che la presenza di coralli in Mar della Cina meridionale era calata  dell’80% nel corso degli ultimi trent’anni lungo le coste cinesi. Più a Sud, la quantità di coralli che coprivano un gruppo di atolli e di arcipelaghi rivendicati da sei diversi Paesi è passata da una media superiore al 60% a soli 20% nel corso degli ultimi 10 anni per via dello sviluppo delle costruzioni sulla costa, dell’inquinamento e della pratica della pesca incontrollata.

Politica a parte, una cosa è certa: la voglia che ha la Cina ha di affermare la sua sovranità in Mar della Cina meridionale avrà conseguenze devastanti e senza dubbio irreversibili per l’ambiente.

©Futuro Europa®

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Un Commento

  • E dopo il land-grabbing, il sea-grabbing…

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