Venti di sciovinismo

Confesso che il discorso di Theresa May al Congresso conservatore di domenica scorsa mi ha causato preoccupazione e malessere profondi. La nuova “Signora di ferro” inglese ha indicato il 31 di marzo 2017 come data limite per l’avvio del negoziato di uscita della Gran Bretagna dall’UE e fin qui nulla da dire. La fissazione di una data – come ha riconosciuto il Presidente del Consiglio europeo, Tusk – viene a fare un po’ di chiarezza sui tempi del divorzio. La signora May ha anche preannunciato la presentazione di una legge che abolisce quella del 1972 che consentì l’entrata nella CE. Si tratta di un adempimento dovuto e, quindi, niente di male, anche se a noi l’espressione inglese “Great repeal” suona ostica.

Ma nel suo discorso, la Premier britannica ha esaltato il valore storico del referendum sul Brexit, definendolo il provvedimento più importante mai votato in Inghilterra, e ha dichiarato con orgoglio che la Gran Bretagna ha così riacquistato la propria “indipendenza e sovranità” e sarà governata da Londra, non da Bruxelles.

Indipendenza e sovranità sono idee forti e importanti, da usare con senso della misura. Discuto che siano compromesse dall’appartenenza all’UE e dall’accettazione di norme condivise e liberamente accettate. Ma la portata eversiva delle parole della signora May sta nel riferimento che esse possono diventare (anzi, sicuramente già sono) per quanti  in Europa si dimostrano insofferenti verso un cammino di solidarietà condiviso, alimentando i venti di sciovinismo che da qualche anno scuotono il vecchio Continente e rischiano di riportarlo indietro a tempi assai più calamitosi. Siano coscienti del rischio tutti quelli che ancora ragionano colla loro testa, che ancora ritengono l’integrazione europea, non solo un nobile ideale, ma un processo storico necessario per assicurarci un futuro accettabile in un mondo di economia globale e di giganti economici. Al di fuori dell’Unione, ogni Paese europeo singolo  (salvo la Germania, forse) sarebbe debole e fragile e l’Italia più di altri. Per questo le posizioni inglesi causano profonda preoccupazione, perché sento che il rischio che facciano macchia d’olio è reale e grave. Perciò vanno invitate con tutte le forze le Autorità di Bruxelles e i governi “europeisti” a muoversi senza ritardo per correggere gli errori e difetti del passato (ve ne sono stati tanti, dalla mania iper regolatoria al burocratismo invadente),  ritrovare le vie della mente e del cuore degli europei e proseguire così il cammino iniziato nel 1957, anche senza la Gran Bretagna, che vi si unì tardi e senza reale volontà di accettarne gli inevitabili limiti e sacrifici.

Intanto, si pone il problema del trattamento da riservare alla Gran Bretagna nei futuri negoziati, ai fini di stabilire un corretto rapporto tra lei e l’UE. Il 73% degli inglesi sembra pensare che un qualche tipo di cooperazione debba e possa continuare. È naturale che sia così. Il grande pubblico di Oltre Manica capisce i vantaggi commerciali del mercato unico per il suo Paese e soprattutto per le sue attività finanziarie e di servizi, che costituiscono l’80% della sua economia. Modelli di rapporti tra l’Unione e singoli paesi già esistono, soprattutto quelli con Norvegia e Svizzera. Sono buoni esempi di cooperazione che lascia intatta la rispettiva capacità decisionale. Bisognerà trovare anche con Londra il giusto punto di equilibrio tra vantaggi e sacrifici, tra il dare e l’avere e sarà un processo complesso e lungo (alcuni politici inglesi parlano addirittura di 8 anni ).

Ma sarebbe sbagliato e pericoloso prevedere per la Gran Bretagna privilegi speciali. Svizzera e Norvegia non sono mai entrate nell’Unione e non hanno quindi mai rotto con essa. Ma la Gran Bretagna è uscita sbattendo la porta in faccia. Se le si riconoscessero diritti e status speciali, non si farebbe che incoraggiare altri Paesi che forse ora si interrogano e sono in bilico, a fare lo stesso. E una magnifica opera cominciata quasi 60 anni fa sarebbe presto disfatta. Tornando all’Europa dei nazionalismi e dei conflitti fraterni, costretta a rifugiarsi frazionata nelle braccia degli Stati Uniti e magari di un Putin per sopravvivere.

©Futuro Europa®

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Un Commento

  • “Perciò vanno invitate con tutte le forze le Autorità di Bruxelles e i governi ‘europeisti’ a muoversi senza ritardo per correggere gli errori e difetti del passato (ve ne sono stati tanti, dalla mania iper regolatoria al burocratismo invadente), ritrovare le vie della mente e del cuore degli europei…”
    E come se l’Europa avesse di sé un’idea di supernazione burocratica e regolatoria, sommatoria di tanti stati nazionali. Gli sciovinisti antieuropeisti e Bruxelles paradossalmente condividono lo stesso modello di stato, quelli per sostenere ciascuno le proprie piccole patrie; l’Europa per rimpiazzarle con un’entità sovranazionale, pure questa centralizzata. Le piccole patrie non vanno rimpiazzate con una grande patria. Vanno superate, con il nazionalismo che presuppongono.
    L’Europa deve muoversi verso un orizzonte federale, con i vari stati che rimangono titolari della propria autogestione e che cedono invece sovranità sulla politica estera e su quella economica. Il segretario della commissione deve essere eletto direttamente (non come ora con accordi intergovernativi) e i suoi poteri vanno controllati e limitati da un PE non consultorio, ma vero potere legislativo.

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