Cronache dai Palazzi
In un generale clima di scetticismo e disillusione le inchieste di Potenza proseguono il loro corso, mentre il premier Matteo Renzi continua a difendere i progetti del proprio governo tra cui anche l’emendamento su Tempa Rossa: “È stato presentato di giorno, mica di notte, e pure subemendato”. L’emendamento che ha introdotto il reato ambientale, invece, “è stato presentato di notte”. Renzi ha inoltre puntualizzato: “Ve la immaginate la Basilicata senza l’Eni e senza la Fiat a Melfi? Noi agevoliamo la presenza delle imprese sul territorio, con assoluto rispetto delle norme, come giusto che sia”.
Il ministro Andrea Orlando è intervenuto per assicurare che non si tratta dell’ennesima guerra tra politica e magistratura e il procuratore di Potenza, Luigi Gay, in una nota ha a sua volta smentito ogni tipo di “attività investigativa su provvedimenti legislativi” o su “attività di natura politica”, tantomeno “indagini sulla legge di stabilità 2016”. Tutto ciò non sottrae comunque il ministro Guidi, definito (sembra) ‘parte lesa’, alle sue responsabilità politiche.
Nel frattempo il tema delle trivellazioni conquista le vette del dibattito pubblico – praticamente nell’ombra prima che scoppiasse il caso Guidi-Gemelli – e tende a radicalizzare gli schieramenti in vista del referendum del 17 aprile, per cui il numero dei votanti forse supererà le previsioni.
Molti nel Pd, inoltre, disertano la linea del premier-segretario. Roberto Giachetti e Roberto Speranza dichiarano ad esempio di andare a votare e che voteranno sì. Una mossa che è una rivendicazione di autonomia rispetto alle impostazioni di Palazzo Chigi. In pratica il referendum sulle trivelle sembra trasformarsi nell’ennesima occasione per prendere le distanze da un premier sconnesso con il suo partito. Con il referendum prossimo, in effetti, molti tra i dem sperano di dare una spallata all’esecutivo in corso. Una sorta di prova generale per le Amministrative di giugno dove gli avversari di Renzi contano di vederlo perdere non solo a Roma ma anche a Napoli e in qualche altra città. Matteo Salvini prevede che Renzi “non arriverà a fine anno”, avendo “perso la bussola”. La Lega, a sua volta, non ha ancora fatto pace con le candidature di Roma e con Silvio Berlusconi.
La tappa successiva è il referendum costituzionale, l’ultima carta di Renzi per cercare di raccogliere il consenso dell’opinione pubblica in grado di legittimare due anni di operato di governo. Ma anche tra i dem non tutti sono convinti della vittoria in autunno, tantoché il presidente del Pd, Matteo Orfini avverte: “Se quel referendum fallisce , mi sembra giusto che si torni al voto”. Tutto ciò vorrebbe dire elezioni anticipate anche se, di certo, si tratta di uno scenario troppo prematuro.
Di fronte alle telecamere del Tg2 Renzi dichiara comunque che il suo non è “il governo delle lobby e dei petroliferi”, e riferendosi ai suoi sottolinea: “Noi non prestiamo attenzione ai giochetti dei politicanti che vogliono fare polemica”. Il presidente del Consiglio ha più volte ribadito di non volersi schierare contro la magistratura ma è comunque convinto che sia in atto un’offensiva contro il suo governo. Politica mediatica e per certi versi politica giudiziaria. Una strategia disegnata, il cui obiettivo non sarebbe semplicemente il referendum sulle trivelle del 17 aprile, bensì la riforma costituzionale e quindi il referendum di ottobre quello che, come ha confessato Renzi ai collaboratori, “sarà il vero punto di svolta, perché dopo non ce ne sarà più nessuno”. Il premier prevede, e in sostanza teme, “il colpo di coda” di tutti coloro che potrebbero sentirsi minacciati dalla sua vittoria referendaria sulla Costituzione: poteri forti, oppositori politici (esterni ma anche vicini al proprio schieramento), una parte dei mass media ed infine anche alcuni magistrati.
Nel totonomi per la sostituzione di Federica Guidi, per il momento, il nome più gettonato sembra essere quello di Claudio De Vincenti, già sottosegretario del Mise e conoscitore del dicastero che andrebbe a dirigere. La notizia è trapelata dopo l’incontro al Quirinale tra Sergio Mattarella e Matteo Renzi anche sei i due hanno deciso di prendere tempo. Una decina di giorni almeno prima di conoscere il nuovo ministro, nonostante l’intenzione di Renzi di chiudere in fretta la “pratica”.
