Gente sana in ambiente sano
Vivere nel verde fa bene alla mente: a confermarlo è il rapporto ‘Gente sana in ambiente sano’, che raccoglie varie ricerche che hanno associato la vicinanza a spazi verdi con livelli più bassi di stress e minori sintomi di depressione e ansia. Il documento è stato presentato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità all’Assemblea delle Nazioni Unite, appena conclusa a Nairobi.
Secondo il rapporto, che è fondato su evidenze scientifiche che documentano dal punto di vista clinico gli effetti del contatto con la natura, è ormai fuori discussione il fatto che l’uomo tragga benefici dal poter vivere nell’ambiente che ha segnato la sua storia evolutiva: “Sta diventando sempre più evidente che i 2,2 milioni di anni che la nostra specie ha trascorso nell’ambiente naturale sono consequenziali alla moderna salute mentale”, scrivono i ricercatori americani Annemarie Mantler e Alan C. Logan in un articolo pubblicato su ‘Advances in Integrative Medicine’. Per Mantler e Logan “la forza collettiva di ricerche in diverse discipline rende difficile ignorare la rilevanza clinica dell’ambiente naturale nella cura della salute mentale del ventunesimo secolo”.
La notizia fa riflettere: perché i benefici dello svago all’aria aperta, delle vacanze al mare, in campagna o in montagna, o anche del semplice giardinaggio sul balcone di casa, sono noti da sempre e da sempre ricercati; ma finora non li si è evidenziati abbastanza né tantomeno se ne sono documentate a sufficienza le ragioni dal punto di vista scientifico, come i tanti studi raccolti nel rapporto dell’OMS hanno invece fatto. Per la nostra mentalità, per la nostra cultura, per le quali nulla esiste se non documentato dalla scienza, si è trattato di una grave mancanza. L’importanza del rapporto con la natura è rimasta secondaria rispetto agli aspetti sociali e tecnologici della vita: confinata nello spazio dello svago, della vacanza, del ludus, un’area alla quale attribuiamo un valore marginale rispetto a quella occupata dal lavoro. Un’area vista come una specie di pronto soccorso per curare lo stress dovuto alla costrizione ad attività sociali e lavorative innaturali e mal tollerate. Nello stesso modo, è rimasto a margine il pensiero che integra la natura nella vita quotidiana, ovvero il pensiero ambientalista.
Ma è nell’emergenza, nella debolezza, che un sistema rivela la natura dei suoi fondamenti, come fa un corpo che sul lettino del pronto soccorso usa e svela le sue profonde e antiche risorse mentre lotta per la propria sopravvivenza insieme al medico. E che la causa profonda e in parte misteriosa di alcuni mali del nostro tempo come la depressione possa essere affrontata e risolta anche grazie ad un maggior contatto con la natura, è una rivelazione che non lascia il tempo che trova, ma che riorganizza la concezione più comune dell’uomo ben oltre i confini della visione dominante nella civiltà contemporanea.
Sì, la notizia fa riflettere. Fa riflettere se si pensa che, mentre il vivere in natura è così importante per la sanità mentale dell’uomo, tutte le decisioni importanti, quelle politiche, quelle economiche, quelle gestionali, ma anche, da sempre, quelle ideologiche, vengono prese nei centri di comando e controllo della vita umana: le città. E alla vita urbana sono collegati. Nelle città vive oggi una parte minima dell’umanità, basti pensare al rapporto numerico fra gli abitanti di qualsiasi paese del mondo e quello dei soli residenti nella capitale: eppure, è nelle città che si decide tutto. Anche l’immaginario collettivo, a partire dai modelli di atteggiamenti e comportamenti suggeriti dalla pubblicità o dai personaggi pubblici di ogni tipo, è sistematicamente legato a scenari urbani e tecnologici, marcati da oggetti e simboli legati alla vita cittadina.
Tutto ciò, dice oggi la scienza, può arrivare a farci male, se la cura dei mali che ne derivano è al di fuori di questo scenario. Ma il rimedio c’è: prendere le distanze dall’ambiente urbano e credere la natura e i suoi valori come qualcosa di più di un rimedio allo stress di tutti i giorni. L’uomo non nasce in cravatta e con lo smartphone in mano. Neanche oggi. E’ora di prenderne atto.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]