Cronache dai Palazzi
L’esecutivo arranca. Non sono solo le inchieste della magistratura a rompere le uova nel paniere, con il ministro dell’interno Angelino Alfano che non intende comunque dimettersi. Il premier Renzi, anche lui, è impegnato a fronteggiare ancora una volta i falchi interni ed esterni al suo entourage alle prese con la raccolta delle cinquecentomila firme a favore del Sì al referendum costituzionale, entro luglio. Il timore è ritrovarsi con un esecutivo delegittimato e depotenziato. Se con il referendum costituzionale si dovesse rivelare il peggio, Matteo Renzi si dimetterebbe dalla carica di primo ministro ma non da segretario del Pd: una rivelazione che ha il suo peso.
Nel caso ipotetico vincesse il “no” al referendum di ottobre gli avversari ipotizzano già un voto anticipato senza però contare che proprio secondo la Costituzione ancora vigente spetta al presidente della Repubblica decidere se sciogliere o no le Camere. Tutto questo tanto più se ci dovesse ritrovare con una riforma costituzionale e una riforma elettorale – date le modifiche richieste per l’Italicum, premio di maggioranza prima di tutto – di fatto delegittimate.
Il nostro è senza dubbio un Paese dove, per motivi ovvii, scorre il rischio dell’ingovernabilità. Dopo il ciclone mediatico giudiziario che si è abbattuto sul ministro Alfano l’esecutivo è tornato a dover fare i conti con il lumicino alla mano, alle prese con una maggioranza appesa ad un filo. L’appuntamento più vicino e per martedì o mercoledì della prossima settimana quando a Palazzo Madama si dovrà approvare il disegno di legge sugli enti locali: in quell’occasione serviranno 161 voti per poter cantare vittoria. Ma non basta, perché ci sono altri decreti che andrebbero convertiti entro i primi di agosto e sui quali il governo vorrebbe evitare di imporre la fiducia. “I numeri ci sono e ci saranno” auspica il renziano Andrea Marcucci richiamando al buon senso i “colleghi di Ncd”. Il fronte Ala, invece, fa sapere che “non intende dare alcuna spallata a Renzi”, come ha dichiarato il senatore Riccardo Mazzoni.
Dal suo blog Beppe Grillo invita ovviamente alle dimissioni praticamente tutto il governo, preannunciando nel contempo un era a Cinque Stelle: “Alfano deve dimettersi, la Boschi deve dimettersi, con Renzi e tutti gli altri incapaci a governare di questo esecutivo tenuto unito con lo sputo”. Grillo ricorda che “Il M5S è pronto a governare”. Dopo la vittoria in casa capitolina i pentastellati in effetti hanno già puntato il dito su Palazzo Chigi, da raggiungere a breve.
In settimana (forse mercoledì) il ministro Alfano dovrebbe a sua volta parlare all’intera Aula di Montecitorio per ribadire in sostanza due punti. In primo luogo che non si dimetterà. In secondo luogo che l’obiettivo dell’attacco contro di lui è in realtà l’intera squadra di governo. Nelle stesse ore gli inquilini di Palazzo Madama dovranno votare il ddl sui bilanci degli enti locali sul quale serve la maggioranza assoluta. Ma anche in casa Ncd non fila tutto liscio. Alfano deve rendere conto ad un gruppetto di senatori che chiedono di passare all’appoggio esterno del governo reclamando nel contempo “un chiarimento”. “Serve un chiarimento perché un confronto non c’è mai stato”, ha affermato per l’appunto Peppe Esposito. “Io me ne sono andato due mesi fa dopo il voto sulle unioni gay”, sottolinea Alessandro Pagano ormai ex Ncd.
Il nuovo partito di Alfano sembra trovarsi di fronte ad una sospettosa crisi di identità come fa trapelare Fabrizio Cicchitto, capogruppo Ncd alla Camera, sul suo blog: “Si dice ‘usciamo dal governo per ricostruire il centrodestra’ ma di grazia allora non era meglio rimanere in Forza Italia?”. Per il leader del Carroccio, invece, l’aut aut per Renzi arriverà con il referendum costituzionale: “A ottobre il premier si troverà un altro lavoro”. Nonostante tutto, al di là delle innumerevoli polemiche, a dispetto della minoranza dem e dei sussulti dei centristi che dovrebbero sostenere il governo, il premier Renzi è convinto di raggiungere la maggioranza in Senato: “Non vedo incidenti nell’aria, i numeri ci sono”.
Secondo i sondaggi i numeri a favore del Sì sarebbero ballerini ma il presidente del Consiglio, anche di fronte all’incertezza di vincere, inneggia alla vittoria sperando che con una buona campagna di sensibilizzazione e di informazione i cittadini, prima di tutto si rechino alle urne e, secondo, votino ovviamente “sì”. A proposito dei numeri incerti in Senato, in sostanza in caso di crisi, Renzi fa sapere ai suoi che sarà lui stesso a “dare le carte”. In caso di crisi alcuni ipotizzano già un “governo di scopo” per modificare la legge elettorale del Senato, con Matteo Renzi che resterebbe comunque segretario del Pd.
Nel colloquio a porte chiuse avuto con il capo dello Stato Renzi ha ovviamente valutato tutti i possibili scenari con Sergio Mattarella, oltre che confrontarsi sul vertice Nato di Varsavia (8-9 Luglio 2016). Per ora le variabili sono comunque troppe e non è quindi auspicabile fare delle previsioni nel medio o lungo periodo. Il possibile “spacchettamento” dei quesiti referendari non è un’ipotesi gradita a Renzi, un tempo rigettata fin dal principio ma ora nel book delle possibilità per Palazzo Chigi. Il premier quindi, a differenza del passato, sembra aver acceso i fari su un eventuale scenario di crisi e insieme alla sua squadra di governo sembra voler impegnarsi nella predisposizione di piani alternativi da sfoggiare all’occorrenza. In questo contesto le correzioni da apportare all’Italicum saranno di sicuro le più difficili da ottenere e, semmai, si riveleranno alquanto chirurgiche, oltreché post referendarie.