Turchia, l’ultima scommessa di Erdogan
La Turchia è invischiata in una crisi senza precedenti. Chiedendo le elezioni anticipate, il Presidente Erdogan tenta di riprendere saldamente in mano le redini. Una mossa che a molti sembra sempre più un azzardo.
Il leader turco ha attivato tutto quello che era necessario per far si che il suo Paese tornasse a votare al più presto. Cosa che accadrà il prossimo 1° Novembre, durante le elezioni politiche anticipate, avendo il Primo Ministro ad interim Ahmet Davutoglu fallito nella ricerca di una coalizione di Governo con le altre formazioni politiche turche. La scommessa di Erdogan? Nonostante sia tenuto ad essere neutrale, il Presidente ha come obbiettivo primario di far nuovamente trionfare il Partito islamicoo-conservatore del quale è parte costituente e che ha diretto per decenni: l’AKP (Giustizia e Sviluppo). Una formazione che, dopo tredici anni di egemonia in seno al Parlamento turco, alle ultime elezioni non ha ottenuto che il 40,9% delle preferenze, perdendo così la sua maggioranza assoluta. Una sconfitta dovuta in parte alla eclatante entrate in scena del Partito filo curdo HDP (Partito Democratico del Popolo Curdo 13%). Questo risultato ha rovinato i piani del leader turco, piani che prevedevano una revisione costituzionale che avrebbe dotato la Turchia di un regime presidenziale. Ma la giocata questa volta è ancor più ad alto rischio, soprattutto da quando alla crisi politica è andata a sommarsi una crisi di sicurezza interna senza precedenti. Dalla fine di Luglio i combattimenti che vedono coinvolti Ankara e i guerriglieri del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) hanno già causato la morte di 60 uomini tra le forze di sicurezza e 900 tra i ribelli secondo la principale Agenzia di stampa turca Anadolu. La tensione è altissima, alimentata dalla stampa e dalla televisione locale con immagini continue dei funerali dei soldati turchi, strumentalizzati ad arte dall’AKP. Il programma elettorale del Partito islamico-conservatore può inequivocabilmente riassumersi con un: “o l’AKP o il caos”.
Uno slogan semplice, sicuramente, ma altrettanto efficace? Nella valanga di sondaggi che inondano i media nazionali, molti danno l’AKP si in testa, ma in calo. Nell’insieme, sono quasi unanimi per quanto riguarda le possibilità dell’AKP di ottenere nuovamente la maggioranza assoluta. Sinan Ulgen, Presidente del Center for Economics and Foregin Policy, sottolinea che “non c’è stata una vera riconquista di popolarità per l’AKP dopo la sua campagna in materia di sicurezza contro il PKK. Si osserva anche che l’argomento dell’instabilità senza l’AKP non sembra attecchire tra gli elettori che non pensano rifugiarsi in un voto per il Partito”. Per ora sembra quindi che l’AKP vada incontro ad un’altra sconfitta elettorale, allungando così anche i tempi della crisi nella governance del Paese. Questo porterebbe all’evizione probabile dell’attuale Primo Ministro e leader del Partito. Ma la sconfitta delle urne non risparmierà neanche il Presidente. Sarà un duro colpo per Erdogan che non potrà più opporsi ad un Governo di coalizione, uscirà indebolito e potrebbe cominciare a perdere l’appoggio dei politici e degli imprenditori. I membri del Partito dovranno a quel punto tentare di salvare capra e cavoli, pensando ognuno per sé.
Da qui a Novembre, un’altra mina potrebbe saltare tra e mani del Presidente e ostacolare i suoi programmi: la situazione economica. I tentennamenti della classe politica turca e l’incapacità di formare una coalizione hanno seriamente scosso la lira turca. In appena un mese ha già perso il 10% del suo valore rapportato al dollaro, più del 20% dall’inizio dell’anno. Le violenze interne e l’instabilità regionale mettono a dura prova il settore turistico, vitale per la Turchia, sesto Paese più visitato al Mondo: l’affluenza è già scesa del 14% da Gennaio, confrontando i dati con quelli dello scorso anno, non è entrato nelle casse dello Stato un miliardo di Euro. Questo non tranquillizza i mercati turchi che già soffrono per il serio calo della crescita e degli investimenti esteri. La crisi non ha ancora colpito i turchi, ma potrebbe pesare sulla bilancia elettorale. Ecco uno dei motivi che hanno spinto Erdogan ad anticipare le elezioni, contravvenendo alla Costituzione (90 giorni dopo il fallimento dei negoziati, ndr): vuole accelerare i tempi affinché il ciclo economico negativo non contagi la campagna elettorale dell’AKP.
Il Paese sta percorrendo un sentiero pieno di trabocchetti. Per mancanza di coalizione, il Primo Ministro turco ha le ore contate per attuare il pesante compito di mettere in piedi un Governo ad interim che includa – come prevede la Costituzione – i membri delle altre formazioni politiche presenti in Parlamento. Compito praticamente votato alla sconfitta visto che il CHP (Partito del Popolo Repubblicano 25% delle preferenze a Giugno) e il MHP (Partito del Movimento Nazionalista 18%) hanno subito respinto l’idea di cooperare, malgrado le molteplici e continue insistenze di Davutoglu. Razionalmente non rimane all’AKP come solo ed unico partner di Governo l’HDP, vera bestia nera del Presidente Erdogan che accusa la formazione di essere lo strumento politico del PKK. Integrare parlamentari filo Curdi in seno all’esecutivo turco – in dicasteri secondari – sarebbe una vera grande novità per la Repubblica, ma non sarebbe un affare per l’AKP. Il Partito verrebbe immediatamente preso di mira dai nazionalisti, e i loro elettori, con i quali ha già grosse difficoltà di dialogo, primo tra tutti il MHP e il suo leader Devlet Bahçeli, feroce oppositore del processo di Pace con il PKK. Bahçeli cercherà di recuperare voti accusando l’AKP di aver aperto la via di accesso nell’Esecutivo al Partito filo Curdo, vetrina del PKK.
Da questo Governo di transizione, nato con il forcipe, non ci si può aspettare molto. Siamo ormai in clima elettorale, l’AKP non vorrà essere percepito come partner dell’HDP e vice versa. Tutto quello che ci si può aspettare nei prossimi tre mesi è ulteriore caos, ultima delle cose delle quali abbiamo bisogno in questa importante area geopolitica.