Mao quarant’anni dopo
Il 9 Settembre 1976 la Cina si ferma, pietrificata. Mao è morto. Dal 1949 guidava la Cina con il pugno di ferro. La sua lunghissima carriera politica sembrava non dover mai finire. Anche la malattia (ma in quanti in realtà sapevano che aveva il Parkinson?), era riuscita ad indebolire il suo potere. Mao, il mito, si era spento per sempre e il momento delle verità stava per arrivare.
Il culto della personalità innanzitutto. Ufficialmente quel 9 Settembre tutto il Paese piange la sua grande guida, il grande uomo che aveva cambiato il Paese. E’ ancora presto per fare bilanci. Deng Xiaoping non diventerà capo del Partito che nel Giugno del 1977, quasi un anno dopo. Mao è ancora unico protagonista della scena politica, anche se fisicamente non c’è più. Chen Yun, vice-Presidente del Partito Comunista Cinese, allontanato dal Partito nel 1966 e riabilitato da Deng, parlando di Mao usa parole taglienti come lame: “Se Mao fosse morto nel 1956, le sue imprese sarebbero state immortali. Se fosse morto nel 1966, sarebbe stato un grande uomo. Ma è morto nel 1976. Ahimè, che dire?”
Figlio di un agricoltore benestante, l’ambizione di Mao era quella di trasformare il Paese in un paradiso socialista, sogno che non gli ha fatto fare mai un passo in dietro, neanche davanti agli eccessi. Cofondatore del PCC nel 1921, arriverà al potere solo 28 anni dopo e dopo aver combattuto contro i giapponesi e l’esercito governativo cinese. Il 1° Ottobre del 1949, proclamava l’avvento della Repubblica Popolare in piena piazza Tienanmen. 1956, 1966, due date che segnano la deviazione della dottrina maoista. Con il “Grande balzo in avanti”, Mao vuole portare il suo Paese sulla via dello sviluppo industriale. L’esempio sovietico, urbano e industriale viene abbandonato. In una Cina ancora rurale, il mondo agricolo pagherà il tributo più pesante.
Collettivizzazione delle terre, riforme in tutte le strutture del Paese, creazione di comuni popolari. Pratiche agrarie assurde, impiego di una manodopera tolta ai campi porterà ad una immensa carestia e milioni di morti. Nel 1966 sarà la volta della “Rivoluzione culturale”, la più grande epurazione politica della Storia, licenza di violenze fisiche e psicologiche che porteranno allo sgretolamento del PCC . Nonostante tutto ciò, Mao diventa oggetto di un culto della personalità delirante, appoggiato dalle Guardie rosse, giovani e zelanti. I “revisionisti” vengono braccati senza tregua. Il bilancio umano è ovviamente difficile da valutare, le cifre variano tra 750.000 e 4 milioni di morti.
Oggi, banconote che portano la sua effige, ritratto gigante a Pechino in piazza Tienanmen dove riposano le sue spoglia imbalsamate. Quarant’anni dopo la sua morte, la fama dell’ex Grande capo Mao Tse Tung rimane saldamente ferma nella memoria dei cinesi, nonostante l’eredità imbarazzante da gestire per il PCC. Mao viene visto contemporaneamente come un Lenin e uno Stalin del PCC, spiega in un’intervista all’AFP Frank Dikotter, esperto del periodo maoista dell’Università di Hong Kong. “Come Lenin, ha portato il Partito Comunista al potere. Come Stalin, ha commesso tremendi crimini contro l’umanità”.
Morto il “Grande timoniere”, il PCC presenta prontamente un primo bilancio: una risoluzione lunga 23.000 parole dove lo si definisce “un grande marxista e un grande rivoluzionario, stratega e pensatore proletario”, un uomo che ha commesso però”gravi errori”. “La cosa più importante sono i suoi successi. Poi vengono gli errori” aveva concluso il Partito all’epoca, posizione che non è poi cambiata molto nonostante le profonde riforme intraprese dal suo successore Deng Xiaoping. Questo perché mettere in discussione Mao equivarrebbe a mettere in discussioni le fondamenta del Partito Comunista Cinese tutto.
L’attuale Presidente Xi Jinping, il più potente dirigente cinese dopo Mao, denuncia al contempo il “nihilismo storico” e il “neo liberismo”, avvertimento implicito ai fan come ai detrattori del periodo maoista. Si percepisce comunque una pilotata amnesia sul bilancio reale dell’epoca Mao. Qualsiasi critica aperta è ancora pericolosa per chi la fa: nel 2015, un presentatore della televisione pubblica cinese è stato sospeso per aver divulgato un video dove cantava, durante una serata privata, una canzoncina che metteva in ridicolo Mao. Vice versa, lodare l’ideologia maoista è un mezzo utilizzato da coloro che vogliono criticare la via “capitalista” intrapresa dall’economia cinese. Le frontiere su ciò ce è politicamente accettabile in Cina rimangono molto fluide, facendo si che cittadini, scrittori, militanti navighino a vista sul cosa dire e come dirlo…
Ma l’eredità di Mao rimane soggettiva, spiega Jeff Wasserstrom, storico e autore di diversi saggi sulla Cina Moderna. Un operaio disoccupato è maggiormente incline a idealizzare “il Mao eroico degli anni ’50, colui che parlava dei contadini come di ‘padroni’ naturali della società e che prometteva agli uomini come lui occupazione a tempo indeterminato”, sottolinea Wasserstrom, mentre le vittime della Rivoluzione culturale lo considerano volentieri come un “personaggio senile reo di aver preso decisioni sbagliate e di aver portato la Cina nel caos.” Molti cinesi mantengono una sincera venerazione per Mao, considerato a volte come un semi-Dio, mentre la relazione tra i dirigenti cinesi di oggi e Mao si basa su considerazioni personali più che sul rispetto: il caos del periodo maoista viene considerato come un “segreto di famiglia”, considerato chele famiglie di molti di loro erano coinvolte politicamente all’epoca, compresa quella di Xi Jinping. Una reale analisi della Storia non serve. Tutti hanno interesse ad assicurarsi che il ritratto di Mao rimanga saldamente fisso a piazza Tienanmen.