Fethullah Gulen, nemico pubblico numero uno
Turchia – Il golpe fallito dello scorso 15 Luglio ha riportato sulla ribalta della scena politica turca l’odio che porta il Presidente Erdogan nei confronti di Fethullah Gulen. Il predicatore esiliato negli Stati Uniti è passato dalla posizione di alleato indiscusso a quella di nemico numero uno.
Nonostante viva da anni semi-recluso in una piccola città degli Stati Uniti, l’Imam Fethullah Gulen è ancora una volta preso di mira dl Capo di Stato turco Recep Erdogan. A poche ore dal tentativo di colpo di Stato in Turchia, il Presidente islamo-conservatore non ha esitato a designarlo come mente del golpe fallito. Subito dopo aver ripreso il controllo della situazione e senza nessuna prova – più precisamente senza nessuna prova ufficiale – Erdogan ha chiesto a Washington di estradare Gulen. “Faccio appello all’America, faccio appello al Presidente americano. Signor Presidente, ve lo chiedo, rispediteci o consegnateci questa persona”, ha insistito, davanti a migliaia di sostenitori festanti a Istanbul. Dalla sua casa a Saylorsburg, Pennsylvania, l’anziano Imam, ha negato aver qualsiasi responsabilità in questa storia. “Visto che non li conosco (i golpisti), non posso esprimermi su qualsiasi loro coinvolgimento”, ha sottolineato. “Il tentativo si colpo di Stato può essere stato organizzato dall’opposizione così come dai nazionalisti. Vivo lontano dalla Turchia da 30 anni e non seguo questi eventi”, ha precisato.
Non è la prima volta che Fethullah Gulen deve difendersi dalle accuse di tradimento. Nel Gennaio del 2016, è già stato condannato in contumacia per “costituzione di una organizzazione terrorista” e “tentativo di Colpo di Stato”. Era accusato di essere alla base dello scandalo di corruzione che aveva scosso il regime di Erdogan nel 2013. In meno di dieci anni, Gulen, che aveva aiutato Erdogan a consolidare la sua autorità, è caduto in disgrazia, subendo in prima persona quella che considera come “la deriva autoritaria del regime dell’AKP”. Oggi vive in esilio, lontano da suo Paese natale. Poco si sa della vita di quest’uomo originario del nord-est dell’Anatolia. Della sua infanzia si conoscono pochi dettagli. Figlio di un Imam e di un’infermiera, scopre la sua vocazione per la predicazione a 14 anni, quando dice in pubblico il suo primo sermone. Fonda il movimento Gulen (chiamato anche movimento Hizmet, che significa ‘servizio’), i cui simpatizzanti sono molto presenti nella polizia e nella magistratura turca. Questa organizzazione, a volte definita setta, confraternita o lobby, invoca la fede nelle scienze, il dialogo interreligioso e la difesa della democrazia. Insegna un Islam aperto all’istruzione cosa che gli ha fatto conquistare migliaia di seguaci, ma anche i sospetti dei difensori della laicità della Turchia.
Il movimento ha costruito una rete di formazione internazionale che conta migliaia di istituti sparsi per il mondo: ospedali, riviste, una rete televisiva, delle radio, una banca, una compagnia di assicurazioni, case editrici, organizzazioni filantropiche, centri culturali. I media, che appartengono a Hizmet, sono regolarmente presi di mira da Ankara. La confraternita, che dive avere l’appoggio del 10% della popolazione turca, possiede anche un organismo di categoria dei datori di lavoro, Tuskon, così come una rete sociale, che le ha fatto conquistare il titolo di “neo-confraternita”. “Il movimento Gulen ha compiuto in meno di quarant’anni in Turchia quello che i moromoni nelgi Stati Uniti hanno fatto in un secolo. Come? Mistero”, notava nel 2014 il sociologo americano Joshua Hendrick in uno studio del giornale francese Express. Nonostante questo impero, Fethullah Gulen viene descritto dai suoi simpatizzanti come una persona “semplice”. Nella sua residenza americana, l’anziano Imam dalla salute precaria, riceve regolarmente delegazioni di “gulenisti” che vengono a testimoniargli la loro ammirazione.
