Cronache dai Palazzi

Il dibattito sulle unioni civili riparte dal Senato, anche se in verità si discute più fuori che dentro l’aula. Intanto con 181 voti e in un’unica votazione l’aula di Palazzo Madama ha respinto tutte le pregiudiziali di costituzionalità sul ddl Cirinnà, mentre il voto sulla legge ci sarà mercoledì prossimo. Il principale nodo da sciogliere rimane quello della stepchild adoption e in caso di voto segreto sull’articolo 5 potrebbero esserci delle sorprese. Dietro le quinte fremono comunque le trattative per trovare un accordo tra adozione e affido rafforzato. Per l’approvazione finale si punta su un’inedita maggioranza Pd-M5S-Sel con aggiunta di centristi di matrice laica come Scelta civica e il gruppo Ala di Verdini. Tutti compatti, almeno sembra, a sostegno del provvedimento. È la prima volta che Ncd, alleato di Matteo Renzi all’interno dell’esecutivo, vota contro la maggioranza di governo, ma Alfano ne ha fatto una questione di principio legata ad un “patto”: “ritirate la stepchild e lasciate le sole unioni civili e noi torneremo a votare insieme”, ha affermato il leader del Nuovo centrodestra. Ma il Pd è disposto solo ad alcuni aggiustamenti senza rimettere in discussione il testo. Se il ddl Cirinnà non affrontasse più la questione delle adozioni l’asse con M5S e Sel potrebbe crollare facendo capitolare l’approvazione finale.

Un’ulteriore ipotesi di mediazione sarebbe quella di trattare la stepchild adoption con le regole delle adozioni internazionali prevedendo un pre-affido, ossia due anni di prova al termine dei quali un giudice decide se procedere o meno all’adozione. Tale soluzione farebbe parte dei “piccoli ritocchi”, come li ha definiti il capogruppo dem Zanda, tali da non stravolgere il testo del ddl Cirinnà. La discussione proseguirà fino a martedì e nel frattempo è stato certificato il “patto d’onore” sugli emendamenti: la Lega ha ritirato il 90 per cento dei cinquemila emendamenti che ha presentato – attestandosi sui 500 invece che sui 5 mila – e il Pd ha rinunciato al “super canguro”, l’emendamento permissivo che avrebbe eliminato quasi tutti gli altri emendamenti.

I troppi rimandi del testo al diritto matrimoniale insospettirebbero anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, pronto a chiedere al Parlamento il “riesame” della futura legge qualora riscontrasse “una chiara violazione della Costituzione”. L’auspicio del Colle è comunque quello di scongiurare un eventuale passo indietro procedendo a migliorare il testo del ddl Cirinnà con degli opportuni correttivi, cercando di evitare un’eventuale bocciatura della Consulta che già nel 2010 aveva respinto l’ipotesi di matrimonio tra persone dello stesso sesso.

La partita parlamentare è ancora tutta da giocare e entrerà nel vivo con la presentazione degli emendamenti superstiti e l’entrata in scena dei voti segreti. L’area centrista sembra ancora disposta a trattare la materia delle adozioni strutturando una legge a parte in cambio del voto sulle unioni civili, ma è solo un’ipotesi di corridoio che tra l’altro una parte consistente del partito di Alfano non condivide. L’importante è evitare di risultare del tutto ininfluenti sulla legge in discussione in Parlamento. Con questo intento un nutrito gruppo di 40 senatori capitanati dai senatori di Idea-Popolari per l’Italia Quagliariello, Giovanardi, Augello, Compagna e Mario Mauro hanno presentato un ricorso alla Corte costituzionale per “conflitto di attribuzione” in quanto il ddl Cirinnà non sarebbe stato discusso in Commissione. Ricorso fin da subito bollato dal presidente Grasso come una mossa da “azzeccagarbugli”. In definitiva, secondo i 40 senatori insorti, il ddl Cirinnà violerebbe l’articolo 72 della Costituzione secondo cui ogni disegno di legge deve essere esaminato prima in Commissione e poi in Aula. “Vogliamo farci rispettare. Se la Costituzione viene messa sotto i piedi, non lo possiamo accettare”, ha sottolineato Gaetano Quagliariello. Il presidente del Senato, ribattezzato nell’immediato “Don Abbondio”, ha comunque replicato spiegando nel dettaglio l’iter del provvedimento che risale al 18 giugno 2013, quando si svolsero “ben 69 sedute della Commissione in 29 ore di dibattito”. Salvaguardare la costituzionalità del provvedimento, evitando l’equiparazione delle unioni civili al matrimonio sembra essere comunque l’obiettivo principale perseguito un po’ da tutti, anche dai più progressisti che, sia nel Pd sia negli altri partiti (soprattutto tra i pentastellati), escludono stralci particolari alla stepchild adoption. “Bisogna capire quando una proposta è di buon senso oppure no”. Viene ribadito.

“Questa maggioranza sulle unioni gay tra Pd e M5S è traumatica. Non mi auguro crisi di governo, ma neanche che si vada avanti a braccetto con i grillini”, ha dichiarato a sua volta Angelino Alfano. “Se il ddl Cirinnà viene stravolto noi non lo votiamo più”, minacciano invece i Cinquestelle. Nel mirino c’è ovviamente la stepchild adoption ma anche lo scontro politico vero e proprio, che mette in discussione le geometrie parlamentari e ha per posta maggioranze variabili. La questione principale è la tenuta o meno di queste maggioranze di giornata.

