Cronache dai Palazzi
Se l’Italia arranca è colpa di vent’anni dominati da berlusconismo e antiberlusconismo che hanno “trasformato la seconda Repubblica in una rissa permanente ideologica” e hanno imposto “il tasto ‘pausa’ al dibattito italiano facendoci perdere occasioni clamorose. Ora il nostro compito è rimetterci a correre. È come se le riforme siano un corso accelerato per rimettere l’Italia in pari”. Il premier Matteo Renzi esordisce così al meeting di Comunione e Liberazione, enunciando inoltre un piano pluriennale di riduzione delle tasse. “Abbassare le tasse è una scommessa che non si fa solo in un anno – ha affermato Renzi – : “Nel 2014 gli 80 euro, un intervento che rimane per sempre, poi il costo del lavoro nel 2015, il prossimo anno togliamo Tasi e Imu. Poi nel 2017 l’Ires, la tassa sulle imprese oggi al 31% per portarla al 24%. E nel 2018 l’Irpef”.
Intenzioni confermate dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che ha sottolineato però la necessità di individuare delle “misure credibili”. Per Padoan va bene annunciare il taglio delle tasse purché tutto ciò proceda di “pari passo con la riduzione della spesa”. Quest’ultima, per di più, è necessario che sia realizzata in maniera “credibile e permanente per avere un impatto più efficace”, altrimenti la perdita di fiducia da parte di mercati e istituzioni potrebbe rivelarsi inevitabile. “In Europa c’è una grande mancanza di fiducia reciproca – sottolinea Padoan -. Per questo occorre una politica finanziaria credibile e sostenibile nel lungo periodo”. Il piano dei tagli delle tasse resta quello anticipato dal premier, un’operazione che vale “50 miliardi di riduzione in cinque anni”.
Nel frattempo Palazzo Chigi sta elaborando una serie di misure per rilanciare l’economia in particolare nel Meridione. Tali misure saranno inserite nella prossima legge di Stabilità e si riferiscono, in particolare, ad agevolazioni per le imprese che operano e investono al Sud. Tali agevolazioni dovranno però essere applicate “tenendo conto della disciplina sugli aiuti di Stato”, rispettando un obbligo imposto da Bruxelles. La stabilizzazione della decontribuzione per le assunzioni potrebbe essere una misura risolutiva condivisibile dall’Ue; l’essenziale è non varcare i limiti di flessibilità imposti dall’Unione europea favorendo, magari, la ricerca di ulteriori spazi di manovra che Bruxelles potrebbe concedere grazie all’attivazione della clausola sulle riforme. Il piano del governo prevede inoltre investimenti a favore di scuola, dissesto, infrastrutture, banda larga e ricerca. Agli annunci dovranno di certo seguire i fatti. Non è sufficiente premere sulla “positività del reale” per sconfiggere il “provincialismo della paura” perché la ripresa anche se c’è è modesta (0.5%) e, soprattutto, non basta.
Per il presidente dei Popolari per l’Italia, Mario Mauro, “il governo Renzi sembra arrivato a un punto di svolta che si concretizzerà nel dibattito sulle riforme al Senato, ma il suo più che un percorso all’inizio sembra giunto alla fine”. Mauro sottolinea che “manca un orizzonte di governo” e consiglia al premier di “fermarsi a riflettere e quantomeno giungere all’appuntamento con la Riforma Costituzionale in grado di dialogare. Cosa che, finora, è stata a quanto pare impensabile”.
A causa della frecciata sulla riforma del Senato (“Più politica, meno politici”) indirizzata alla sinistra Pd, Matteo Renzi ha seminato ulteriore malcontento anche all’interno della minoranza del proprio partito, che per Massimo D’Alema è un partito in crisi, in quanto “ha perso 2 milioni di voti” nel giro di pochi mesi. “Bisognerebbe capire – afferma D’Alema – perché dal 41% oggi i sondaggi ci danno al 30. Qualcosa è successo: ci siamo persi per strada 2 milioni di elettori”.
