L’esempio del passato
In tutta sincerità non capisco e non condivido quanto sta avvenendo intorno alla vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi. Sarà forse perché sono figlio di una stagione, quella della Prima Repubblica, nella quale, con Tangentopoli, chiunque avesse responsabilità istituzionali e fosse stato colpito da un semplice avviso di garanzia faceva un passo indietro dalla politica; sarà perché ho vissuto un’epoca nella quale ci furono casi eclatanti, quelli sì di pesante ingerenza di alcuni magistrati sulla vita politica italiana.
In particolare, fra i tanti: Arnaldo Forlani fu condannato per due anni e quattro mesi per finanziamenti illeciti al partito sulla base del principio inaugurato da Antonio Di Pietro secondo il quale, come segretario del partito, non poteva non sapere. Forlani scontò la pena interamente ai servizi sociali e da lui stesso definita “ingiusta e accettata in spirito socratico come una cicuta da bere”; Clerio Darida, già ministro Guardasigilli, che ha conosciuto per qualche mese la triste esperienza della custodia cautelare nel carcere di San Vittore salvo poi essere assolto con formula piena nei successivi gradi di giudizio. Il tutto sapendo silenziosamente ritirarsi dalla scena pubblica della quale per anni era stato autorevole protagonista; Giulio Andreotti, politico di primo piano di cinquant’anni della nostra storia, che ha saputo difendersi per due lustri in un processo per il quale lui stesso decise di rinunciare all’immunità parlamentare e mettersi a disposizione della giustizia che alla fine lo assolse. Fu l’ultimo atto della sua carriera politica.
Ma veniamo ad oggi: la condanna in via definitiva che prevede come pena accessoria la decadenza da senatore per via parlamentare o l’interdizione temporanea per via giudiziaria, non dovrebbe essere per il Cavaliere già motivo sufficiente per un gesto politico e morale spontaneo di abbandono dell’impegno diretto sulla scena italiana? E’ ragionevole pensare che l’opinione pubblica così priva di fiducia verso i partiti e i politici possa sopportare un parlamentare, un leader, condannato dopo tre gradi di giudizio che eserciti compiutamente le sue funzioni istituzionali? Quanti leader eletti in modo plebiscitario sono caduti rovinosamente con giudizi trancianti della Storia per la loro caparbietà nel non accettare un fisiologico declino? In un Paese democratico può bastare essere portatore di voti per considerarsi al di sopra della legge?
Queste considerazioni si rafforzano dal fatto che esistono, oltre a quelli da noi accennati, esempi internazionali di autoesclusione quale quelli di Chirac e di Kohl, oggetto di azioni giudiziarie, o di ministri autorevoli che si sono ritirati a vita privata per aver copiato una tesi di laurea o non aver pagato i contributi previdenziali della cameriera. Con la vicenda di Silvio Berlusconi, è questo il tasso di moralità che la politica vuole offrire alle nuove generazioni? Può essere questo l’oggetto di discussione quotidiana che attanaglia il Parlamento dal quale invece i cittadini attendono risposte urgenti per risolvere i problemi economici e sociali che li investono? Se così fosse, ne sono sicuro, l’Italia non avrebbe un futuro davanti a sé degno di essere vissuto con qualche barlume di speranza. Che Dio ci aiuti.
©Futuro Europa®
[NdR – L’autore dell’articolo è eurodeputato del PPE e vicepresidente della delegazione Popolari per l’Europa al Parlamento europeo]