Riforma del Senato, il punto
Il 13 ottobre è il giorno fissato per l’approvazione della riforma del Senato voluta da Renzi. La scelta ha fatto non poco infuriare il premier che nei suoi piani avrebbe voluto approvare il testo senza modifiche per andare all’approvazione definitiva l’8 gennaio e, in concomitanza con le amministrative, proporre il referendum sulle modifiche costituzionali.
Ed invece, dopo la mediazione sull’art. 2 con la minoranza del suo partito, si dovrà andare in seconda lettura a Montecitorio, con l’approvazione definitiva destinata a slittare almeno a marzo.
Il tema che stava più a cuore a Bersani e compagni era l’elezione diretta dei senatori. La mediazione di fatto fa gioire tutti e non accontenta nessuno. Da una parte Renzi, essendo riuscito a serrare le fila del suo partito ha di fatto disinnescato gli ex forzisti di Verdini e gli ex grillini, pronti ad appoggiare le riforme del governo magari in cambio di una poltroncina in qualche dicastero. Dall’altra la mezza vittoria di Bersani ha sì scongiurato una scissione che avrebbe senza dubbio portato alle elezioni anticipate, ma il nuovo emendamento lascia aperte ancora molte strade, ben lontane dall’elezione diretta dei senatori.
La modifica dice che “la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge” ordinaria approvata dalle Camere per quanto riguarda l’attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri regionali e i sindaci. Insomma tutto rimandato alla legge elettorale, che senza dubbio porterà ancora notti insonne al Premier.
A far infuriare Renzi ci si è messo anche il Presidente Grasso accusato di sconfinare nel terreno della regia e del protagonismo politico. Di certo, il Presidente vorrà dire la sua in un Senato che fa la conta quotidiana della propria maggioranza, soprattutto in un contesto politico estremamente variabile. Le minoranze e i lealisti sono rimasti a bocca asciutta, Renzi è riuscito nuovamente a rimandare il giorno in cui avrà bisogno di loro per far passare le riforme.
Di certo questa legge sembra non accontentare i più ma l’essere riuscito a serrare ancora i ranghi costituisce in passo importante verso la scadenza naturale della legislatura, o almeno fino alla nuova legge elettorale. Dall’altra parte, dopo la rottura del patto del Nazareno le minoranze non sono ancora riuscite ad insinuarsi nelle decisioni sulle riforme costituzionali, di fatto riducendo il proprio ruolo ad attori passivi.
I passi successivi sono ancora lunghi e le dinamiche possono subire repentini stravolgimenti.