Allacciate le cinture (Film, 2014)
Ferzan Özpetek ci aveva illuso ai tempi de Il bagno turco (folgorante debutto del 1997) e delle Fate ignoranti (2001), pensavamo che potesse diventare un formidabile innovatore della commedia, un Almodovar turco, naturalizzato italiano. Ci eravamo sbagliati, ché l’opera del regista è andata scemando in sceneggiature da television movie, a caccia di facili successi commerciali, impoverendo l’ispirazione originale, stemperandosi nella poetica dei drammoni intellettuali alla Özpetek in salsa gay. Sono venuti fuori prodotti disturbanti e inutili come Un giorno perfetto (2008), film ambiziosi come Cuore sacro (2004) e Le mine vaganti (2010), narrati maldestramente e senza coinvolgimento emotivo. Malgrado ciò, Özpetek continua a essere autore celebrato e a ricoprire incarichi importanti nel mondo patinato e festivaliero del cinema italiano. Siamo contenti per lui, ma decisamente il suo cinema ha ormai ben poco da dire e si limita a riciclare identici cliché e a imbastire situazioni paradossali.
Il suo decimo film, Allacciate le cinture, segna uno dei punti più bassi della sua poetica e fa capire tutta la decadenza di un cinema che tenta di un pubblico abituato alla televisione del dolore con una sorta di lacrima movie fuori tempo massimo. Cominciamo dagli interpreti, belli e perfetti quanto poco credibili, attori da fiction, gente come Kasia Smutniak, Francesco Arca e Filippo Scicchitano, cui va il solo merito di imbruttirsi per raccontare una storia drammatica che si sviluppa 13 anni dopo il primo incontro. Nonostante tutto il film è un successo di incassi (oltre 4.500.000 euro) – non stupisce più di tanto – ottiene persino un buon riscontro critico, undici candidature ai David di Donatello e ai Nastri d’argento. Allacciate le cinture gode di una stupenda ambientazione pugliese (Lecce) e di una fotografia eccellente, curata da Corticelli, la tecnica di regia non è meno geniale, con inquadrature originali (la lite dei genitori ripresa dagli occhi dei bambini) e poetici piani sequenza. Fine dei pregi, purtroppo.
Perché tanto talento sprecato? Tutto il resto è noia, non solo lacrime. Una storia narrata per flashback caotici, con improvvisi sbalzi temporali tra passato e presente, che procede senza emozioni, presentando una protagonista (Smutniak) sposata con una persona molto diversa da lei (il tatuatissimo Arca) ma profondamente innamorata. Il contorno sono due litigiose amiche gay, un comprensivo amico omosessuale, due figli da crescere, il lavoro in un bar edificato dal niente e la variabile impazzita di una grave malattia che modifica l’esistenza. Il film procede alternando passato e presente, inserendo una patetica Paola Minaccioni nei panni della malata terminale e un’Elena Sofia Ricci, entrambe del tutto fuori parte, al punto che gli interpreti migliori del cast sono i due bambini.
Storia e sceneggiatura mancano del tutto, in senso cinematografico, appaiono inutili, proprio come ne Un giorno perfetto, tra patetiche concessioni al cinema strappacuore e improbabili sequenze erotiche (il rapporto sessuale sul letto di ospedale) che provocano solo imbarazzo. L’unica sequenza indimenticabile – che si ripete in una notevole parte onirica – vede la stupenda fotografia marina di un incantevole angolo di Puglia e il bagno in mare tra i due protagonisti poco prima di far l’amore sulla spiaggia. Nient’altro, purtroppo, se non un grande senso di delusione per un nuovo film italiano tanto ambizioso quanto irrisolto.
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Regia: Ferzan Ozpetek. Soggetto: Ferzan Ozpetek. Sceneggiatura. Gianni Romoli, Ferzan Ozpetek. Fotografia: Gian Filippo Corticelli. Montaggio: Patrizio Marone. Musiche: Pasquale Catalano. Scenografia: Marta Maffucci. Costumi: Alessandro Lai. Produttori: Tilde Corsi, Gianni Romoli. Case di Produzione: R&C Produzioni, Faros Film, Rai Cinema. Distribuzione: 01 Distribution. Durata: 110′. Genere: Drammatico. Interpreti: Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Carolina Crescentini, Francesco Scianna, Carla Signori, Elena Sofia Ricci, Paola Minaccioni, Giulia Michelini, Luisa Ranieri.
[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]