Nel frattempo è stato riscritto in extremis l’emendamento per Tempa Rossa, “rimodulato” dal governo in vista del referendum del 17 aprile: non più “strategico” ma di pubblica utilità ed inoltre non compare più il passaggio che toglieva il diritto di veto alle regioni sulle estrazioni petrolifere. In pratica si tratta del giallo della norma cancellata dal decreto “Salva Italia” a novembre, riapparsa nella legge di Stabilità a dicembre e di nuovo corretta, o meglio depotenziata prima del referendum sulle trivelle a causa dell’affaire Guidi. Ai pm di Potenza, inoltre, la ministra Maria Elena Boschi ha sottolineato che tutte le indicazioni su quel provvedimento sono arrivate a Palazzo Chigi dal ministero dello Sviluppo Economico guidato da Federica Guidi. Boschi in pratica non ha affatto rivendicato la paternità dell’emendamento killer. Renzi, invece, in un secondo momento si è riappropriato del suddetto emendamento inserito nella legge di Stabilità 2015, difendendo gli obiettivi dell’operazione, un tempo respinta con lo “Sblocca Italia”: “Semplificare la realizzazione di opere strumentali alle infrastrutture energetiche strategiche” e “promuovere i relativi investimenti e le connesse ricadute anche in termini occupazionali”.
In definitiva, riguardo al referendum sulle trivelle prossimo venturo Renzi dichiara: “Spero che fallisca, io sono per non sprecare le risorse. Al nucleare abbiamo detto no grazie, abbiamo chiesto di chiudere alcune centrali a carbone, il quesito non parla di nuovi pozzi, ma di quelli che già ci sono, che sono all’avanguardia”.
Nel suo Pd, intanto, c’è come al solito aria di tempesta. Le lotte intestine rischiano di rovesciare gli equilibri e il premier-segretario viene giudicato “non all’altezza” da Gianni Cuperlo, esponente della minoranza dem antirenziana. Dalla Gruber Massimo D’Alema dichiara che il 17 aprile voterà ‘no’ ma sottolinea che “è assurdo avere detto di non andare a votare”. In sostanza serpeggia l’idea che “Renzi è un leader che divide e lacera, ma così poi alle elezioni si perde”. Non si tratterebbe, inoltre, di una semplice lotta per la leadership capeggiata dalla minoranza. Emerge bensì un’aria di complotto per cui i dissidenti sarebbero pronti a tentare l’espugnazione del premier-segretario da Palazzo Chigi a seguito di amministrative andate non proprio bene, formare un nuovo esecutivo, modificare la legge elettorale e magari far sì che il referendum costituzionale di ottobre si svolga non più sotto la protezione di Renzi. Uno scenario forse un po’ marcato, dai toni estremi, ma che potrebbe rivelarsi verosimile se l’aria che tira continuerà ad essere quella attuale. Non a caso, come ha rivelato D’Attorre ormai fuori dal Pd, torna in auge l’idea di un “governo di cambiamento” formulata un tempo dal decano Pier Luigi Bersani.
Per ora però la squadra di governo di Renzi sembra adottare lo slogan “non ragioniam di lor, ma guarda e passa” e, al di là delle questioni petrolifere in Basilicata, l’esecutivo deve decidere quali stime di crescita inserire nel Documento di economia e finanza. Le stime subiscono un ribasso per il 2016 ma il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan annuncia che le misure del pacchetto “Finanza per la crescita” potranno determinare una spinta pari allo 0,2 per cento di prodotto nel breve periodo (ma non prima del 2017), e all’1 per cento in un arco di tempo più lungo. Il primo obiettivo è incoraggiare gli investimenti, non solo pubblici ma anche delle imprese che dovrebbero essere favorite da alcune misure messe a punto dal governo: l’esenzione fiscale sui rendimenti dei titoli emessi dalle aziende per finanziarsi; il rafforzamento dell’accesso al credito; la razionalizzazione degli incentivi. Contemporaneamente il governo prevede un ulteriore rafforzamento delle azioni italiane messe nero su bianco nell’ambito del Piano Juncker. Per il 2016, utilizzando tutti i margini di flessibilità previsti dalla Commissione europea (compresa la clausola migranti), l’esecutivo italiano prevede comunque di migliorare solo marginalmente l’obiettivo di un rapporto deficit/Pil al 2,4, e l’aggiustamento sarà raggiunto per via amministrativa senza mettere in atto una manovra correttiva esplicita.