Una strategia contro il terrorismo
Quello che gli attentati di Parigi dimostra è che occorra una strategia complessiva contro il terrorismo di matrice islamica, che fin qui pare essere mancata. E per non restare sulle enunciazioni astratte, vediamo in cosa potrebbe e dovrebbe consistere.
Il requisito più ovvio è che contro il terrorismo devono unirsi senza distinzioni tutti quelli che sono obiettivi della minaccia. Quando i terroristi colpiscono Parigi, o lanciano minacce deliranti contro Roma e la Croce, attaccano tutto il mondo civile e non solo cristiani o ebrei. Di fatto, i terroristi dell’ISIS hanno fin qui massacrato molti più musulmani (sciiti, curdi, yazidi, ma anche sunniti; certamente tra i morti di Parigi un buon 10% sono musulmani). Contro di loro devono dunque unirsi tutti i Paesi occidentali, ma anche la Russia, la Cina, l’India, la Turchia e i Paesi arabi che praticano un Islam moderato e non minacciano il resto del mondo. Inevitabilmente, deve parteciparvi il Governo di Bashar Assad, il cui futuro dovrà essere poi definito in libere elezioni. La Risoluzione appena adottata all’unanimità dal Consiglio della Sicurezza dell’ONU mostra che questa comunità d’intenti esiste e va dunque nella giusta direzione, anche se per ora si è fermata alla soglia della creazione di una forza internazionale, alla quale gli stessi occidentali sono restii. Ma la Risoluzione mostra chiaramente che il pericolo è sentito in tutto il mondo e costituisce il primo atto di nascita cformale di una “coalizione dei giusti”.
Ma cosa deve fare questa coalizione? Il problema ha due aspetti: uno esterno, rappresentato dall’ISIS che si è convertito nel principale centro di addestramento, organizzazione, finanziamento, armamemento e, in generale, ispirazione degli attentati. E uno interno, rappresentato dai milioni di musulmani che vivono tra di noi, in Europa,
Il primo problema è militare e richiede un’efficace risposta militare. I bombardamenti dall’aria possono essere efficaci, ma solo come supporto a un’indispensabile offensiva di terra. Gli Occidentali, la NATO, non sono disposti a parteciparvi, se non marginalmente con forze speciali. L’azione va dunque lasciata ai Paesi della Regione: Iraq, Siria, Iran, Peshmerga curdi, idealmente anche la Turchia, che ha il maggiore esercito della zona. Occorre dunque sostenerli, politicamente e praticamente. Ma il problema è anche politico-diplomatico. La jihad è stata largamente finanziata da alcuni Paesi arabi, tra cui Qatar e Arabia Saudita. Può darsi che non pensassero di alimentare un mostro che poi si sarebbe rivolto contro essi stessi, ma credo che se ne siano resi conto. È ora di dire chiaramente a questi Paesi che il loro rapporto economico e politico (e di sicurezza) con l’Occidente, non è compatibile con questo tipo di comportamento. Come ha detto Putin, una delle cose da fare è tagliare drasticamente le fonti di finanziamento dell’ISIS. Insomma, una complessa e completa azione, politica, economica, militare. È evidente che essa è nelle mani di tre o quattro leader: Obama, Putin, Hollande, Erdogan, Rohani, Cameron. Che si mettano d’accordo, innanazitutto alle Nazioni Unite e poi sul terreno.
Il secondo aspetto, il più complesso, riguarda la presenza di trenta milioni di islamici in Europa, su una popolazionme complessiva di cinquecento milioni di persone, cioè il 6%. Sarebbe una grottesca assurdità credere che siano tutti fanatici, nemici dell’Occidente, attuali o potenziali terroristi o loro complici. È probabile che la percentuale di gente pacifica sia altissima. Ma se anche l’uno per mille fosse tentato dal terrorismo, staremmo comunque parlando di diverse migliaia di persone. La prima risposta è ovviamente rafforzare i controlli di polizia e di intelligence, renderli preventivi e, nel dubbio, allontanare chiunque appaia pericoloso. Troppo spesso si è appreso che autori di atti terroristici erano noti, repertoriati, in alcuni casi fermati, poi rilasciati. La Polizia del Belgio ha fatto passare i due fratelli autori degli attentati di Parigi, giudicandoli “non pericolosi”. Errori del genere non devono ripetersi. Ma la questione dei rapporti con le comunità musulmane che vivono tra noi va al di là del controllo dei terroristi. Molti ritengono che il numero di immigrati musulmani in Italia e in Europa abbia raggiunto il livello di guardia. Sono d’accordo e credo che debba essere messo un limite preciso. Se non lo fanno i governi democratici, su scala nazionale ed europea, inevitabilmente si sarà tentati ad affidarsi a governi assolutisti e razzisti.
Ma cosa fare con quelli che da noi ormai ci stanno? Neppure i più scatenati leghisti o lepenisti propongono di espellerli tutti. E allora? Ho ascoltato con interesse le cose che hanno detto in vari programmi della TV esponenti di questa comunità. Gente dall’aspetto corretto, moderata, colta, con ottima conoscenza dell’italiano. A parole, tutti contrari al terrorismo ma poi, quando si gratta, si scopre al fondo una certa comprensione, qualche distinguo, una certa tendenza a comprenderlo, anche se non a giustificarlo. C’è chi ricorda le Crociate (cosa ridicola: le Crociate sono finite sette secoli fa), chi nota che non piangiamo per le vittime dei bombardamenti o per i tanti musulmani massacrati da mani islamiche. Più in generale, si nota un certo risentimento verso la nostra società, che emarginerebbe gli immigrati musulmani e in certo modo li spingerebbe alla delinquenza. Sono atteggiamenti inaccettabili. La società ha molte colpe, ma nessuno ha obbligato milioni di musulmani a lasciare i paesi di origine e venire tra noi. Qui godono, com’è giusto che sia, di tutte le tutele giuridiche e sociali, hanno larga possibilità di praticare la loro religione. Ma se vogliono restare tra noi devono rispettare le nostre leggi e i nostri costumi e, se non amare la nostra Patria, almeno esserle leali. In alcune parti d’Europa, a chi richiede la residenza permanente, vengono richieste condizioni molto precise: conoscenza della lingua e dei doveri civici, lealtà alle istituzioni, ripudio di qualsiasi tipo di violenza, anche verbale. Non sarebbe male che qualcosa del genere si facesse nel resto d’Europa. E chi si rifiuta a questi impegni, andrebbe allontanato.
Come si vede, affrontare e sconfiggere il terrorismo sarà una lunga guerra, che non si vincerà in un mese o in un anno, ma va combattuta se vogliamo difendere la nostra civiltà e tutto quello che ci è caro nella vita.