Nel frattempo prosegue il braccio di ferro tra Palazzo Chigi e Bruxelles, in particolare tra il premier Matteo Renzi e i “professionisti dello zero virgola”, ossia i tecnici della Commissione Ue, come li definisce il capo dell’esecutivo. Le “Previsioni d’Inverno” non lasciano presagire nulla di estremamente positivo per l’Italia, alla quale i tecnocrati europei non sono disposti a concedere ulteriori margini di flessibilità. “Se andassimo troppo oltre con la flessibilità sulle regole non avremmo più regole”, ha sottolineato il vicepresidente della Commissione Ue Jyrki Katainen. Sulla stessa lunghezza d’onda si dichiarano anche il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici – per il quale “l’Italia è il Paese che nell’Ue e nella zona euro beneficia del maggiore numero di flessibilità” – e il capogruppo del Ppe all’Europarlamento, il tedesco Manfred Weber, vicino alla cancelliera Angela Merkel e al presidente Juncker. Il presidente Juncker continua inoltre a dichiararsi “il padre del virtuoso approccio a triangolo sulle politiche economiche, che contraddistingue la sua Commissione e che combina riforme strutturali, responsabilità di bilancio e un ambizioso programma di investimenti”.

“Ora che abbiamo fatto tutte le riforme e messo i conti in ordine non prendiamo più lezioncine”, continua però a sottolineare Renzi, anche se i principali nodi da sciogliere rimangono deficit e debito pubblico (oltre il 130% di Pil) e per l’Italia potrebbero prefigurarsi tempi duri se la Commissione non dovesse cedere sulla flessibilità per i migranti e aprire una procedura per deficit eccessivo. Nel 2017, a ridosso delle elezioni, Renzi potrebbe non riuscire a tagliare Ires e Irpef come promesso.

Il ministro Pier Carlo Padoan, difendendo l’azione del suo governo, ribadisce che i conti pubblici sono in ordine e pienamente sotto controllo e, soprattutto, l’esecutivo mira ad una politica economica e di bilancio orientata alla crescita  – riforme strutturali e investimenti in primo piano – e alla riduzione del debito pubblico che nel 2016 scenderà in rapporto al Pil, “per la prima volta dopo otto anni di incrementi”, ha sottolineato Padoan durante il question time in Senato. Senza tra l’altro conteggiare le privatizzazioni, ha aggiunto il ministro dell’Economia, che Bruxelles non considera parte del conto ma che per legge contribuiscono alla riduzione del debito. “Nel 2017 l’intenzione del governo rimane quella di sostituire l’aumento di Iva e accise con misure di risparmio”, con la volontà di superare le clausole di salvaguardia. “Le banche italiane sono più sicure di altri Paesi”, ha inoltre aggiunto il ministro sottolineando che le nuove regole di salvataggio messe in campo dall’Ue in materia di salvataggi hanno provocato “un aumento dell’instabilità, invece che della stabilità”, ragion per cui è necessaria una riflessione – sollecitata tra l’altro anche dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco –  per migliorare la direttiva Ue e “evitare che crisi circoscritte abbiano effetti sistemici”. Il governo italiano chiede una modifica, ha precisato Padoan, prevedendo “una fase transitoria di applicazione”. In definitiva Padoan sminuisce i rischi prospettati dai tecnici Ue affermando che le stime “sono state riviste al ribasso per tutti i Paesi della zona euro”.

Le Previsioni economiche d’Inverno prefigurano comunque per l’Italia un “peggioramento del deficit strutturale” per il 2016; il rapporto debito/Pil in discesa solo “leggera” (al 132,4%) rispetto al record negativo del 2015 (132,8%); una crescita al ribasso (1,4%) nel 2015 registrando un ritardo sulla media Ue; il deficit in aumento (2,5%) nel 2016; una disoccupazione che si riduce molto lentamente (11,9% nel 2015, 11,4% nel 2016 e 11,3% nel 2017). E per finire crediti insostenibili che appesantiscono il sistema bancario. Le Previsioni della Commissione Ue sono destinate, molto spesso, ad essere corrette nella tornata successiva (in primavera) ma in quest’occasione evidenziano chiaramente lo scontro in atto tra Palazzo Chigi e le istituzioni comunitarie. Il premier Renzi non è comunque intenzionato a cedere, al contrario continua a battere la strada della lotta all’eccessiva austerity, convinto per di più di trovare alleati sparsi nel resto d’Europa. “È il momento di indicare una nuova via per salvare la Ue dall’asfissia e dalla sclerosi burocratica”, ha affermato Matteo Renzi che intrattiene una fitta rete di rapporti con Olanda, Francia, Austria, Svezia e Spagna cercando di costruire assi contro l’austerità filotedesca. Renzi sostiene che “l’iceberg del rigore si sta sciogliendo sotto i colpi della crisi, dei flussi migratori e del populismo” per cui sarebbe il momento di “tentare un’altra strada”.

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