Ambiente tra Informazione ed Economia

Dieci giornalisti uccisi dal 2010 ad oggi per aver portato alla luce crimini ambientali: la denuncia è nel Rapporto ‘Hostile climate for environmental journalists’, realizzato dalla Ong Reporters without borders in occasione della conferenza Onu sul Clima in corso a Parigi. “Scrivere di Ambiente significa oggi toccare temi delicati come Energia e Clima, e quindi anche andare contro le lobby”, ha spiegato Mario Salomone, direttore responsabile di Eco-L’Educazione Sostenibile, al Convegno ‘Ambiente tra Informazione ed Economia’ che si è tenuto il 27 novembre alla Libera Università Maria Santissima Assunta-Lumsa di Roma.

Di Ambiente si può parlare, però, in positivo, ovvero partendo delle ‘best practice’ della Green Economy, come ha spiegato nel corso del convegno il presidente della Fondazione Univerde Alfonso Pecoraro Scanio. Ma: “Quando ero ministro ed uscivo da un convegno sul Solare o sull’Agricoltura sostenibile, i giornalisti mi chiedevano se Bertinotti avrebbe fatto cadere il Governo”, ha raccontato Pecoraro Scanio. Perché c’è un problema di fondo: l’informazione generalista, quella,anche dei TG, si lascia andare all’urgenza urlata e rimane disattenta verso i temi ambientali e le informazioni di base in generale. Generando fastidio e ricevendo perdita di ascolti. Persino oggi, con un incontro epocale come la COP21 di Parigi in corso che quasi mai compare nei notiziari delle grandi testate: un’assenza macroscopica, guerra o non guerra, perché “la sfida della Cop21 è anche una sfida economica, geopolitica e tecnologica, legata alle disuguaglianze sociali, la Conferenza è anche un momento di confronto politico, anche alla luce degli attentati del 13 novembre” e “Obama ha ricordato che i mutamenti del Clima hanno inciso anche sul conflitto siriano”, ha detto il presidente della Commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci, a Parigi per la sessione interparlamentare della COP21.

Il Bel Paese pullula di riviste, inserti e siti internet sull’Ambiente, tema che però non ‘buca’ nelle prime pagine dei giornali e nelle titoli dei TG. Come mai? Il 79 per cento degli Italiani è disposto a spendere di più per prodotti e servizi ‘verdi’, come dimostrato nel Rapporto Green Italy 2015 di Unioncamere e Fondazione Symbola. Il 98 per cento degli Italiani vuole un’economia ecosostenibile, come risulta da un sondaggio della startup Ecosost appena pubblicato. Ancora il Rapporto Green Italy dice che l’Italia è ricchissima di buone pratiche ambientali, come dimostrato dagli eco-investimenti delle imprese che riservano il 59 per cento delle nuove assunzioni ai ‘lavori verdi’; e che costituiscono gran parte di quell’ ‘inventiva’ descritta nel Rapporto Censis 2015 appena pubblicato. Eppure, essendo poco presente nei TG e nelle prime pagine nazionali, l’Ambiente resta fuori dell’ ‘agenda’ del pensiero collettivo. E di conseguenza non entra neanche nei talk show: il primo dicembre “le trasmissione Ballarò e Di Martedì di RaiTre e La7 hanno ignorato, ancora una volta, il tema dei mutamenti climatici e della conferenza di Parigi, nonostante l’impegno, su questi argomenti, di papa Francesco e del presidente Obama”, ha fatto notare ancora Realacci. Insomma, l’opinione pubblica è pronta, i leader pure, ma i grandi media mettono un ‘tappo’ al tema Ambiente.

A dare le proporzioni del fenomeno, il Rapporto 2015 dell’Osservatorio Ecomedia, presentato nel convegno alla Lumsa. La ricerca ha preso in considerazione 7 emittenti nazionali (Rai1, Rai2, Rai3, Rete4, Canale5, Italia1, La7) delle quali sono stati analizzati i Tg del prime time. I dati sono stati messi in confronto con quelli dei TG del prime time dell’emittente inglese BBC ONE, della francese France2 e della spagnola TVE La1. Il risultato è che i TG italiani hanno dedicato all’Ambiente soltanto il 3,3  per cento dei servizi, contro il 4,9 dei TG europei. I TG nazionali hanno dedicato più spazio al tema Curiosità e Costume, che ha collezionato il 3,6 per cento dei servizi mentre nei TG europei ha ricevuto meno attenzione dell’Ambiente. Meglio degli europei, i notiziari italiani fanno per quanto riguarda la presenza dell’ambiente nei servizi giornalistici anche quando non rappresenta il tema principale: 6,7 per cento contro il 6,1. Ma è il titolo, impostato dalla redazione, che fa il servizio, e la presenza del tema ambientale non centrale dimostra solo la preparazione e la buona volontà del redattore, che riesce ad alimentare il sottobosco informativo. A questo dato va aggiunto quello della rilevanza nelle news all’interno delle notizie, che vede quelle sull’Ambiente in posizione marginale nel 52 per cento dei casi.

Quanto alla natura delle notizie ambientali, il Rapporto di Ecomedia dimostra che ben il 37,8 per cento di esse è dedicato ad incidenti e calamità, il 29,9 per cento al meteo, l’11,9 per cento a degrado ed inciviltà, il 10,5 per cento alla Natura e solo il 9,9 per cento agli esempi positivi, quelli capaci di ‘fare cultura’ in campo ambientale, le ‘best practice’ appunto. Insomma, quasi sempre l’Ambiente entra nella grande informazione attraverso le chiavi dell’emergenza e del richiamo emozionale che suscita: un dato che conferma la denuncia contenuta nella Carta di Olbia pubblicata dall’Unione Cattolica Stampa Italiana, della quale abbiamo parlato su Futuro Europa. Oppure attraverso la chiave della denuncia, che spesso costa la vita a reporter coraggiosi.

Perché accade? Input strategici? Pressioni delle lobby? Imbarazzi editoriali, magari per le contraddizioni di un’Italia dove è difficile parlare delle best practice mentre il governo in carica autorizza i pozzi di petrolio? Non solo: c’è anche il fatto che i produttori di notizie ambientali positive, ovvero istituzioni, aziende, associazioni e centri di ricerca, si sono sguarnite degli uffici stampa e ora si affidano prevalentemente ai social; alimentando quindi soltanto il sottobosco dell’informazione, che resta soffocato da alberi ben  più alti. I produttori di buone notizie ambientali non sono attrezzati quanto gli interessi di segno contrario, che invece lo sono. E non fanno sistema come loro. Non hanno una voce pari in capitolo, se si esclude Papa Francesco con la sua Laudato sì e alcuni leader a volte isolati. E’ per questo insieme di concause che l’agenda del pensiero collettivo continua a marginalizzare l’interesse per l’Ambiente, che invece è sempre più popolare e condiviso e, Parigi insegna, rappresenta un nodo socio-economico-ambientale da sciogliere per garantire il futuro di tutti noi.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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