Arabia Saudita e Iran: 1400 anni di inesorabile divisione

La partecipazione dell’Iran, lo scorso 30 Ottobre, al summit di Vienna per la Siria ha un significato che va ben oltre il raggiungimento di un accordo sulla sorte di Assad. Il Governo iraniano tenta oggi di rovesciare un equilibrio di forze che esiste da 1400 anni, e l’Arabia Saudita, culla del mondo musulmano, non lo permetterà certamente. Il solco tra l’Iran e l’Arabia Saudita, rispettivamente le più importanti potenze sciite e sunnite, ha origini antiche. Se volgiamo tentare di capire cosa succede in Medio Oriente – e in Siria –  dobbiamo tornare sullo scisma tra sunniti e sciiti, alla frattura tra il mondo arabo e la Persia, alle battaglie intraprese per il controllo dell’Islam.

L’Islam si è diviso tra sunniti e sciiti dopo la morte del suo fondatore, il profeta Mohammad, quando fu necessario scegliere il suo successore. Per la maggior parte dei suo fedeli, che verranno chiamati poi sunniti, la decisione dei credenti doveva cadere sul più capace; così appoggiarono la scelta dei consiglieri che cadde su Abou Bakr, il suocero del Profeta. Un piccolo gruppo di dissidenti, quelli che più tardi saranno designati come sciiti, pensava che il nuovo califfo dovesse assolutamente appartenere alla ristrettissima cerchia familiare del Profeta, e che il suo successore legittimo non poteva che essere Ali Ibn Talib (il quarto califfo per i sunniti). Oggi, il 90% dei musulmani sono sunniti e il restante 10% sciiti.

La conquista della Persia da parte dei musulmani, che cominciò nel 632, un anno dopo la morte del Profeta, si declinò in questa scenografia. L’Impero sasanide sfinito tanto militarmente, quanto economicamente, dopo decenni di guerra contro l’Impero bizantino, subì una pesante sconfitta durante la battaglia di al-Qadisiyya, nel 636. L’anno seguente, l’imperatore persiano Yazgard fuggì verso la lontana provincia di Khorasan. Da questo momento iniziò l’arabizzazione della Persia. I persiani prendono nomi arabi e si convertono all’Islam. Nel 651, quasi tutti i grandi centri urbani persi erano sotto controllo arabo, e l’onda di conquista sembra inarrestabile. La conversione in massa della Persia all’Islam fu il vero primo passo verso la nascita di un primo califfato, Stato politico-religioso, che includeva tutto il mondo musulmano. Nel corso della Storia, i califfati sono arrivati fino all’Asia, in Africa e alcune parti di Europa. Gli sforzi intrapresi dalle diverse forze esistenti in seno all’Islam per controllare o restaurare il califfato, sono un tema ricorrente della sua storia. Il presunto Stato Islamico non ne è che l’ultimo esempio. Fino al 1500, quasi tutti i persiani erano musulmani sunniti. Ma Ismail, il primo Scia e fondatore della dinastia sefavida, intraprese una “convincente” politica di conversione dei musulmani di Persia allo sciismo, politica attraverso la quale voleva far spiccare  l’Impero persiano posto sotto controllo del potente califfato ottomano di Costantinopoli,  profondamente sunnita. Per la prima volta nella storia islamica, lo sciismo si organizza rompendo l’unità politica del mondo musulmano.

E’ alla luce della Storia che vanno lette le iniziative che oggi vuole attuare l’Iran. In quanto sciiti, gli iraniani sono una minoranza in seno alla comunità musulmana, ed è questa realtà che alimenta il loro sentimento di affermazione. Diversi Governi iraniani hanno tentato di porre l’egemonia del loro Paese su un mondo arabo che non li accetta,  in quanto rappresentanti di una “minoranza” religiosa e dalle origini non  “arabe”. Ma questo non sembra fermare l’Iran determinato ad esercitare la sua influenza in Medio oriente appoggiandosi alle comunità sciite dei Paesi arabi.  L’Arabia Saudita, Paese in assoluto più influente del mondo sunnita, farà di tutto per “limitare” l’Iran. Nel 2011, la nascita del Consiglio di Cooperazione del Golfo, diretta dai sauditi, ha neutralizzato un’insurrezione in Barhein, che pare sia stata orchestrata da Teheran. In Yemen (Paese a maggioranza sunnita)oggi una coalizione condotta dai sauditi combatte i ribelli houti, sciiti zayditi armati dall’Iran, che tenterebbe così di impadronirsi del Paese e mettere piede sulla Penisola Araba. In Siria, Paese a maggioranza sunnita dove, incidentalmente, ha un tempo prosperato il califfato sunnita degli Omayyadi, l’Iran spende effettivamente molto per mantenere a galla il regime del Presidente Bachar al-Assad, appartenente alla famiglia degli alawiti, una minoranza sciita.

Sappiamo tutti che la guerra civile in Siria ha causato la morte di duecentosettantamila persone, lo spostamento all’interno del Paese di  sette milioni di persone e costretto alla fuga dalla Siria quattro milioni di profughi, lasciando in stato disperato i restanti 12 milioni prigionieri di città assediate. Questo stato di caos non ha fatto che nutrire lo Stato Islamico e la minaccia verso l’ordine mondiale. Gli attacchi di Charm el-Cheikh, di Beyruth e Parigi ce lo ricordano quotidianamente. Ancora una volta l’opportunismo della realpolitik mette in sinergia una Storia che è a noi lontana, come quella delle lotte secolari tra sunniti e sciiti, e la necessità di trovare una soluzione ad un conflitto che invece ci tocca sempre più da vicino. Se Vienna è stata un importante punto di partenza, bisognerà utilizzare tutte le frecce disponibili all’arco della diplomazia: come far convergere Iran e Arabia Saudita verso un punto comune? Il terrorismo, le guerre per procura, la consegna di armi, le ambizioni nucleari e le pretese smisurate di gloria interferiscono con  una lotta di secoli che rende quasi impossibile il raggiungimento di un risultato che non può più essere dilazionato nel tempo. Il Re Salamane sta portando avanti forse il più grande programma di riarmo e sviluppo militare che l’Arabia Saudita abbia mai conosciuto, una politica, che a sentire gli esperti,  cesserà solo quando l’Iran, e i suoi intermediari sciiti, abbandoneranno le loro velleità rivoluzionarie e cominceranno a lavorare, in trasparenza, per la pace e la stabilità in Medio Oriente e in tutto il mondo arabo. Ma l’Arabia Saudita per prima deve uscire dall’ambiguità. In fondo la base ideologica dell’Isis si trova proprio lì. In un’intervista di Stefano Montefiori a Daniel Cohn-Bendit, dice una cosa giusta: “L’alleanza occidentale con l’Arabia Saudita e il Qatar è un problema, l’ambiguità turca è un problema, così come quella russa. Tutte le ambiguità sono un problema, e in questo momento sono tutti ambigui” (Corriere della sera , 25 Novembre 2015).

Egli iraniani? Forse in questo momento sono quelli che, diplomaticamente parlando stanno giocando meglio. Arrivare ad un compromesso non è sempre un segno di debolezza, ed essere ricordati come “peacekeeper” d’eccezione potrebbe essere, a questo punto della Storia, un segno di grande forza.

©Futuro Europa®

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