Riforme e Legge di stabilità

La settimana appena finita ha visto due importanti eventi di politica interna: l’approvazione da parte  del Senato del DDL Boschi sulle riforme istituzionali e il passaggio in Consiglio dei Ministri della Legge di Stabilità (vulgo: Legge di bilancio).

Il DDL Boschi non riguarda solo la riforma del Senato, su cui si è concentrata  tutta l’attenzione (e relativo baccano). Contiene molte altre norme, che chiariscono le rispettive competenze  tra Stato e Regioni, in modo da evitare costose sovrappozizioni, abolisce (finalmente) le Province e detta norme per quanto riguarda i Referendum,  riducendo il quorum previsto per quelli abrogativi e introducendo il referendum propositivo e di indirizzo. Regola anche, ed era tempo, la materia delle leggi di iniziativa popolare, rendendo obbligatorio per il Parlamento esaminarle entro data fissa se presentate da un certo numero di cittadini. Sono norme nell’insieme giuste e utili ed è un peccato che siano passate in seconda linea nella pubblica attenzione.

Quanto al Senato, la controversia, a un certo momento assai aspra tra maggioranza e minoranza del PD, riguardava il modo di scelta dei suoi membri. Alla fine si è trovato un compromesso tra la nomina da parte dei Consigli Regionali e l’elezione da parte dei cittadini. La nomina resta ai Consigli, i quali dovranno però tener conto delle indicazioni degli elettori. Come conciliare questi opposti principi è rimandato a una legge ordinaria, la cui redazione richiederà non comuni doti di equilibrismo. La riforma ha anche definito in modo abbastanza chiaro le competenze di questo ramo del Parlamento, che diviene espressione delle autonomie locali e perde quindi la facoltà di dare o togliere la fiducia al Governo e vede fortemente ridotte le sue funzioni legislative. Il modello a cui si ispira la riforma è quello adottato in Francia, Germania e Spagna, mentre il modo di scelta dei senatori è ispirato direttamente al modello tedesco. Sono tutti grandi Paesi democratici, parlare perciò di attentato alla democrazia è ridicolo, spiegabile solo con la pervicacia delle opposizioni nel dire di no a tutto: anche a quello che alcune di esse, vedi Forza Italia, avevano entusiasticamente votato nelle precedenti letture in Camera e Senato. Del tutto abusivo è anche parlare di forzatura autoritaria per l’approvazione delle riforme a maggioranza, con il solo apporto esterno dei verdiniani. Si dimentica con disinvoltura che è esattamente quanto ha fatto a suo tempo la maggioranza di centro-destra, per riforme poi bocciate da un Referendum popolare. E si dimentica che le riforme ora approvate dovranno ancora passare per due distinte letture in Camera e Senato e poi per un Referendum popolare confermativo ed essere giudicate costituzionali dalla Consulta. Più garanzie di così! Certo, sarebbe stato un bello spettacolo vedere una legge così importante approvata su basi molto larghe. Ma con oppositori come Salvini, Grillo, Vendola, Brunetta e compagnia, si trattava di una evidente chimera.

Ci si può dire soddisfatti della riforma così com’è? Non del tutto. Poteva essere migliore, l’elezione diretta dei senatori sarebbe stata un gesto di buon senso; ma una riforma imperfetta alla fine è meglio della paralisi alla quale siamo stati abituati per almeno trent’anni. L’importante è che, con il superamento del bicameralismo perfetto, che in Europa vigeva solo in Italia, la politica potrebbe essere più snella, più rapida e meno costosa.

La Legge di Stabilità reca varie novità positive, innanzitutto l’abolizione dei vari balzelli sulla casa. Era una misura reclamata ad alte grida da FI e non “centrata” con l Governo Letta, quando pure FI era nella maggioranza. Ora è facile alle opposizioni di varia tinta urlare che è solo propaganda, trucco, inganno. La verità è che non sanno che dire. La Legge contiene nuovi, anche se contenuti, impegni di spesa, mentre la previsione di minori spese della PA sono ridotte a 5 miliardi di euro. Eppure, il Premier ha dichiaratro che nel 2016 saranno rispettati gli impegni relativi al deficit di bilancio e che, per la prima volta, diminuirà il rapporto tra debito pubblico e PIL. Come ci si riuscirà? La mia impressione è che il Governo punti su un aumento del PIL nel 2016 dovuto alla ripresa dei consumi interni derivante dall’abolizione di alcune imposte, e quindi su maggiori entrate nelle casse dello Stato. È la vecchia idea reaganiano-berlusconiana. Funzionerà?

Renzi ha definito la Legge di Stabilità “Legge di fiducia”. La fiducia è un elemento importante nell’economia, specie in momenti di sperata ripresa. Ma si conquista giorno per giorno, realizzando con i fatti programmi e promesse. Con tante promesse mancate e un quasi fallimento, Berlusconi ci ha insegnato a essere diffidenti. Sarà diverso stavolta? Staremo a vedere, senza dimenticare che il tutto avviene davanti a un’opinione pubblica diventata difficile da ingannare e sotto il vigile controllo dell’Unione Europea, alla quale non si possono vendere chimere.

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