Cronache dai Palazzi

In un contesto “globale di rischi al ribasso” Bruxelles concede lo 0,2% di flessibilità per l’emergenza migranti, allargando così i margini di manovra delle finanze italiane. Tutto ciò anche in virtù della crescita economica che nel Belpaese appare consolidarsi, nonostante i livelli di disoccupazione rimangano troppo alti.

Dalla crisi economica “durata troppo” – ha ammonito il presidente della Bce Mario Draghi, dall’Università Cattolica di Milano – l’Italia sta “gradualmente emergendo” ma il numero dei disoccupati è ancora “inaccettabile”: “Le generazioni più giovani hanno pagato un prezzo molto elevato”. Nel contempo Draghi ha elencato le cause degli squilibri enfatizzate dalla crisi: i “gravi errori nelle politiche economiche degli Stati nazionali” e le “manchevolezze nell’architettura istituzionale europea”.

La Bce si è dovuta muovere in questo contesto, ha rimarcato Draghi, “per ricostruire la fiducia, riportare la prosperità, ripristinare la stabilità dei prezzi”, tutto ciò nel rispetto del suo mandato che “poggia su un consenso radicato nella società”. Il programma finora attuato, il cui fulcro è il quantitative easing basato sul riacquisto di titoli di Stato, “è stato senza dubbio efficace”. Però la dinamica dei prezzi è “molto debole”, il quadro macroeconomico “ancora incerto” e, per di più, “l’indebolirsi dell’economia mondiale” aggrava la situazione non proprio rassicurante. Nella riunione del 2 dicembre il consiglio direttivo della Banca centrale europea, in perfetta autonomia come da Trattato – autonomia che Draghi rivendica -, dovrà quindi valutare “il grado di accomodamento monetario” e se si rivelasse necessario definire “le modalità con cui intensificarlo”. Nel contempo il Bollettino economico della Bce sottolinea “una certa volatilità dei mercati”, ora “gradualmente in calo”, e raccomanda a tutti gli Stati membri di usare “con cautela” la flessibilità dei conti pubblici concessa dalla Commissione europea, tutto ciò “per preservare la sostenibilità di bilancio e applicare in modo credibile le disposizioni del patto di Stabilità”.

Le previsioni della Commissione europea e dell’istituto nazionale di statistica, Istat, rivelano comunque un generale ottimismo: previsioni di ripresa in rialzo allo 0,9% nel 2015 (dallo 0,6% e 0,7%). Tassi di interesse vicini allo zero, basso prezzo del petrolio, deprezzamento dell’euro e vari interventi della Bce dovrebbero inoltre determinare un + 1,4% nei prossimi due anni, e per il 2016 la Commissione Ue prevede addirittura un + 1,5%.  Consumi e esportazioni sembrerebbero essere le leve della ripresa.

Il commissario europeo Pierre Moscovici suggerisce comunque di interpretare le previsioni positive con una certa prudenza, considerando anche il “contesto globale in peggioramento”. In sostanza i dati positivi per l’Italia non devono essere tradotti in un via libera scontato e anticipato di Bruxelles alla legge di Stabilità che deve ancora essere valutata. Il verdetto è atteso per il 16 novembre.

L’Unione europea mantiene seri dubbi sull’alto debito pubblico italiano, anche se si pronostica una leggera discesa (dal 133% al 132,2% del Pil) tra il 2015 e il 2016. La spesa per interessi potrebbe appesantire i conti pubblici provocando un rialzo dell’inflazione dall’attuale 0,2% all’1% nel 2016, mentre il deterioramento dell’economia dei Paesi emergenti, la caduta del commercio internazionale e vari rischi geopolitici collegati, potrebbero in generale depotenziare la ripresa. L’Istat prevede infatti per il 2016 un -0,2/0,3% del Pil a causa del rallentamento della Cina.

Sul piano politico no si escludono modifiche per quanto riguarda l’Italicum, anche se il premier dichiara di  continuare a “preferire” il premio alla lista. “È più logico – afferma Renzi – è in linea con il partito e la vocazione maggioritaria, che è la natura del Pd. Poi è ovvio che non abbiamo totem ideologici. Nessuna legge da sola garantisce la governabilità. È il sistema politico che deve farlo”. In pratica Renzi lascia tutte le porte aperte tenendo così a bada gli alleati – “Le parole del premier hanno un notevole rilievo”, afferma Fabrizio Cicchitto – ma anche la sinistra di Sel e la minoranza dem che con il premio alla coalizione, in sede elettorale, avrebbero la possibilità di “rientrare” al secondo turno. Renzi è comunque convinto che la legge approvata in via definitiva dal Parlamento lo scorso 4 maggio – ma che entrerà in vigore solo a luglio 2016 in virtù di una clausola inserita appositamente – “grazie ai ballottaggi, garantisce la certezza della vittoria”. Inoltre “i candidati nei collegi dovranno tornare a guardare in faccia gli elettori” e, in sintesi, “a dimostrazione che prima di oggi il sistema non ha mai funzionato, ci sono 63 governi e 27 presidenti del Consiglio in meno di settant’anni”, rimarca il capo dell’esecutivo.

