Russia, doping di Stato?
Il risultato ad ogni costo, in ogni settore della vita e dell’esperienza umana, è l’imperativo dominante nella società del terzo millennio. Si smarrisce così l’etica del pensiero, si perde la qualità deontologica che separa il giusto dall’ingiusto e il buono dal cattivo, ci si dimentica dei modelli positivi di riferimento, cui azioni e comportamenti dovrebbero tendere e ispirarsi. Si crea sempre forte imbarazzo e sconforto, quando l’ambito aggredito da questo tipo di logica è sinonimo universale di lealtà, correttezza e fair play: nulla più dello sport è portabandiera di questi valori, nulla più del doping – ovvero l’inganno grazie all’avanzamento della chimica e della farmacologia – ha la capacità distruttiva di svilirne il significato generale, di screditare atleti e annichilire la sensazione di conquista scaturita da performance epiche, rivelatesi, poi, fasulle.
E’ di questi giorni la notizia dell’inchiesta condotta dalla WADA (World Anti Doping Agency), organo di controllo che combatte la frode sportiva perpetrata con l’assunzione di sostanze proibite nelle competizioni, dalla quale emergono pesanti accuse di doping all’indirizzo di atleti russi. La diffusione accertata del fenomeno sarebbe così estesa, da mettere sul banco degli imputati l’intera Federatletica russa, dagli atleti agli staff medici, per toccare l’apice con l’ipotesi di una possibile connivenza del Governo, tanto che la risentita e secca replica sulla presunta infondatezza dei sospetti non giunge solo dal circuito sportivo sotto torchio, ma anche direttamente dal Cremlino. E’ in gioco la partecipazione alle Olimpiadi di Rio, nel 2016, dalle quali la Russia potrebbe essere esclusa. Hanno toni variegati le reazioni alle conclusioni del rapporto dell’agenzia antidoping: il ministro dello sport, Vitali Mutko, dipinge tinte complottistiche, dannose per l’immagine del paese e finalizzate all’eliminazione di un temibile avversario, per poi ammorbidirsi in dichiarazioni di ampia disponibilità a collaborare con la WADA nella lotta al doping; si riproduce, inoltre, sul piano sportivo l’antagonismo – c esciuto a livello critico – in politica internazionale, con un “botta e risposta” tra il portavoce del Cremlino Peskov, che parla di accuse infondate, e l’omologo della Casa Bianca Earnest, che non dubita circa gli esiti raggiunti nelle indagini; il capo dell’agenzia federale medico-biologica russa, Vladimir Uiva, respinge al mittente eventuali sanzioni che prevedano squalifiche e restituzioni di medaglie vinte alle Olimpiadi di Londra, edizione 2012, e ai Giochi Invernali di Sochi del 2014.
Nel frattempo, salta, causa il maltempo, l’incontro voluto da Putin a Sochi con i presidenti di tutte le federazioni sportive del paese, per fare il punto sulla preparazione olimpica in vista della spedizione in Brasile del prossimo anno e per discutere sugli aspetti dello scandalo. Il primo provvedimento generato dall’inchiesta ha comportato, al momento, la sospensione delle attività del laboratorio antidoping di Mosca, con la disposizione che i campioni per i test siano trasferiti e analizzati da laboratori stranieri. Cadono le prime teste: dimissioni del direttore della struttura medica, Grigori Rodchenkov, accusato di somministrazione di sostanze illecite, estorsione verso gli atleti e distruzione di oltre 1400 campioni sospetti; dimissioni anche dell’ex presidente della Federazione Internazionale di Atletica Leggera (IAAF), Lamine Diack, dalla carica di membro onorario del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), indagato per aver intascato tangenti in cambio dell’insabbiamento dei casi di doping di atleti russi. Vladimir Putin ha assicurato che il suo Paese presterà massima attenzione al rapporto della WADA e il presidente del Comitato olimpico russo, Aleksandr Zhukov, ha garantito severe sanzioni se le accuse saranno dimostrate. In linea con queste dichiarazioni, è stato chiamato a collaborare dagli investigatori di Mosca anche il marciatore azzurro Alex Schwazer, a sua volta squalificato nel 2012 per aver assunto eritropoietina (Epo), in quanto, già nel 2011, testimone di ammissioni confidenziali da parte di atleti russi sul loro uso di sostanze dopanti.
La Russia, al pari di molti altri paesi afflitti dalla piaga del doping, dovrà senz’altro cercare di rimettere ordine in casa propria e sradicare – laddove esista – un sistema malato che imbratta e disonora i valori della sana competizione sportiva, creando falsi idoli e alimentando la lucrosa macchina del profitto e della corruzione. Solo così, potrà restituire i suoi atleti alle imprese genuine e agli applausi della platea mondiale.