Come va l’Europa?
L’Europa, questa perpetua tela di Penelope, ha corso e sta correndo grandi rischi. E un po’ affrettatamente, in una stampa superficiale e dall’altra parte dell’Oceano, è stata data per morta o in decadenza irreversibile. Diciamolo chiaro: è in decadenza chi accetta o addirittura sceglie di esserlo, per pigrizia o insipienza. La Storia è fatta dagli uomini, non dalle oscure mani del Fato, e la volontà degli uomini, intendo di chi è chiamato a dirigere la vita pubblica, può e deve indirizzarne il corso.
La crisi greca parrebbe superata, grazie a chi ha fatto prevalere il buon senso. Tra questi c’è Tsipras. Aveva vinto le elezioni sulla base di un programma utopico e populista. Cammin facendo, si è reso conto della realtà delle cose e ha finito con l’accettare, realisticamente, i compromessi necessari. Per questo, la sinistra del suo partito l’ha attaccato e il suo Ministro dell’Economia, l’ineffabile Varoufakis, se n’è andato. Lui ha fatto quello che doveva: chiamare a nuove elezioni. E ha vinto di nuovo. I voti ricevuti sono più o meno gli stessi di sei mesi fa, ma visto che nel frattempo c’è stata la scissione nel suo partito, aver mantenuto lo stesso livello di consensi è certamente un fatto di notevole significato. La gente, in sostanza, ha capito che la via della saggezza è alla fine la sola pagante, anche se comporta sacrificio, perché non ci sono scorciatoie o ricette miracolistiche. Con la sua condotta, Tsipras ha perso l’aurteola di eroe e icona della sinistra radicale. Meglio per lui. La linea seguita, e la sua vittoria elettorale, gli hanno ridato un’autorevolezza che certo si farà sentire nei prossimi, non facili, mesi e anni nei rapporti con l’Unione, con la BCE e con il FMI. Nessuno è disposto a fare nuovi sconti alla Grecia, nessuno vuole che il paese ellenico ritorni a fare follie finanziarie. Ma ognuno dovrà tener conto del fatto che Tsipras è ora il solo interlocutore possibile ad Atene. La minoranza dissidente ha fatto una pessima figura. Non senza ragione, con la consueta graffiante ironia, Renzi ha ricordato, alla direzione del PD, che “chi di dissidenza ferisce, di dissidenza alle elezioni perisce.”
Ma la crisi greca è stata oscurata dalla nuova crisi, legata all’esodo epocale di profughi dalla Siria, che pare voler sommergere il Vecchio Continente e ne mette a prova sia le strutture di accoglienza, che la solidarietà e i valori di base. Personalmente, continuo a pensare che l’immigrazione dalla Siria sia un problema tutto sommato governabile. I siriani sono arabi un po’ speciali, laici in generale e capaci di lavorare. In Germania ci sono seicentomila posti di lavoro disponibili. Molti ce ne sono in Inghilterra e in altri paesi in cui i locali rifiutano ormai certi lavori (specie nell’agricoltura, ma anche nei servizi, come la salute). Spero che questi nuovi immigrati possano trovare il loro posto nelle economie europee e costituiscano alla fine un apporto positivo. In attesa che termini la guerra civile nel loro paese di origine e molti, se non tutti, possano ritornarvi. Alcune cifre sono interessanti. In un programma della RAI ho visto un cartello secondo cui gli immigrati in Italia pagano tasse e contributi sociali per oltre sedici miliardi di euro, e costano allo Stato un po’ più di tredici miliardi. Il saldo è a nostro favore. Naturalmente, il problema non è solo contabile. Ci sono questioni serie e talvolta gravi di convivenza tra culture diverse. Se l’Europa non fosse in grado di affrontarli rimanendo sé stessa, con la giusta tolleranza ma mantenendo fermissimi principi e regole della sua civiltà, saremmo davvero nei guai!
Dico l’Europa perché è evidente che un problema di tale portata non può essere risolto a livello nazionale, checché strepitino i vari Salvini. L’Europa ha messo tempo ad accorgersene. Qualcosa si è però mosso, Paesi considerati chiusi come Germania e Austria si sono aperti. Altri hanno, al contrario, tentato di elevare barriere, credo illusorie. Le Autorità di Bruxelles hanno alla fine varato un piano di ripartizione dei proguhi che viene incontro ad istanze italiane e greche. A quanto pare, il piano non passerà in forma obbligatoria, per la resistenza dei paesi ell’Est europeo, ma non è impossibile che sia di fatto accettato e applicato se gli si toglie l’aspetto compulsivo. Una possibilità alternativa è che i Paesi che non accolgono rifugiati contribuiscano finanziariamente alla loro accoglienza nei Paesi che li accettano.
Insomma, l’Europa, di fronte a difficoltà da far tremare i polsi, esita, discute, si tortura, ma alla fine dà segni di vita, grazie a un fatto che a molti sfugge: nessuno dei suoi membri pensa seriamente di farla saltare o di rinunciarvi. In fondo, neppure l’Inghilterra, malgrado la sua permanente fronda (si vedrà poi come andrà il referendum). Una cosa però bisogna avere chiarissima: la permanenza dell’Europa unita dipende dalla volontà politica dei Paesi-chiave, in primo luogo Germania e Francia, e dalla capacità di guida dei loro leader. Perciò a me pare un evento significativo il fatto che Hollande e la Merkel andranno insieme al Parlamento Europeo il 7 ottobre. A qualcuno può dare, superficialmente, fastidio questo permanente duopolio, che sembra proporsi come un vero e proprio direttorio. Ma è uno sbaglio. L’Europa è nata per riconciliare i due grandi paesi che per secoli si erano combattuti, portando lutti e miserie a tutto il Continente. Essi restano al centro di tutto e se la loro intesa cadesse, l’intero Continente tornerebbe a soffrirne, e noi tra gli altri. Poi sta agli altri grandi Paesi come Italia e Spagna muoversi in modo da non accettare supinamente la volontà altrui, ma contribuire a determinarla e se occorre a modificarla. Per questo, i vari “assi” circostanziali ora con Madrid, ora con Atene o magari Cipro e Malta, sono utili ma non sufficienti. Checché ne dicano i pappagalli di una certa politica, essenziale è il dialogo, franco come occorre, ma amichevole, con Parigi e Berlino. Tale dialogo non può certo esaurire la nostra politica estera. Essa ha bisogno di uno stretto rapporto dentro e fuori la NATO con gli Stati Uniti, di una buona relazione con i protagonisti del Mediterraneo, Egitto in primo luogo (questo lo hanno capito tutti i nostri Capi di Governo). Ma il rapporto con la Francia e la Germania resta decisivo. Rendiamoci conto, una volta per tutti, che senza o contro l’Europa (e la NATO) saremmo veramente molto fragili.