Come quest’uomo potente sia arrivato a cadere così in disgrazia nel suo proprio Paese è storia degli ultimi 15 anni. Per capire bisogna risalire all’inizio degli anni 2000, quando l’AKP aveva da poco visto la luce. Gulen allora offrì il suo prezioso appoggio – e la sua rete – al suo fondatore, Erdogan, che tre anni dopo arriva al potere. Secondo Anthony Skinner, analista del rischio politico per Verisk Maplecroft, l’alleanza tra i due uomini si basava sulla loro comune volontà di fare da contraltare al potere secolare dell’establishment militare. Condividevano lo stesso obbiettivo: indebolire l’esercito, potente in Turchia, e all’origne dei tra colpi di Stato precedenti a quello del 15 Luglio. Ma è difficile che due personalità così forti riescano a convivere a lungo. Nel 2013, Erdogan si è sentito soffocato dalla “tutela” dell’uomo più popolare della Turchia, e ha voluto scaricarlo. L’alleanza tra i due ha cominciato a scricchiolare quando l’AKP si è saldamente conquistato il potere. La rivalità cresce: i successi elettorali del Partito islamo-conservatore hanno messo i gulenisti in allerta. Il matrimonio d’interesse si è definitivamente dissolto nel 2013 durante lo scandalo divulgato dai media come “lo scandalo delle intercettazioni”, conversazioni che hanno svelato un sistema corruttivo nelle sfere più alte dello Stato. Erdogan, allora Primo Ministro, si è trovato con le spalle al muro e accusa il suo vecchio alleato di averlo tradito.
Per vendicarsi Erdogan fece chiudere le scuole collegate a Hizmet, fa delle epurazioni nella polizia, nell’esercito, nella giustizia, accusa migliaia di funzionari di avere legami con il predicatore. I media vicini a Gulen, tra i quali il noto quotidiano Zaman e l’Agenzia Cihan, sono stati a loro volta presi di mira pochi mesi fa. La loro direzione è stata affidata a degli amministratori fedeli allo Stato. Secondo l’Agenzia di Stampa turca Anatolia, 1800 persone, compresi 750 ufficiali e 80 soldati sono stati messi in prigione negli ultimi due anni nell’ambito della lotta contro il movimento di Fethullah Gulen. Oggi indebolito e allontanato dal suo Paese, questo pensatore neoliberale e nazionalista continua a registrare prediche che diffonde via Internet. Nel 2008, è stato decorato “pensatore mondiale dell’anno” dal magazine Foreign Policy. Nel 2013 ha fatto parte della lista delle persone più influenti del mondo pubblicata dal Time. Nel Dicembre del 2015, Gulen ha tenuto una rubrica, pubblicata da Le Monde, in seguito agli attentati del 13 Novembre in Francia. “Noi (musulmani, ndr) dobbiamo concentrarci su domande importanti: il fatto che le nostre comunità servano da terreno di reclutamento per i gruppi animati da un pensiero totalitario è la conseguenza di un autoritarismo a noi stessi sconosciuto, della violenza domestica, del fatto che non ci occupiamo dei giovani, dell’assenza di un’istruzione equilibrata?”, scriveva allora sotto forma di amara autocritica.
L’eco internazionale della voce del vecchio pensatore continua a disturbare il Presidente Erdogan, che in ogni occasione non manca di accusare la nebulosa Gulen di tutti i mali e promette metterlo definitivamente fuori gioco. “Non proteggete più questo traditore, questo terrorista”, ha dichiarato in Parlamento il Primo Ministro turco Binali Yilirim. Malgrado numerosi dossier inviati negli Stati Uniti, il Governo turco ha finora fallito nell’ottenere la sua estradizione.