Cronache dai Palazzi

Avanti con lo slogan “meno tasse per tutti” di spirito berlusconiano però, dice Renzi di fronte alle telecamere di La7 (ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo), “lui ha fatto lo slogan e poi se ne è andato, noi lo facciamo davvero”. Un premier che si dichiara inoltre “soddisfatto” dei circa 6 miliardi di tagli alla spesa, che annuncia “il divieto per Regioni e Comuni si alzare le tasse locali” – quindi addizionali sotto tiro – e che riguardo alla misura indigesta a una parte del Pd di alzare il tetto dei contanti da mille a 3 mila euro afferma: “Siamo pronti alla fiducia”. In sostanza per Palazzo Chigi con la manovra finanziaria di quest’anno prosegue il piano di taglio delle tasse dello scorso anno, si intensifica la lotta contro la povertà e la tutela delle fasce più deboli e si procede con la spending review.

Renzi assicura che la legge di Stabilità non nasconde nessuna mossa “elettorale” e lo dichiara soprattutto riferendosi al taglio della tassa sulla prima casa: “Sono dieci anni che parliamo solo di Ici, Imu, Tasi, è la tassa più odiata. E non è mai stata tolta. È una misura di pancia? Sì. Ma non è elettorale”. Confermato invece che la tassa sulla prima casa continuerà ad applicarsi alle abitazioni di lusso, ville e castelli, anche se con dei mini sconti. In Italia sono oltre 30 mila le dimore storiche e 2.358 hanno vincoli di tutela. A proposito di Tasi sono inoltre 460 i Comuni (compresi Milano e Roma) che potranno aumentare l’imposta sulla seconda casa dello 0,8% (per finanziare le detrazioni sulle prime), avendolo fatto nel 2015 e potendo quindi mantenere tale e quale la tassa nel 2016. La manovra finanziaria include anche nuovi bandi per le sale giochi in vista della scadenza nel 2016 delle concessioni che, secondo l’ultima versione del disegno di legge di Stabilità, dovrebbero scendere a 15 mila. Attualmente sono 17 mila i punti gioco attivi tra agenzie e corner.

Il canone Rai finirà invece nella bolletta elettrica e scenderà da 113,50 a 100 euro. Si potrà pagare anche a rate (6 rate da 16,66 euro ogni 60 giorni) e sono previste sanzioni di 500 euro per gli evasori. Sono esclusi dal pagamento del canone tablet e smartphone. In definitiva si stima un gettito per l’erario di circa 2,5 miliardi di euro destinati al fondo per la riduzione della pressione fiscale. “Pagare meno, pagare tutti” è stato in effetti, fin dall’inizio, il motto ispiratrice dell’operazione.

Nel frattempo piovono accuse dal fronte delle Regioni, con Sergio Chiamparino che, mentre annuncia le sue dimissioni da presidente della Conferenza delle Regioni (si dice per fare pressione sul governo), non nasconde il suo scontento per una legge di Stabilità che presenta il bicchiere “più mezzo pieno e che mezzo vuoto”. Sulla Sanità, in particolare, “bisogna avere ancora delle risposte dal governo”. Per il 2016 il Fondo sanitario nazionale sarà infatti fermo a quota 111 miliardi e non salirà quindi a 113,1 miliardi, come vagamente ipotizzato in precedenza. In pratica a carico delle Regioni ordinarie è saltato il taglio da 1,8 miliardi, mentre nel 2017 dovrebbe saltare un contributo di 3,9 miliardi e di 5,4 nel 2018 (più un miliardo a carico delle Regioni a statuto speciale). In questo modo si prevede di fatto un congelamento del Fsn a quota 111 miliardi per il prossimo triennio.

Gli enti locali in disavanzo prevedono quindi tichet e addizionali Irpef-Irap a rischio. I Tributi di regioni e comuni sono congelati ma, molto probabilmente, per appianare i conti della sanità sarà necessario incrementare la Tari (comunale) sui rifiuti e l’addizionale regionale Irpef. Con lo scarso miliardo in più nel 2016 si dovranno in  effetti finanziare molte operazioni: “Gli 800 milioni per i Livelli essenziali di assistenza, i 500 milioni del piano vaccini, altri 500 per i farmaci contro l’epatite C, poi con quei soldi si dovrà pagare anche il nuovo contratto di lavoro. Altro che un miliardo in più, qui ce ne sono almeno 2 o 3 di maggiori costi”, spiega Massimo Garavaglia, assessore lombardo e coordinatore della Sanità per le Regioni. Alla resa dei conti, il livello della spesa viene giudicato dalle Regioni “pericolosamente vicino” al 6,5% del Pil che l’Organizzazione mondiale della sanità definisce una soglia critica, al di sotto della quale si accentuerebbe il rischio di una riduzione delle speranze di vita.

