Milano nera (Film, 1963)
Pier Paolo Pasolini scrive La nebbiosa – sceneggiatura alla base di Milano Nera di Gian Rocco e Paolo Serpi – nel novembre del 1959, poco dopo l’uscita di Una vita violenta di Mauro Bolognini, sceneggiato partendo dal suo romanzo. Lo scrittore friulano analizza Milano, come aveva fatto con Roma, facendosi portare per mano nei luoghi frequentati dalla delinquenza metropolitana – i famigerati teddy boys figli della borghesia – dagli ubriaconi (i trani di Gaber) e dalle puttane. Non era nuovo a simili esperienze perché nel 1961 aveva già collaborato con Elio Petri e Tommaso Chiaretti per Le notti dei teddy boys di Leopoldo Savona.
Dalla sua penna prende forma un noir picaresco e disperato ambientato a Milano in una notte sola, la più brava di tutte, quella di Capodanno. Protagonisti, per dirla con Pasolini, cinque figli del paternalismo sciocco e della presunzione pedagogica di padri assenti: il Gimkana, il Teppa, il Rospo, il Contessa, Mosé e Toni, avventurieri del crimine. I ragazzi compiono azioni teppistiche da teppaglia metropolitana, trascinandosi dietro un ragazzino (Cino, fratello minore di Toni): trafugano i gioielli della Madonna nella chiesa di Bollate, si rendono conto che sono falsi e li regalano a una barbona, denudano un omosessuale e gli bruciano i vestiti, infastidiscono le prostitute, mettono in scena un’orgia con tre donne incontrate per strada, mangiano e bevono fino a star male in una casa aristocratica. Finale drammatico, in sceneggiatura diverso, ambientato nel catino vuoto dello stadio di San Siro, in sottofondo le note di un sax e tanta malinconia, per creare la suspense di una tragedia imminente.
Questo film di Rocco e Serpi – semi esordienti, autori solo di Carosello spagnolo, una sorta di mondo movie – esce nel settembre 1963, in un’unica sala del capoluogo lombardo e resta in cartellone soltanto cinque giorni. Un flop totale, abbastanza cercato, perché i registi sviliscono la poetica sceneggiatura di Pasolini (si può leggere, edita da Il Saggiatore) nel racconto zeppo di tempi morti di una notte brava. Le sequenze sono in gran parte scritte da Pasolini, ma le giustificazioni sociali, la parte politica, la vera e propria ragion d’essere del film vanno irrimediabilmente perdute. Un regista esperto e capace avrebbe fatto de La nebbiosa un noir metropolitano, puro cinema di denuncia, raccontando le notti brave dei figli della borghesia inserite nella scenografia d’una Milano decadente e perduta, quasi disperata.
Niente di tutto questo. Rocco e Serpi producono un cult movie sconcertante, con poche cose da salvare, interessante storicamente, utile per capire i poliziotteschi anni Settanta, anticipati nel realismo di alcune sequenze. Gian Rocco nel 1967 firma Giarrettiera Colt, interpretato da Loriana Machiavelli, western che ispira Tarantino per il personaggio di Uma Thurman in Kill Bill. Rocco sceneggia un po’ di televisione, Serpi non lascia altre tracce. Milano nera scompare fino al 1995, anno in cui torna alla luce la sceneggiatura di Pasolini grazie alla redazione di Filmcritica. Il lavoro dello scrittore è attento a una gioventù insofferente, quei teddy boys che ricordano i borgatari romani, ma sono frutto di una società ricca e opulenta, mentre i ragazzi di vita sono il prodotto del sottoproletariato. La nebbiosa produce un film modesto come Milano nera che in lavorazione avrebbe potuto avere molti titoli: Polenta e sangue è il più pittoresco, ma anche La rovina della società, La ballata del Teppa, La notte del Gogna, Il Rospo si diverte, I romanici, I goti, La polenta con le sevizie. Tutte idee di Pasolini, che Rocco e Serpi non prendono in minima considerazione, in compenso tirano fuori dal cilindro un titolo cult che anticipa il cinema di genere degli anni Settanta.
Milano nera ha pochi pregi, ma vanno sottolineati: un intenso bianco e nero, la fotografia notturna d’una Milano periferica, i giochi di luci che stigmatizzano la società dei consumi, le sequenze cittadine tra panettone, piazza del Duomo, alberi di Natale e luna park. Ricordiamo alcuni evocativi piani sequenza, momenti di tardo neorealismo, la struggente colonna sonora di Giovanni Fusco, i brani di sax e la canzone di Nico Fidenco, l’atmosfera cupa, il clima da periferia metropolitana, i costumi d’epoca e gli accenni di rock and roll. I difetti si sprecano: volgarizzazione della sceneggiatura, dialoghi artefatti, montaggio lento e movimenti di macchina incerti. Un film notturno, gelido, cupo, che smarrisce il senso di denuncia sociale della scrittura, ma resta un prezioso documento di un momento storico, che uno studioso attento e preparato come Fabrizio Fogliato ha affrontato diffusamente nel prezioso volume Italia Ultimo Atto, quasi un romanzo del cinema italiano nascosto. Recuperate sia il film che il libro. Ne vale la pena.
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Regia: Gian Rocco, Paolo Serpi. Soggetto e Sceneggiatura. Gian Rocco, Pino Serpi. Collaborazione alla Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Scenografo: Mario Guerrini. Fotografia: Riccardo Pierucci, Adriano Bernacchi. Operatori: Arnaldo Carminati, Franco Alessandri, Cesare Fontana. Musica: Giovanni Fusco. Edizioni Musicali: C. A. M. spa (Roma). Canzone: Perché non piango più (canta Nico Fidenco). Direttore di Produzione: Renzo Tresoldi. Lenti Anamorfiche: Totalscope. Negativi: Kodak. Teatri di Posa: I. C. E. T. (Milano). Produzione: Mediolanum Film. Distribuzione: Rome International Films. Interpreti: Libero Cipriani, Giuseppe fallica, Bruno Madrigrano, Adriano Fossati, Umberto Rocco, Massimo Carapellese, Sonia Gessner, Maria Teresa Ferro, Uta Bacher, Kora De Ness, Nicoletta Rizzi, Vittoria Solinas, Anna Maria Avetta, Alessandro Quasimodo, Lino Berzoini, Luciano Rebeggiani, Nella Bernasconi, Giorgio De Dauli, Manfred Freyberger, Dimitri.
[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]