Etiopia, tanta crescita e mille contraddizioni
L’ Etiopia, dove un paio di mesi fa la coalizione al potere ha (senza sorprese) ottenuto una grande vittoria alle elezioni politiche, è l’unico Paese del Continente a non essere stato colonizzato per lungo tempo. Da 10 anni mostra una crescita economica impressionante. Classificata dal FMI tra i cinque Paesi più dinamici del Mondo, l’Etiopia, 94 milioni di abitanti, si impone come modello di sviluppo nonostante non disponga di importanti risorse naturali. Il suo segreto: industrializzazione rapida che genera lavoro e spese sociali massicce, due assi portanti sostenuti dalle autorità. Ma non sono tutte rose e fiori.
“Futuro Pakistan”, “Nuovo Far West”, sono alcuni dei soprannomi promettenti dati al Paese. E’ in corso un miracolo in questo Paese del Corno d’Africa? Indubbiamente una delle Nazioni più povere del Mondo, vulnerabile per via della siccità e conosciuta per le terribili carestie degli anni ’80, mostra da una decennio dei tassi di crescita invidiabili: 10,3% nel 2014 e 10,9% in media tra il 2002 e il 2009, secondo i dati dell’ultimo Rapporto “Prospettive economiche dell’Africa pubblicato dalla Banca Africana per lo Sviluppo (BAD) e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OSCE). La rapida industrializzazione di un mercato prevalentemente agricolo (40% del PIL, 80% dei posti di lavoro e 70% delle entrate dalle esportazioni) appare ancora più impressionante visto che non dispone di importanti risorse naturali se non qualche miniera d’oro, bestiame e una filiera orticola in piena espansione. In meno di dieci anni, l’Etiopia è diventata il secondo esportatore di fiori in Africa dopo il Kenya e prima del Sudafrica. Le rose esportate in Europa (Olanda, Germania, Belgio e Norvegia) sono la spina dorsale delle forte crescita orticola, che ha permesso di guadagnare 245 milioni di dollari nel 2014, il 6,4% in più che nel 2013. Sempre più società straniere comprano terre per coltivare rose, come la società olandese Sher Etiopia.
L’industria non rappresenta che il 14,4% del PIL, ma la sua crescita annuale e impressionante (18,5% nel 2013 e 21,2% nel 2014). I suoi punti forti sono le miniere e il boom nelle costruzioni e manifatture. Un enorme progetto immobiliare cinese è il simbolo di questa esplosione: i 21 immensi palazzi verranno costruiti ad Addis Abeba vicino all’aeroporto internazionale di Bole, in piena espansione con la costruzione di un nuovo terminal e di una zona per aerei cargo che diventerà la più importante dell’Africa. Grandi produttrici di scarpe hanno de localizzato le loro fabbriche in Etiopia dove la manodopera è a buon mercato (50 dollari di stipendio mensile contro i 500 in Cina) e dove la filiera cuoio attira gli investitori. La materia prima si trova in abbondanza e a costi molto competitivi visto che il Paese vanta la più ampia scelta di bestiame dell’Africa. Il produttore cinese (ancora si) di scarpe Huajan ha aperto nella periferia di Addis Abeba una fabbrica che impiega 3000 persone per approvvigionare i suoi clienti che si chiamano Clarks, Guess, Naturalizer… e pensa investire 2 miliardi di dollari per dar lavoro a 10mila persone nel giro di dieci anni, creando così una “città della scarpa”, con scuole di formazione e migliorare così la produttività. Anche il gigante del vestiario H&M ha preso piede in Etiopia nel 2014.
Le autorità, alla costante ricerca di valuta estera, fanno di tutto per attirare gli investitori stranieri. Un sistema fiscale libero da qualsiasi tassa viene proposto nei primi cinque anni di attività, regime molto più favorevole di quello proposto dalla Cina. Le industrie straniere possono così importare tutto il materiale necessario alla loro impresa, senza pagare dazi doganali, un vantaggio che fa la differenza. Ma la crescita è inclusiva? Un produttore di caffè in una cooperativa etiope prende solo il 7% del guadagno al dettaglio del suo caffè. Stessa sorte tocca ad un orticoltore che non prende che 0,18 centesimi (USD) per scatola di fiori, ossia il 2% del ricavato al dettaglio sul mercato europeo (9 dollari), fanno notare l’OSCE e la BAD. Le disparità sociali rimangono importanti,e l’Etiopia rimane in coda nelle classifiche internazionali: 132ma su 189 Paesi secondo il Rapporto Doing Business 2015 della Banca Mondiale sull’andamento degli affari , e 173ma su 187 Paesi, nell’indice di Sviluppo umano (IHD) calcolato dal Programma delle Nazioni Unite per li Sviluppo (Pnud). Lontano (dietro a Mauritius, Sudafrica e Ruanda), l’Etiopia non arriva che 18ma nella classifica annuale fatta dal Forum economico delle economie più performanti dell’Africa. Al di là delle classifiche, l’Etiopia può vantarsi di essere il Paese dell’Africa ad aver fatto i progressi più rapidi nel raggiungere gli Obbiettivi del Millennio per lo Sviluppo (OMD). Le autorità investono non solo per le infrastrutture, ma anche nella salute e nella scuola. Le spese sociali rappresentano l’84% delle spese pubbliche con risultati impressionanti. L’uso di metodi contraccettivi è passato dal 15% al 42% tra il 2005 e il 2014 e la mortalità infantile sotto i cinque anni, è passata da 123 a 88 ogni mille nascite (bambini nati vivi) nel corso dello stesso periodo. L’accesso all’acqua potabile è migliorato, così il tasso di scolarizzazione primaria (passato dal 68% al 95% nel 2014). La povertà, del 45,5% nel 1995, è passata al 24% della popolazione nel 2014. Secondo la BAD non meno di 1,3 milioni di posti di lavoro sono stati creati nel 2013, grazie all’appoggio delle autorità nella creazione di PMI. La volontà politica di ottenere risultati tangibili in termini di sviluppo si mostra determinante, come in Ruanda, alle Seychelles o alle Mauritius, tra i Paesi più competitivi dell’Africa.
Ma se l’Etiopia è un astro nascente nell’economia dell’ Africa ed è stata addirittura nominata dal Consiglio Europeo per il turismo e del commercio come migliore meta turistica al mondo nel 2015 per l’eccellente conservazione del suo patrimonio mondiale dell’umanità, come le rovine di Aksum e della città di Fasil Ghebbi (residenza degli imperatori etiopi nel XVI e XVII secolo), non è tutto rose e fiori in un Paese dove la libertà di stampa viene spesso imbrigliata. Imprigionati da più di un anno per terrorismo in Etiopia, tre giornalisti e due blogger di Zona9 sono stati magicamente rilasciati lo scorso 8 Luglio poco prima della visita nel Paese del Presidente americano Barack Obama. I capi di accusa che pendevano due blogger son spariti d’incanto. Già nel Maggio del 2014, il Segretario di Stato americano, John Kerry aveva chiesto alle autorità etiope di accordare maggiore libertà alla società civile e ai giornalisti, dopo aver fatto loro parte della sua preoccupazione per i giornalisti arrestati poco prima. Il numero di giornalisti arrestati nel corso degli ultimi anni è salito vertiginosamente. Sviluppo non vuol dire solo crescita economica, costruzioni, investimenti, ma sviluppo è anche accorciamento delle distanze nelle entrate della popolazione così come maggiore libertà per la società civile. Bene la crescita, ma a 360°.