Italia delle Regioni
Sulla riforma e riorganizzazione dei porti italiani le regioni hanno espresso il loro assenso: “stiamo andando avanti rapidamente e secondo i tempi previsti nella fase attuativa della Riforma della Pubblica Amministrazione e lo stiamo facendo in modo unitario portando il contributo e l’adesione unanime di tutte le Regioni”, così il Presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, ha commentato il parere positivo, recentemente espresso nella Conferenza Unificata, al decreto legislativo relativo alla riorganizzazione e alla razionalizzazione della disciplina Con la riforma della riorganizzazione dei porti si semplifica fortemente il quadro del settore creando 15 autorità di sistema portuale, cui faranno riferimento 54 porti di rilevanza nazionale e a cui potranno rivolgersi le Regioni anche per chiedere l’inserimento di porti di rilevanza regionale.
E’ un’ operazione di forte razionalizzazione che porta ad una riduzione dei comitati portuali: dagli oltre 360 esistenti oggi, a circa 70. Tutto ciò avverrà anche con il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali perché alcuni componenti saranno designati dalle autonomie territoriali. Con la riforma le nuove autorità istituiranno anche ‘tavoli di partenariato della risorsa mare’, con funzioni consultive, a cui parteciperanno stakeholder e associazioni di categoria. Una svolta anche per la semplificazione burocratica con la realizzazione dello sportello unico doganale e l’attivazione di controlli sotto il coordinamento funzionale dell’agenzia delle dogane e l’attivazione di uno sportello amministrativo. Infine la riforma prevede un rilancio della portualità e della logistica attraverso: semplificazione su scavi e dragaggi; miglioramento dei collegamenti ferroviari di ultimo miglio; ‘ferrobonus’ e ‘marebonus’ ovvero gli incentivi previsti dall’ultima legge di stabilità per il trasporto merci via ferrovia e via mare.
Con il piano strategico della portualità e della logistica si rilancia il settore portuale e logistico massimizzando il valore aggiunto che può arrivare proprio dal trasporto marittimo. In linea con la riforma delle autorità portuali si mira a semplificare e snellire l’organizzazione, garantendo maggiore trasparenza e upgranding di servizi, uniformando le condizioni di accesso alle concessioni demaniali, migliorando l’efficienza del lavoro portuale e promuovendo il settore turistico e il potenziamento del settore crocieristico. Il piano prevede una serie di interventi per migliorare i collegamenti marittimi e terrestri, semplificando le manovre ferroviarie e introducendo il “fast corridor ferroviario” negli scali merci.
Si punta poi sull’integrazione del sistema logistico e il coordinamento funzionale con interporti e piattaforme logistiche. Anche nel piano strategico nazionale sono previste azioni per migliorare la qualità dei collegamenti ultimo miglio. Infine: maggiore innovazione secondo le Linee UE e la strategia del Piano Horizon2020; interventi per minimizzare l’impatto ambientale; certezza delle risorse, mettendo a sistema fondi FESR, Fondo Sviluppo e Coesione, Piano Junker, etc..; condivisione e confronto partenariale; attualizzazione della governance del sistema mare. Si tratta di obiettivi che saranno perseguiti attraverso azioni strategiche da realizzarsi con: modifiche della normativa vigente; regolamenti attuativi; futuri piani attuativi di settore; azioni del documento di programmazione pluriennale; contratti di programma con i concessionari; accordi di rete o programma quadro, protocolli d’intesa etc…. Fondamentale è il capitolo finale del piano relativo alle proposte di governance con cui si individua la migliore dimensione per coniugare efficienza e aumento della competitività con l’esigenza del maggiore raccordo con territori e mercati locali.
In merito al Referendum popolare che si svolgerà domenica 17 aprile, riteniamo opportuno porre in risalto che in origine dieci Regioni avevano depositato i quesiti referendari anti-trivelle nel mare Adriatico per la ricerca di idrocarburi: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Inoltre Angelo Bonelli, della Federazione dei Verdi aveva denunciato: “Il Ministero dello Sviluppo Economico ha autorizzato le ricerche di petrolio di fronte ad uno dei gioielli ambientali più importanti d’Europa: le isole Tremiti”.
Inoltre sei delle dieci Regioni promotrici del referendum anti-trivelle per la ricerca di idrocarburi nel mare Adriatico hanno ritenuto opportuno sollevare il conflitto di attribuzione con il Parlamento: Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania. La parola sull’ammissibilità del referendum era passata alla Corte Costituzionale e gli attivisti promotori del referendum puntavano anche alla bocciatura da parte della Consulta delle modifiche apportate a fine 2015 al decreto Sblocca Italia in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare.
Il referendum anti-trivelle ha comunque seguito il suo iter: la Corte di Cassazione ha trasferito sulla nuova normativa entrata in vigore con la Legge di Stabilità il sesto quesito promosso da dieci Regioni, quello sulle estrazioni in mare e sulla durata del giacimento. Altri due erano stati in parte recepiti dalle modifiche approvate in Parlamento ed entrate in vigore con la Legge di Stabilità. Nulla di fatto però per il secondo e il terzo quesito (sulle proroghe dei titoli già concessi e sul piano estrazioni).
Dopo le modifiche volute dal governo, approvate dal Parlamento e introdotte dunque con la Legge di Stabilità 2016, l’Ufficio centrale per i referendum presso la Corte di Cassazione – che il 26 novembre 2015 aveva dichiarato conformi alla legge i sei quesiti referendari contro le trivellazioni come riportato dal Comitato per i Referendum “No Triv” – ha stabilito che solo uno di essi mantiene i requisiti. Vengono dichiarati inammissibili i referendum che investono norme dello Sblocca Italia (tre dei quali già accolti nella Legge di Stabilità), mentre è ammesso quello che riguarda misure del decreto Sviluppo sul divieto di trivellazioni per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine.
Dopo il deposito dell’ordinanza della Corte di Cassazione, il Parlamento aveva approvato la modifica della norma del codice dell’ambiente che consentiva la conclusione dei procedimenti in corso, prevedendo però che i permessi e le concessioni già rilasciati non avessero più scadenza. Né si chiariva che i procedimenti in corso dovessero ritenersi definitivamente chiusi e non solo sospesi. La Cassazione ha ammesso che la modifica del Parlamento non soddisfa la richiesta referendaria. “Aver riammesso il quesito – spiega il costituzionalista Enzo Di Salvatore, coordinatore del movimento No Triv – comporta che, in caso di esito positivo del referendum, occorrerà rispettare la volontà dei cittadini”.
Dall’abrogazione referendaria deriverà un vincolo per il legislatore che non potrà rimuovere il divieto di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia. “Ma ne deriverà – ha spiegato il costituzionalista – anche l’obbligo per la pubblica amministrazione (il ministero dello Sviluppo economico) di chiudere definitivamente i procedimenti in corso, finalizzati al rilascio dei permessi e delle concessioni”.
Relativamente ai quesiti dichiarati inammissibili, per il presidente del consiglio regionale della Basilicata Piero Lacorazza “rimane aperto il nodo del piano delle aree e della proroga dei permessi di ricerca e coltivazione non accolti dalla Corte di Cassazione”, il referendum si sarebbe potuto celebrare sull’ampiezza di tre quesiti: il mare, la durata dei permessi e delle concessioni e il piano estrattivo delle aree.