Tattica la mossa di Renzi, vociferano i piani alti del Partito democratico rivelando che con Alfano non è stato raggiunto nessun accordo e che se ne parlerà sul serio solo dopo il referendum confermativo delle riforme istituzionali. In sostanza, i dem affermano: “Se andiamo con l’Ncd perdiamo a sinistra, se andiamo con Sel facciamo un regalo alla Lega, meglio correre da soli e lasciare tutto com’è”. Per Danilo Toninelli, capogruppo M5S in Commissione Affari costituzionali, Renzi deciderà in base ai sondaggi: “Se i sondaggi diranno che M5S vince al secondo turno allora modificherà l’Italicum. Tutto si deciderà dopo le elezioni comunali di primavera. Se M5S vincerà al secondo turno in qualche grande città Renzi sposterà il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione”, è la tesi di Toninelli.

Il faccia a faccia di Palazzo Chigi tra l’esecutivo e i governatori, invece, non ha portato nessun euro in più nelle tasche delle Regioni, a proposito di fondo sanitario. Renzi ha inoltre sottolineato che “il fondo per la Sanità aumenta e non c’è un taglio”. È stata prevista per di più la costituzione di due tavoli per la verifica dei costi. La spesa farmaceutica ospedaliera rischia ad esempio di sforare di altri 2 miliardi, come ha sottolineato anche il ministro della salute Lorenzin. Per il 2016 le Regioni si aspettavano comunque uno stanziamento di 113 miliardi per la sanità mentre ne avranno a disposizione 111, solo uno in più rispetto al 2015, e dovranno finanziare almeno 2 miliardi di costi aggiuntivi: il piano dei vaccini, i Livelli essenziali di assistenza, il rinnovo del contratto di lavoro, i farmaci innovativi. Il pareggio di bilancio sembra inoltre imporre, sempre nel 2016, un taglio di altri 500 milioni, e tra il 2017 e il 2019 le Regioni dovranno tagliare ulteriori 15 miliardi sulla salute. A rimetterci potrebbero essere come al solito i cittadini con l’aumento del ticket. Un altro strumento per risanare il disavanzo sanitario potrebbe essere il rialzo delle aliquote Irpef (dello 0,30%) e Irap (dello 0,15%). In sostanza, le minori disponibilità potrebbero generare servizi meno efficienti per i cittadini e imposte più pesanti. Il Cdm di ieri ha comunque approvato una “norma” che sana “il cosiddetto payback dei farmaci e consente di iscrivere a bilancio delle Regioni le somme indicate in una apposita tabella”, come ha spiegato il ministro Lorenzin. Con il cosiddetto decreto salva bilanci delle Regioni, approvato dal medesimo Consiglio dei ministri, le Regioni alle prese con i piani di risanamento del maxi deficit avranno inoltre la possibilità di spalmare l’ammortamento del debito in trent’anni.

Nella Pubblica amministrazione, infine, è caccia ai “furbetti del cartellino”. “Un dipendente pubblico che dice che va a lavorare e poi non ci va, deve essere licenziato”, annuncia Marianna Madia. Il ministro della Pa lancia quindi un avvertimento agli impiegati statali sleali, anche tenendo conto della cronaca recente, in particolare del comune di Sanremo dove a fine ottobre la Guardia di finanza ha svelato un sistema di presenze taroccate in piedi ormai da anni. La titolare di Palazzo Vidoni ha comunque voluto sfatare, nel contempo, alcune “luoghi comuni”, primo fra questi “che tutti i dipendenti pubblici siano fannulloni”, l’altro “che gli imprenditori siano tutti evasori”. “Questa è un’Italia che non è l’Italia e genera sensazioni sbagliate”, ha sottolineato Madia esortando i cittadini ad avere “una visione d’insieme”. La burocrazia si può combattere insieme anche superando “steccati ideologici e diffidenze reciproche”.

Il peso della burocrazia viene sopportato duramente anche dalle imprese. “Potendo, noi imprenditori gli assenteisti  li avremmo già licenziati molti anni fa”, ha ammonito il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. In pratica, secondo quanto emerge dalla ricerca “Scenari di crescita in presenza di una semplificazione amministrativa”, presentata da Cer e Rete Imprese Italia, gli oneri a carico delle Pmi, determinati da complicazioni e inefficienze burocratiche, corrispondono ad una spesa di 30 miliardi.

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