Bombe o ramoscelli d’olivo?

Poche cose sono fastidiose quanto la diatriba dilagante tra politici, nella stampa, nei talk-show, tra chi vorrebbe distruggere il terrorismo con le bombe e chi vuole affrontarlo con il ramoscello d’olivo. Accecati dai preconcetti, gli uni e gli altri perdono di vista la realtà. L’irenismo dei “dialoghisti” a oltranza resiste pervicacemente a tutte le esperienze contrarie. Se avesse prevalso in passato, Hitler o, finito lui, Stalin, avrebbero tranquillamente conquistato l’Europa, più di recente Saddam Hussein si sarebbe digerito il Kuwait, nessuno avrebbe fermato i massacri serbi in Bosnia e in Kossovo e Milosevic regnerebbe ancora a Belgrado. D’altra parte, le guerre di Bush in Afghanistan e Irak non hanno risolto il problema, anzi!

Il fatto è che ci sono casi in cui le armi sono inutili e magari dannose, altri in cui il loro uso non è solo lecito, ma necessario. Situazioni in cui è utile e giusto dialogare, altre in cui bisogna combattere. Per esempio quando si tratta di difesa contro un’aggressione o minaccia altrui o di contrastare la barbarie.

La situazione in cui viviamo ha tre aspetti.  Il primo: nel cuore del Medio Oriente si è installato un potere terroristico, che ha già compiuto e continua a commettere crimini efferati contro cristiani, musulmani, yazidi, curdi e così via e che dirige attacchi contro le nostre città e minaccia apertamente e torvamente l’Occidente, le sue istituzioni, la Croce, Roma, le nostre donne. Questo regime è la testa pensante che addestra, finanzia, arma e organizza i terroristi. Per i pacifisti legalitari, ricordo che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, all’unanimità, ha riconosciuto che l’ISIS costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali. Combatterlo, anche con le armi, è quindi non solo un diritto ma, per chi può farlo, un dovere. Sarebbe desiderabile che per farlo si realizzasse una vera e ampia coalizione internazionale. Fino ad ora, nonostante l’intensa azione diplomatica del Presidente Hollande, essa non si è ancora concretata. A farvi ostacolo sono l’estrema ambiguità turca, i dissensi sul ruolo di Assad e la permanente diffidenza di Stati Uniti e NATO sulle mire russe in Medio Oriente e Mediterraneo. Sono ragioni serie, ma da tempo penso e scrivo che andrebbero accantonate a favore della priorità attuale, che è cancellare l’ISIS. Ma intanto, le azioni si fanno sempre più ampie e dure, e sarebbe frutto di una lettura superficiale definirle come “spot” inefficaci. Da conquistatore apparentemente incontrastato,  l’ISIS è passato  a oggetto di devastanti attacchi ed è oggi sulla difensiva.

Il secondo aspetto della questione riguarda la nostra sicurezza interna e la risposta non può che consistere in una rafforzata ed estesa opera di prevenzione e controllo: occorre identificare i potenziali terroristi e metterli in condizione di non nuocere. È un compito gravoso e continuo, ma Giustizia e Forze dell’Ordine hanno l’obbligo di adempiervi e il Governo deve sostenerle e fornire loro i mezzi adeguati. È un’opera che dovrà continuare anche quando fosse distrutto l’ISIS, perché  il terrorismo islamico prima o poi si riorganizzerebbe e ci sarebbero comunque sempre folli isolati pronti a colpire.

E c’è infine il terzo aspetto: tra noi vivono milioni di musulmani. Credo che si debba chiudere le porte a nuove immigrazioni, ma il problema resta per quelli che da noi continueranno a vivere.  Sono tutti terroristi? Ovviamente no. Sono tutti gente bene intenzionata e pacifica? Nemmeno.  Dentro c’è di tutto, come mostrano le inchieste giornalistiche e come certo sa bene il nostro Ministero dell’Interno. Come trattarli?  È più che ovvio che non servono le bombe, e sarebbe  scriteriato scatenare una guerra di religioni alla Salvini. Il ramoscello d’olivo qui può servire. Dialogo dunque, ma con chi, con che propositi e su che basi?

Non si tratta, ovviamente, di aprire un dialogo coi mandanti delle stragi, ma in seno alle comunità islamiche interlocutori autorizzati non mancano. Si tratta di giudicarne il peso e la buona fede. L’obiettivo deve essere una convivenza pacifica, civile e mutuamente rispettosa. Ma le basi devono essere chiare: chi pretende di imporre le proprie regole e i propri costumi a una popolazione che a grande maggioranza non li condivide, chi pretende di applicare non le leggi del Paese ma quelle della Sharia, chi predica odio e violenza, non può rimanere tra noi.

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