Aria nuova in Cina

“Lotta allo smog su tutti i fronti”: ad annunciarla è stato il ministro dell’Ambiente Chen Jining, nella conferenza stampa legata all’annuale Congresso Nazionale del Popolo che si è appena tenuto a Pechino. Dai più recenti dati disponibili risulta che nel 2010 l’inquinamento atmosferico ha provocato in Cina 1,2 milioni di morti premature, e che quello derivante dalla combustione del carbone ha ucciso circa 670 mila persone nel 2012. Dati impressionanti anche per un Paese che conta un miliardo e 376 milioni di abitanti. Dati ai quali va aggiunto quello sui malati cronici per le conseguenze dell’inquinamento: un costo in termini di risorse umane, ma anche di cure mediche, che alla fine ha convinto il Governo a prendere parte ufficialmente alla guerra mondiale contro lo smog.

I Cinesi, si sa, non amano essere messi alle strette nelle trattative, e non a caso una presa di posizione così importante da parte del Ministro dell’Ambiente cinese sulla lotta all’inquinamento è arrivata in un periodo di relativa calma sui temi ambientali, lontano dalla pressione politica di un tavolo di trattative o da quella mediatica di un evento mondiale sul Clima. L’atteggiamento della Cina, e gli accordi sul Clima presi in considerazione dal Paese, hanno in genere mostrato più la preoccupazione di tutelare il proprio diritto a produrre emissioni che quella di combattere l’inquinamento: come ha dimostrato ad esempio l’accordo bilaterale al ribasso che la Cina ha sottoscritto poco prima della Conferenza ONU di Lima con gli USA, anch’essi preoccupati da limiti al loro consumo di combustibili fossili che emergevano dalle bozze degli accordi, e interessati a non ridurre troppo i propri consumi di petrolio e carbone.

Ma evidentemente una soluzione reale, e forse una decisa e sincera volontà di combattere l’inquinamento, era nell’aria da tempo. Forse perché i Cinesi sono più ambientalisti di Europei e Statunitensi, come risultato da un sondaggio effettuato in Europa, Usa e Cina dal Research Institute Motivaction International fra dicembre 2013 e gennaio 2014, che ha rivelato che il 75 per cento dei Cinesi risulta preoccupato  per i danni provocanti dagli esseri umani al pianeta, contro il 71 per cento degli Europei ed il  60 per cento dei cittadini Usa; e che tre Cinesi su quattro si sforzano di vivere in maniera ‘eco-consapevole’, mentre adottano comportamenti simili solo il 61 per cento degli Europei e il 46 per cento degli Statunitensi. A dispetto di ciò, circa il 70 per cento della popolazione cinese vive nelle regioni dove i livelli di Pm 2.5 superano quelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli ambientalisti della Cina hanno notato che i livelli di inquinamento medio in molte città cinesi sono ancora più alti di circa cinque volte rispetto al valore considerato innocuo dall’Oms. Le immagini impressionanti dello smog che soffoca le città e di folle di Cinesi con la mascherina sono la visualizzazione plastica della sofferenza della Cina per l’inquinamento atmosferico.

Cosa c’è di concreto a fondamento della dichiarazione ‘ambientalista’ del Ministro Chen Jining? C’è, nel Paese maggior consumatore di carbone al mondo, il blocco fino al 2019 dell’apertura di nuove miniere e la chiusura di centrali elettriche e fabbriche molto inquinanti, col risultato che il particolato pericoloso nell’aria di 74 città è diminuito in media di 14,1%. Effetto, certo, anche della diminuita crescita: nel 2015 la Cina ha registrato un Pil in rialzo ‘solo’ del 6,9%, al ritmo più lento degli ultimi 25 anni. C’è la volontà politica, annunciata dallo stesso Chen Jining, di tenere sotto controllo i governi locali, spesso più attenti allo sviluppo che al rispetto delle leggi ambientali. C’è, ha detto il ministro, il sostegno all’innovazione tecnologica, quella delle “buone imprese”: ovvero la ‘conversione’ da un’economia ‘di quantità’ a una ‘di qualità’ che sta caratterizzando la presidenza di Xi Jinping. C’è il mantenimento della posizione di maggior investitore mondiale in energie rinnovabili, fra le quali il solare termodinamico a concentrazione, italiano per know-how e partnership operative. Ma c’è, soprattutto, una evoluzione culturale, con l’adozione di una visione post-moderna, ricca di saggezza antica, dell’economia. Ha detto Chen Jining: “Cos’è lo sviluppo? Siamo soliti considerare equivalenti Pil e produzione. Ma dobbiamo credere che la natura non abbia prezzo e che sia preziosa. Sono state abbandonate le teorie in base alle quali il protezionismo ambientale era considerato un freno allo sviluppo: piuttosto, sono due elementi che possono essere uniti e bilanciati”. Come Yin e Yang.

©Futuro Europa®

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