Tunisia, lo spettro dell’Isis

Tunisi – Per la prima volta gli abitanti della capitale e di tutta la sua area urbana hanno vissuto il coprifuoco, indetto da quattro ore dopo l’attentato del 24 novembre scorso che ha colpito un autobus della Guardia presidenziale a pochi metri dal Ministro degli Interni e che ha provocato tredici morti e venti feriti tra i soldati. Una decisione annunciata alla televisione dal Presidente della Repubblica, Beji Caid Essebsi, in seguito alla proposta del Presidente dell’ARP (Assemblea dei Rappresentanti del Popolo), Mohamed Ennaceur, e del Capo del Governo, Habib Essid. Lo stato d’urgenza è stato decretato per 30 giorni, prorogabile per due mesi.

Colpendo la zona posta sotto la massima sicurezza del centro della Capitale, posta tra il Ministero degli Interni e la Banca Centrale, i mandatari dell’attacco omicida hanno voluto dimostrare che potevano agire a loro piacimento. Malgrado una massiccia presenza di forze dell’ordine, l’autobus che assicurava il trasporto dei membri della guardia presidenziale è saltato in aria in un orario in cui la circolazione è molto intensa. Quella dell’uscita dagli uffici. L’atto si è svolto in una piccola stradina perpendicolare alla grande arteria Mohamed V, una delle più frequentate di Tunisi. L’avvicendamento delle guardie avveniva tutti i giorni alla stessa ora. I terroristi hanno raggiunto il loro obiettivo: colpire le forze di sicurezza senza ferire i civili. L’attentato è stato poi rivendicato dall’Isis che in un comunicato diffuso nelle reti jihadiste afferma di essersela presa con i “tiranni di Tunisi” che non “avranno pace” fino a quando la “legge di Dio non governerà su Tunisi”.

Il terrorismo islamico ha lasciato il centro del Paese, in lutto dal 13 Novembre per la decapitazione di un giovane pastore, per trasferirsi a Tunisi. Dal 2011, i gruppi armati hanno ucciso più di 200 membri dell’apparato securitario (esercito, guardia nazionale), ferendone un altro centinaio. Dalla fine dell’estate l’Isis  ha cominciato a prendersela anche con civili “colpevoli”, secondo i parametri della loro ideologia, di collaborare con i militari o con la polizia. Un Imam che ha celebrato i funerali di un militare è stato ucciso a Sbeitla, nel centro del Paese. Sempre in quella zona sono stati uccisi anche tre pastori. Le regioni interne, marginalizzate da decenni, fanno raramente notizia. L’assassinio di Mabrouk Zoltani, appena diciassettenne, ha provocato rabbia e indignazione. Il giovane pastore, che aveva lasciato la scuola per aiutare la famiglia, è stato decapitato con il pretesto che fosse un “informatore”. In seguito, in una messa in scena macabra, la sua testa è stata fatta recapitare alla famiglia per mano del cugino. Lo Stato è intervenuto con ritardo malgrado l’emozione nazionale suscitata dalla notizia. Da allora, gli abitanti di alcuni piccoli villaggi si sono rifugiati nella città di Jelma  per paura dei gruppi armati che piombano nelle loro case di notte per cercare cibo e riparo. Dalla fine del 2014 lo Stato Islamico non ha fatto che allargare la sua influenza in seno ad una galassia jihadista in Tunisia, fino ad allora dominata dalla Brigata Okba Ibn-Nafaa, affiliata ad Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), molto attiva nelle montagne del centro e dell’oves. La Tunisia è stata teatro di una vera rivalità tra Isis e Al Qaeda, anche se senza la stessa violenza fratricida vissuta dagli stessi gruppi armati in Libia e Siria.

Dagli attentati del Bardo (18 Marzo 2015, 22 morti) e di Sousse (26 Giugno 2015, 38 morti), l’apparato di sicurezza è in allerta continua. Ma per la precaria democrazia tunisina la situazione non è semplice da gestire. La situazione in Libia non aiuta. Numerosi rapimenti di tunisini presenti nella regione di Tripoli hanno costretto alla liberazione di libici incarcerati in Tunisia. Tra loro alcuni terroristi. Ormai, il Ministro degli Affari Esteri, Taieb Baccouche, è convinto che qualsiasi libico arrestato sul suolo tunisino debba essere estradato nel suo Paese d’origine in attesa che venga ristabilito uno Stato di Diritto. Un muro di sabbia e acqua è stato costruito lungo un importante tratto di frontiera. La Libia è ormai un vero pericolo per la Tunisia per via del caos che vi regna e che permette ai gruppi jihadisti di moltiplicarsi e pianificare attentati come quello che ha colpito Tunisi nei giorni scorsi. La presenza accertata di tunisini in Libia è di 1000-1500 unità. La Libia è una vera base che fornisce armi e munizioni. In visita a Tunisi, il Ministro degli Affari Esteri britannico Hammond ha assicurato che Londra fosse perfettamente cosciente della minaccia alla quale il Paese era sottoposto per via di quello che accadeva in Libia e che avrebbero portato avanti un lavoro congiunto sulla sicurezza sia sul breve che sul lungo termine. Il Segretario di Stato tunisino per la Sicurezza, Rafik Chelly ha confermato che il venditore ambulante che si era fatto saltare in aria al passaggio dell’autobus, era già stato arrestato per possesso di libri religiosi che facevano trasparire il suo orientamento estremista. Era stato rilasciato per mancanza di prove. Tutti gli autori di attentati hanno ricevuto un formazione ideologica e militare in Libia, dalla quale una volta “pronti”, rientrano in “attesa di istruzioni”.

Lo Stato tunisino si batte contro molteplici nemici. Ma la situazione più critica è all’interno. Le periferie intorno alla Grande Tunisi sono colpite sempre più dal virus del terrorismo che si insinua subdolamente negli animi. L’assenza di risultati concreti dal 14 gennaio scorso ne fa il vivaio di reclutatori dell’odio. Kairkouan è la prima città santa del Maghreb, ma è anche terra di nessuno. Le autorità sono dei fantasmi, gli Imam predicano violenza in tutta tranquillità. Una vera e propria riserva di jihadisti. Dai sobborghi alle università, la rete fa proseliti. La jihad è appena a 150 chilometri da Tunisi. Disoccupazione di massa (15,3% della media nazionale, ma in alcuni governatorati arriva al 40%), inflazione al 4,9%, mancanza di speranza: terreno fertile per Aqmi, Isis & Co. Un pericolo enorme per la Tunisia. Gli autori degli attentati del Bardo e di Sousse sono tunisini.

L’impatto economico degli attentati è stato immediato. Le prenotazioni verso la Tunisia sono vicine allo zero. Uno choc terribile per l’occupazione, sia indirettamente che direttamente. Lo Stato è colpito attraverso la sua capacità a garantire la sicurezza e la sua azione economica. L’ultimo attentato è un colpo supplementare inferto alla giovane democrazia.

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