Stretta anche sulle assunzioni nella Pubblica amministrazione. Nel triennio 2016-2018, la spesa per l’assunzione di personale a tempo indeterminato di personale non dirigenziale non dovrà superare il 25% di quella sostenuta per i dipendenti pensionati l’anno precedente. Fuori invece i dirigenti di nomina politica mentre nelle aziende partecipate il tetto più alto per lo stipendio di un manager è fissato  a 240 mila euro annui. Renzi assicura inoltre un taglio di “migliaia di dirigenti dello Stato centrale (circa 400) e degli enti locali” da attuare attraverso “un turn over molto duro” ma ciò “non vuol dire che li licenziamo – afferma il presidente del Consiglio – ma poiché in Italia ce ne sono troppi, li riduciamo”. A proposito di pensioni invece occorre evitare di fare pasticci e la misura sulla flessibilità sarà attuata “solo quando saranno chiari i numeri e non si faranno più errori come sugli esodati”.

Contestatissima infine la riforma Rai che, al di là del via libera ottenuto dalla Camera – 259 i voti favorevoli contro 143, mentre il gruppo Ala si è astenuto –  è stata rigettata da M5S, Sel e Lega che hanno tentato di mettere in campo un’azione di ostruzionismo non riuscendo comunque ad impedire l’approvazione rapida del disegno di legge da parte dell’Aula di Montecitorio. Ora il testo torna al Senato per la terza lettura e l’approvazione definitiva.

Le opposizioni contestano in primo luogo il mancato passo indietro della politica sulle nomine della televisione di Stato. È “nauseabondo osservare la finta opposizione di Forza Italia”, ha affermato il presidente della commissione di Vigilanza, il pentastellato Roberto Fico. Il sospetto è che Renzi e Berlusconi siano pronti a spartirsi le poltrone delle nuove newsroom Rai. Il coordinatore nazionale di Sel, Nicola Fratoianni, la definisce una pessima riforma dato che “si butta fuori il Parlamento” e “si mette dentro il governo” che mira a “controllare il servizio pubblico radio tv”, fino ad “eliminare lo scomodo dibattito e lo scomodo pluralismo”. Il partito di Matteo Renzi sottolinea invece che la legge elimina “l’invadenza politica” e garantisce “trasparenza”.

Il provvedimento ridefinisce in pratica la governance della Rai, l’attività gestionale dell’azienda, i contratti di servizio, le competenze della Commissione parlamentare  di Vigilanza e infine comprende anche una delega al governo per il riassetto della normativa in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici. La novità più rilevante è il potenziamento del ruolo dell’amministratore delegato che sostituirà il direttore generale, sarà nominato dal cda su proposta dell’assemblea, potrà nominare i dirigenti di primo livello, mentre per le nomine editoriali sarà necessario il parere del cda. L’ad potrà inoltre firmare contratti fino a 10 milioni e gestirà le risorse economiche in piena autonomia. La Camera ha comunque introdotto delle modifiche per prevenire un eccesso di autonomia, tantoché che c’è l’obbligo per l’ad di sottoporre all’approvazione del cda i contratti di carattere strategico e quelli di valore superiore ai dieci milioni. Ulteriori livelli di trasparenza saranno infine garantiti con la pubblicazione online dei rispettivi curricula e compensi dei vari livelli dirigenziali e delle retribuzioni dei giornalisti con compensi annuali superiori ai 200mila euro, mentre gli artisti potranno continuare ad avvalersi della tutela della privacy.

Nel frattempo davanti ai Cavalieri del Lavoro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella denuncia l’immoralità dilagante e lancia un avvertimento a tutti: “La legalità e la lotta alla corruzione sono condizioni irrinunciabili per la nuova crescita italiana… i valori di onesta, trasparenza, lealtà e responsabilità sociale sono essenziali sempre, e ancora di più per fare impresa”. Il presidente fa in pratica una diagnosi dell’economia nazionale, a sette anni dall’inizio della Grande Crisi e, pur certificando “gli incoraggianti dati di ripresa” e “i segnali di maggiore fiducia” nel nostro Paese da parte delle istituzioni finanziarie internazionali, sottolinea la precondizione essenziale per una definitiva uscita dal tunnel, ossia che l’Italia si corregga, con decisione, sul fronte della moralità pubblica. La difesa della legalità si conferma la cifra di questo settennato: una vera e propria missione istituzionale da presidente della Repubblica coerente con la personalità di Sergio Mattarella, fondata sulla maturità del diritto e dei suoi limiti, e quindi sui doveri in un Paese civile.

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