Cronache dai Palazzi

Continua il braccio di ferro tra Palazzo Chigi e Bruxelles, in particolare tra la Commissione Ue e il premier Renzi. Il nostro presidente del Consiglio mantiene il punto e ribadisce di non essere “un attaccabrighe”, però di fronte alle telecamere di Porta a Porta sottolinea: “Per anni abbiamo sempre detto di sì, ora invece voglio dire sì a cose che funzionano per noi, oltre che per gli altri. L’Europa è in crisi di identità e non ne azzecca più una: dobbiamo aiutarla a cambiare”. A proposito di Carlo Calenda, il vice del ministro Guidi che sarà il nuovo rappresentante per l’Italia a Bruxelles – un politico con in tasca l’esperienza di impresa, non un diplomatico – Renzi ne sottolinea le capacità nel gestire i dossier europei e la tenacia che di certo si rivelerà utile per fronteggiare “le battutine” dei “burocrati” Ue. Nel mirino del premier c’è il tedesco Martin Selmayr, capo di gabinetto di Juncker accusato di aver passato informazioni ai media contro il governo italiano, chiamando “tre giornalisti di nascosto” e mettendo in piedi un non piacevole “sistema di messaggini”.

Matteo Renzi è intenzionato a mantenere il punto anche nel prossimo incontro a Berlino con Angela Merkel, il 29 gennaio, con la certezza che “l’Italia non è un sorvegliato speciale” e non ha “nessun complesso di inferiorità”. Al contrario, “L’Italia è un grande Paese e merita rispetto”. Flessibilità e flussi migratori sono le maggiori poste in gioco. Per quanto riguarda il secondo punto, in particolare, Renzi ha chiesto che i 282 milioni di euro che l’Italia deve dare alla Turchia per la gestione dei migranti vengano scomputati dal Patto di Stabilità.

Sul fronte interno dopo aver incassato la riforma costituzionale a Palazzo Madama il governo tira un sospiro di sollievo e guarda già al referendum confermativo che si svolgerà molto probabilmente in ottobre, mentre l’ultimo passaggio alla Camera è previsto per il mese di aprile. In autunno la parola passerà quindi agli italiani: “Andiamo a vedere da che parte sta il popolo su questa riforma – ha ribadito il premier Renzi -, se i cittadini la pensano come coloro che urlano per il fallimento o per chi scommette sul futuro dell’Italia”. Nel caso in cui il referendum si rivelasse una “sconfitta” per il governo, Renzi  afferma di essere “pronto a mettersi da parte”. Un referendum che non per questo sarà “un plebiscito” ma “è una questione di coerenza e di serietà”, puntualizza Renzi aggiungendo: “Ho sempre detto che andavo al governo per fare le riforme e se questo ddl si blocca vuol dire che è impossibile continuare a riformare e allora non ha senso che io vada avanti”.

Una maggioranza ferma a quota 158 voti ha comunque avuto bisogno del sostegno di altri per arrivare ai 180 voti favorevoli alla riforma del bicameralismo. In primo luogo 17 verdiani, che hanno rivendicato l’essenzialità del loro appoggio al governo, 2 dissidenti di Forza Italia e tre leghisti vicini a Flavio Tosi. Renzi esclude comunque la possibilità di nuovi equilibri e sottolinea: “Verdini non è entrato nella maggioranza, quella costituzionale è sempre più ampia di quella politica”. Per il premier “l’importante è avere i numeri e dimostrare che c’è una larga maggioranza”.

La riforma costituzionale riaccende le  micce anche all’interno della minoranza dem. I bersaniani, in particolare, legano il loro “sì” al referendum ad una condizione: una legge elettorale per il Senato che tenga conto della minoranza al momento delle scelte  per i collegi uninominali.