“Siamo stati gratificati con battute da avanspettacolo non all’altezza né del meeting né del ruolo del premier – ha sottolineato invece Vannino Chiti, esponente della minoranza dem -. Democrazia e voto dei cittadini non sono il Telegatto”. Chiti rimarca inoltre che “la Costituzione è dei cittadini italiani, non dei governi, del Parlamento o dei partiti”. Per Brunetta invece Renzi è “l’uomo senza identità” che “è stato scelto alle primarie del Pd ma a Rimini non ha detto una sola cosa di sinistra. Ha trattato la sua minoranza interna e le opposizioni che vorrebbero l’elezione diretta dei senatori come un unico fronte di mentecatti. Disprezza destra e sinistra”.
Renzi non concede spazi nemmeno ai dissidenti dem guidati da Roberto Speranza che, lanciando una sorta di manifesto economico, vorrebbero ridiscutere l’eliminazione dell’Imu (soprattutto per quanto riguarda le case di lusso) insieme ad altre misure. Infine il leader del Carroccio lancia il ticket Salvini-Berlusconi per mandare a casa Renzi, ma il presidente del Consiglio assicura: “Da qui ai prossimi due anni e mezzo nessuna elezione in vista. Da qui a due anni e mezzo non si va al voto”.
Il rischio dell’“incidente” – come lo definisce il consigliere azzurro Giovanni Toti – di eventuali elezioni anticipate è però sempre dietro l’angolo. Dalla Valtellina Matteo Salvini sembra già pensare ad una coalizione con i forzisti – “un accorso con FI sarebbe un’ottima cosa” – anche se il leader leghista non rinuncia a parlare di primarie che invece Berlusconi continua categoricamente ad escludere.
Salvini lancia il suo “invito a collaborare” estendendolo addirittura ai pentastellati. “Tasse, giustizia, scuola, famiglie. Questi sono i temi sui quali dobbiamo concentrarci. Sulle ricette che possono far ripartire l’Italia”. Resta comunque un nodo da sciogliere: accordarsi sull’Europa. Così mentre Brunetta afferma che su questo tema “c’è convergenza con la Lega e con la maggioranza degli italiani”, Salvini ribatte: “Brunetta salva l’euro, che è proprio quello che noi non vogliamo. Qualcuno glielo spieghi..”.
Un centrodestra confuso quindi, che fa da contraltare a un centrosinistra altrettanto disarticolato. Con il suo approccio liberal Matteo Renzi sembra voler sconvolgere l’impianto statico e statalista della sinistra di sempre. La stessa volontà di tagliare le tasse rappresenta una minaccia ad un’identità ben connotata, che ha sempre rivendicato l’imperativo “tassa e spendi” come garanzia di redistribuzione del reddito, e quindi di equità sociale. Renzi sembra voler ‘rottamare’ anche quell’imperativo e, con la sua solita disinvoltura, sembra voler attentare ad una visione del mondo così radicata che per abbassare le tasse non dovrà solo reperire delle risorse, bensì dovrà combattere contro una mentalità diffusa pronta a difendere un universo simbolico soggetto a deperimento.
Dinamismo sociale, innovazione, crescita economica, redistribuzione delle risorse, capacità e libertà di produrre, libera proprietà, sono concetti che non sono mai stati nel serbatoio ideologico della sinistra, nel cui serbatoio elettorale ci sono però ora invece elettori magari di estrazione popolare ma con la casa di proprietà, che non sposano l’ideologia del “tassa e spendi” e ad una società statica, improntata all’immobilismo, preferirebbero una società dinamica predisposta al progresso e al cambiamento.
In definitiva si prefigura una nuova epoca di necessari cambiamenti per la politica italiana. Sia la destra sia la sinistra sono destinate a mutare, a ridefinire le loro cifre identitarie. Al bando sterili etichettature ideologiche. I protagonisti dovranno necessariamente rinunciare ad una buona dose di leaderismo per favorire i contenuti, destinati se non ad omologarsi – ciò che non sarebbe nemmeno auspicabile per il confronto politico, per sua stessa natura predisposto alla diversità – ad incontrarsi. Un’impresa tanto ardua quanto quella della riforma della Costituzione.