Pietro Grasso, il temporeggiatore

Con una mossa che non accontenta l’opposizione, ma nemmeno il governo, il primo inquilino di Palazzo Madama stralcia, causa “irricevibilità di abnorme numero di emendamenti”, gli 85 milioni di proposte di modifica alla riforma costituzionale, incarnata dal ddl Boschi, presentati – come guanto di sfida ed espressione di violento raptus “algoritmico” – da Calderoli e Lega Nord. Pietro Grasso deciderà, inoltre, l’ammissibilità dei restanti 385mila emendamenti, ancora pendenti in Commissione Affari Costituzionali, articolo per articolo.

Se, da un lato, la sua scelta scongiura il sabotaggio del controverso disegno di riforma, obiettivo dichiarato dell’opposizione ad indirizzo più ostruzionista, dall’altro, compromette la road map sulla riforma del Senato tracciata dal premier Renzi, bisognosa – per ragioni di tempistica – di sfoltiture radicali e d’approvazione nella votazione finale del prossimo 13 ottobre. E’ centrale  la discussione sugli articoli 2 (relativo all’elettività dei senatori) e 38 (norma transitoria sul sistema d’elezione dei medesimi): su questo duplice perno, ruota la strategia attendista di Grasso, il quale, procedendo ad un complesso e lungo confronto articolo per articolo, mira – secondo alcuni – a blindare l’accordo siglato da Renzi con la minoranza Pd, in merito alla volontà dell’esecutivo di modificare l’art. 2, peraltro già approvato da Camera e Senato e ad oggi non contemplante l’elettività diretta dei Senatori da parte dei cittadini e che continua a suscitare perplessità e irritazione dell’opinione pubblica e di larga parte della politica; per altri, invece, a conferma delle recenti tensioni intercorse con palazzo Chigi, il presidente del Senato si prodigherebbe per far saltare la scadenza della votazione e rinviare il tutto a periodo successivo alla sessione di bilancio, sul tavolo il 15 ottobre con l’esame della legge di stabilità.

Analizziamo, dunque, le reazioni delle parti in causa: Luciano Pizzetti, sottosegretario alle Riforme, dichiara ai cronisti che sarebbe stato meglio che il presidente si fosse espresso su un’ammissibilità complessiva degli emendamenti pendenti, in modo da poter iniziare subito il dibattito sull’articolo 38, partendo dal punto fermo dell’emendabilità dell’articolo 2. La linea di Grasso, invece, è quella di nascondere le carte in mano il più a lungo possibile e ciò, dalla prospettiva del Governo, rappresenta un inibitore ad un’intesa politica complessiva su contenuti legislativi spiccatamente intrecciati l’uno con l’altro. Immancabili giudizi al veleno da parte del Carroccio con il vicepresidente Volpi, che accusa Grasso di creare un precedente antidemocratico gravissimo, mentre Matteo Salvini parla di “atteggiamento vergognoso”.

A quanto sembra, la matassa è destinata a dipanarsi di volta in volta nei prossimi giorni, secondo la modalità “work in progress” adottata dalla presidenza del Senato; nell’attesa, non possiamo far altro che ricordare i punti chiave del ddl approvato sì in prima lettura al Senato, nell’agosto dello scorso anno, tuttavia ispiratore della valanga d’emendamenti che caratterizza il contraddittorio politico odierno: superamento del bicameralismo paritario, riduzione generale del numero dei parlamentari, diminuzione dei costi d’attività e funzionamento dell’apparato istituzionale, soppressione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro) e revisione del Titolo V della Costituzione. Questi, i temi roventi che, prossimamente,  riscalderanno non poco il clima politico italiano.

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