In definitiva secondo la riforma del bicameralismo il peso specifico di Camera e Senato non sarà più lo stesso. Il Senato dei 100 sarà composto da 74 consiglieri regionali (compresi quelli eletti dalle Province autonome di Trento e Bolzano), 21 sindaci e 5 senatori a vita nominati dal Capo dello Stato. I governatori delle Regioni dovranno invece conquistarsi i voti nei Consigli regionali di cui fanno parte o tra gli elettori. La Camera, con 630 deputati, rimane l’unica camera politica che potrà concedere e revocare la fiducia al governo. Per quanto riguarda la formazione delle leggi le corsie saranno tre: la prima, “bicamerale”, per le leggi costituzionali, la legge elettorale, i provvedimenti che riguardano gli enti locali e i testi che attengono al funzionamento delle Regioni. La seconda via è quella “standard”: la Camera approva, il Senato modifica e poi la Camera ha l’ultima parola. La terza via, infine, riserva al Senato la supremazia su materie riservate alle Regioni: se il Senato modifica il testo della legge, la Camera in seconda battuta delibera a maggioranza assoluta. Le Province saranno cancellate dalla Carta e cresce l’elenco delle materie di stretta competenza statale alle quali si aggiungono: la promozione della concorrenza, le politiche sociali e per la sicurezza alimentare, le piattaforme informatiche dell’amministrazione statale, regionale, locale. Compare inoltre la “clausola di supremazia”: la legge dello Stato potrà essere applicata a materie che non sottostanno alla legislazione esclusiva qualora si riveli necessario salvaguardare la tutela dell’interesse nazionale. Sulla legge elettorale, infine, il Parlamento ha aggiunto al testo Renzi-Boschi il controllo preventivo di costituzionalità, su richiesta di un quarto dei deputati. Il test preventivo di costituzionalità dovrà essere inoltrato entro i 10 giorni successivi all’approvazione della legge elettorale e verrà applicato anche all’Italicum, prima che la nuova legge elettorale entri in vigore, grazie ad un emendamento di Andrea Giorgis del Pd.

Nella Pubblica Amministrazione è caccia ai “furbetti del cartellino”: sospensione delle funzioni e dallo stipendio in 48 ore, senza che il dipendente possa opporsi. Rischieranno il licenziamento, oltre alla denuncia per omissione d’atti d’ufficio, anche i dirigenti, qualora si dimostrino inerti di fronte a comportamenti scorretti dei dipendenti. Altri comportamenti fraudolenti da punire sono quelli di dipendenti che si assentano per malattia in maniera seriale o in giornate particolari. Per quanto riguarda la riforma Madia sono undici i decreti attuativi approvati dal Consiglio dei ministri e che adesso devono passare alle Camere per il parere.

Nel pacchetto dei decreti attuativi c’è molto altro oltre al licenziamento dei “furbetti del cartellino”. A proposito di burocrazia da svecchiare ci sono ad esempio le nuove norme sull’amministrazione digitale con il pin unico che permetterà di collegarsi con tutti gli uffici pubblici. Basterà inoltre l’indirizzo email per comunicare con le varie amministrazioni. A proposito di digitalizzazione del territorio è previsto anche l’utilizzo di software open source e l’accesso tramite servizi di hotspot alle reti wifi degli uffici dopo la loro chiusura. Scuole, musei, siti archeologici dovranno infine essere coperti da reti internet. Verrà abolito il Corpo forestale dello Stato che passerà sotto l’Arma dei carabinieri alla quale verranno quindi attribuite le funzioni sulla sicurezza ambientale, forestale e agroalimentare, reprimendo eventuali violazioni compiute contro l’ambiente, il patrimonio faunistico e naturalistico, e le frodi delle produzioni agroalimentari. Ed ancora il decreto sul taglio delle società partecipate, le ex municipalizzate, spesso covo di ex politici e varie clientele. Sono previste una serie di misure per rendere più veloci i lavori per le opere pubbliche, in pratica il governo potrà esercitare poteri sostitutivi sui cantieri considerati strategici dagli enti locali, che non rispettano i tempi prefissati. Per quanto riguarda i dirigenti ospedalieri, invece, dovranno confluire in uno specifico albo unico nazionale da aggiornare ogni due anni, nel quale si potrà entrare solo se si ha una laurea, meno di 65 anni e un’esperienza dirigenziale alle spalle di almeno cinque anni. In pratica la scelta dei dirigenti ospedalieri non spetterà più solo alle Regioni ma sarà una commissione mista di esperti, statali e regionali, a presentare alla Regione una terna di nomi tra i quali scegliere.

Per quanto riguarda le unioni civili sono stati piantati dei paletti, anche all’interno del Pd: eliminare ogni possibile equiparazione tra le unioni civili e l’istituto del matrimonio e alleggerire il testo della stepchild adoption. Chiusura totale nei confronti della pratica dell’utero in affitto e a proposito di adozione si prevede anche una sorta di foglio rosa che potrebbe durare due anni dopo di che dovrebbe essere il giudice a valutare caso per caso. Tutto ciò per cercare di far crescere il consenso sul voto più in bilico, quello sull’articolo 5. Mentre per cercare di non uscire con le ossa rotte dal voto segreto i dem sembra abbiano bussato anche alla porta del gruppo di Romani, e soprattutto degli esponenti di Ap meno oltranzisti. I cattolici del Partito democratico insistono a loro volta sull’affido rafforzato cercando anche di raggiungere un’intesa con i senatori Ncd. Risulta invece non facile il dialogo con i pentastellati che potrebbero, tra l’altro, approfittare di una situazione contorta ed enfatizzare i vari scontri bipartisan per cercare di affondare la nave di Renzi.

©Futuro Europa®

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