Israele e Arabia Saudita, alleati di fatto
La crisi in Siria e la “rinascita” dell’Iran hanno cambiato le carte in tavola. Gli israeliani considerano ormai i Paesi del Golfo come elemento di stabilità.
“L’Arabia Saudita non è una nemica di Israele”. Queste le parole più ricorrenti in questi giorni a Tel Aviv e Gerusalemme. E se i sauditi sono molto più riservati sulla questione, ciò non toglie il fatto che tra lo Stato Ebraico e i Paesi del Golfo si sia creata una vera alleanza, basata su interessi comuni. E sopratutto Israele non causa nessuna preoccupazione ai dirigenti di Riyad. L’elemento che ha portato a queste conclusioni è il ricovero in ospedali israeliani di più di 2000 feriti siriani. Tra loro dei combattenti di Al Nosra e di diversi altri gruppi jihadisti, ostili a Daech, e sostenuti dall’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. “Agiamo per motivi strettamente umanitari. Non chiediamo le carte d’identità dei feriti che soccorriamo”, assicurano dal lato israeliano. Sicuramente il lato umanitario ha il suo peso, ma questi sentimenti caritatevoli sono legati a doppio filo ad una realtà geopolitica posta sotto minuziosa analisi dai servizi competenti.
Israele ha per lungo tempo si è accontentata dello statu quo con la Siria della famiglia di Assad padre e figlio. Ci si guardava in cagnesco, ma si giocava su di un terreno conosciuto. Il regime di Damasco assicurava la stabilità, sapeva quali fossero le linee rosse da non superare durante i numerosi momenti caldi. Per anni, una calma bucolica ha regnato sul Golan. “Preferiamo un diavolo che conosciamo a un demone imprevedibile”, si ripeteva spesso in Israele. In poche parole, gli Assad erano il male minore. La crisi siriana ha cambiato tutto. Daech è alle porte di Israele. Soprattutto, gli iraniani e i loro alleati dell’Hezbollah libanese hanno fatto irruzione nel teatro delle operazioni. Per ora, Hezbollah è troppo occupato a combattere in Siria per pensare un solo momento ad aprire un secondo fronte contro Israele. Ma gli israeliani temono che gli iraniani diano ai loro alleati sciiti libanesi armi pesanti che potrebbero un giorno minacciare lo Stato Ebraico. Gaza è sorvegliata speciale. Da qui raid condotti segretamente contro i convogli di Hezbollah e la cui esistenza è stata stranamente rivelata da Benjamin Netanyahu. Sicuramente per meri motivi di politica di partito, rimanendo generalmente queste operazioni fuori dagli schermi radar mediatici.
Israele e Arabia Saudita hanno diversi punti in comune: temono il crescere dell’influenza iraniana e auspicano la stabilità politica dell’Egitto. Anche durante l’epoca d’oro del Fratello Musulmano Mohamed Morsi, i Servizi israeliani hanno continuamente mantenuto il contatto con i Servizi egiziani. Ed è l’Arabia Saudita che ha dato un decisivo contributo finanziario al suo successore, il maresciallo Abdel Fattah al-Sissi, quando invece gli americani la tiravano per le lunghe in attesa di capire come volgesse la situazione. Da allora, l’esercito egiziano ha rigorosamente blindato Gaza, chiuso i tunnel di approvvigionamento che partivano dall’Egitto e si sforza – per ora con pochi risultati – di controllare il Sinai.
Per quanto concerne l’Iran, la crisi che intercorre con l’Arabia Saudita si è inasprita ulteriormente con l’annuncio che Teheran non avrebbe fatto partecipare i suoi fedeli al grande pellegrinaggio della Mecca in territorio saudita, per proteggere il suo popolo un anno dopo i tragici incidenti che hanno causato la morte di 2300 persone, tra cui 464 iraniani. E’ la seconda volta in 30 anni che gli iraniani non andranno in Arabia Saudita per il Hajj, uno dei cinque pilastri dell’Islam che ogni fedele deve compiere almeno una volta nella sua vita se ne ha i mezzi, per realizzare il rito della lapidazione. I due grandi rivali regionali,le cui relazioni diplomatiche sono interrotte da Gennaio, portavano avanti da mesi discussioni farraginose per fissare le condizioni sull’organizzazione di questo pellegrinaggio.
Come reazione alle accuse di inefficienza iraniane, il ministro saudita per gli Affari Esteri ha replicato che Teheran aveva posto condizioni “inaccettabili”. “L’Iran ha reclamato il diritto ad organizzare delle manifestazioni, così come vantaggi (…) che non farebbero altro che creare il caos durante lo Hajj”, ha precisato Abdel al-Jubeir durante una conferenza stampa. “Lo Hajj non può essere politicizzato”. Il ministro saudita alludeva alle manifestazioni chiamate “di avversione agli atei”, nelle quali si urlano slogano contro gli Stati Uniti e Israele, che i fedeli iraniani si dice tenterebbero di organizzare ogni anno durante i pellegrinaggi in Arabia Saudita. Ad onor del vero incidenti pesanti sono avvenuti in passato. Nel 1987 una manifestazione degenerò in follia collettiva. Ci furono 402 morti di cui 275 iraniani. Le relazioni diplomatiche tra i due Pesi si interruppero per quattro anni.
L’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita sono in contrasto su tutte le crisi regionali,in particolare per quelle in Irak, Yemen e appunto Siria. L’alleanza con Israele a questo punto non stupisce più. La realpolitik non tramonta ancora.
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Credo sia utile per entrambi e potrebbe contribuire a risolvere anche il conflitto coi palestinesi.